Ah, i primi anni Sessanta, quando, fra l’indignazione della destra parlamentare, l’arte scopriva il “pattume” di Burri. Eh, già. No, quegli anni non ritornavano belli alla memoria, perchè era stato giovane, no, quegli anni erano stati belli, e basta: il mondo sembrava davvero un pianeta fresco, l’ottimismo non era vacuo, e quel che era vecchio, come il re di una terra desolata, cedeva le armi al nuovo – oh, brave new World – e il futuro, il Duemila, era alle porte. Quando la fantascienza di Bradbury e Asimov si faceva epopea di una umanità nuova, che avrebbe navigato l’universo su un sottomarino giallo, e le ragazze con un sorriso mostravano le belle gambe, e la musica faceva sbocciare nuovi fiori. Quando l’icona dei negri d’America e il presidente degli Stati Uniti avevano entrambi un sogno, lo stesso sogno, quello di un mondo diverso che non era il mondo che si andava annunciando un quarto di secolo dopo, in quegli anni di locuste dove l’avidità, l’egoismo e il successo più facile e spudorato trionfavano su mente e cuore.
Hans Tuzzi, La figlia più bella, Bollati Boringhieri, 2015, pag. 118
Commenta per primo