Sebbene abbia un cognome afrikaner, sebbene suo padre sia più afrikaner che inglese, sebbene lui stesso parli afrikaans senza l’accento inglese, non potrebbe mai essere scambiato per un afrikaner, nemmeno per un istante. L’afrikaans che è in grado i padroneggiare è limitato e parziale; c’è un mondo fitto di allusioni ed espressioni gergali che i veri ragazzi afrikaner sono in grado di padroneggiare – di cui l’oscenità non è che una parte – al quali lui non ha accesso.
C’è anche un modo di fare comune agli afrikaner – una sicurezza, una certa intransigenza e, accanto a esse, un continuo minacciare di ricorrere alla forza fisica (li considera alla stregua di rinoceronti, enormi, ponderosi, nerboruti, pronti ad urtarsi l’un l’altro quando si passano accanto) – che a lui è estraneo e dal quale in realtà rifugge. Brandiscono la lingua come una clava contro i nemici. Per strada è meglio evitarli, se li si incontra in gruppo; anche singolarmente hanno un’aria truculenta, minacciosa.
J.M.Coetzee, Infanzia Scene di vita di provincia, Einaudi, 2001, pag 126
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