I voti non si pesano ma si contano. Ma allora vanno contati bene. Le elezioni presidenziali francesi non ci consegnano solo i voti ottenuti da Macron e da Le Pen, ma anche la percentuale dei non votanti e i voti nulli, cioè le schede bianche e quelle annullate.
L’astensione al voto è stata pari al 25,3% ed è stata la più alta verificatasi ad un ballottaggio nel dopoguerra.
Le schede bianche e nulle in percentuale corrispondono al 12% circa dei votanti e, rispetto alle elezioni presidenziali precedenti, le schede bianche sono aumentate di circa due milioni e mezzo mentre le nulle di oltre settecentomila.
Non è cosa da poco, in elezioni dominate dalla paura, (alimentata da un clima elettorale da ultima spiaggia), dalla necessità del voto utile, (avvertita soprattutto a sinistra), dal pericolo di premiare altri poli politici, pena il venir meno del bipartitismo e la conseguente ingovernabilità (ossessione dell’establishment).
Significa che all’incirca più di un votante su cento, pur manifestando apertamente la sua intenzione di votare, non ha riconosciuto meritevole del proprio voto né Macron né Le Pen e non ha partecipato a questo scontro politico, perché non si riconosce nello scenario politico delineato da queste elezioni presidenziali.
E’ sicuramente una minoranza, ma non infima e, molto probabilmente, più consistente, qualora fosse chiamata ad esprimersi in un clima elettorale diverso.
E’ una minoranza difficile se non impossibile da definire socialmente ed è anche senza padri, perché nessuna forza politica può appropriarsene, neanche Mélenchon o la France Insoumise, perché le loro indicazioni di voto o di non voto sono state ambigue, per non dire contraddittorie.
Non è una minoranza arrabbiata, scontenta, perché altrimenti avrebbe votato Front National. Non sembra sprovveduta politicamente, perché non è stata sensibile alle sirene mediatiche, alle promesse elettorali, ai richiami populisti e alle fascinazioni leaderistiche. Non è delusa dalla democrazia rappresentativa, perché altrimenti sarebbe andata al mare o ai monti o sarebbe rimasta a casa.
Non sembra comunque un voto ideologico, perché il pieno di ideologia lo hanno fatto Macron e Le Pen, proponendo le loro rispettive visioni del mondo, sottolineate dal linguaggio del corpo, dalle location elettorali, dalle dichiarazioni di identità e di appartenenza.
La cosa che sembra certa è che è un voto d’opinione, non esprime il consenso ad un progetto o ad un programma politico, non è propositivo nel senso letterale del termine, ma è l’espressione di un rifiuto, senza però chiamarsi fuori: dalla democrazia, dalla partecipazione, dall’impegno civile.
Per questo non è chiaro se è un voto per o contro l’Europa, per o contro l’inclusione sociale degli esuli e degli immigrati, per la globalizzazione o le sovranità nazionali, ma è comunque un voto, anche se nullo o bianco, cioè una dichiarazione di volontà.
C’è di che riflettere. Prima di gioire o maledire, prima di salire sul carro del vincitore, prima di proiettare gli esiti delle presidenziali francesi in altri contesti, come quello italiano, forse sarebbe meglio interrogarsi sulla complessità delle società europee, sulle loro contraddizioni, sui bisogni e le aspettative di ceti e classi che sono l’articolazione sociale, che vanno ascoltate, capite, rappresentate. La democrazia rappresentativa è ancora la carta vincente, rispetto a democrature, oligarchie, assolutismi.
10 maggio 2017
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