29 aprile 2017 Destra e sinistra

Mentre in assise mass mediologiche giornalisti ed opinionisti si interrogano sull’esistenza della destra e della sinistra, sul persistere delle loro differenze e del loro antagonismo, magari supportati dalla scientificità delle canzoni di Giorgio Gaber, un presidente statunitense, eletto da cento giorni, agita venti di guerra nucleare, dopo aver sperimentato sul terreno armi di distruzione di massa. A suo contraltare il presidente russo Putin copre la dilagante corruzione e le tante malefatte del suo regime con un frenetico protagonismo militare e con un annichilimento di ogni opposizione interna, privandola di voce e di libertà. In Europa, o in quel che ne resta, l’egemonia politica è contesa tra populisti e finanzieri, tra capipopolo e oligarchi, tra democratura e politica referendaria. Nel suo piccolo il presidente turco Erdogan imprigiona oppositori e giornalisti e si fa forte di un mandato popolare presidenzialista e assolutista.

La destra è viva e vegeta. Il suo armamentario ideologico, rivisitato e attualizzato, è riproposto ormai in quasi tutto il pianeta, quale condensato di militarismo e nazionalismo, razzismo e xenofobia, il tutto condito con machismo e omofobia e con un pizzico di misoginia, magari giustificata teologicamente. Sul piano economico viene addirittura riproposta un’autarchia economica e produttiva, che sembrava appropriata solo per le repubbliche delle banane. L’aggressività, l’insulto, le calunnie reiterate, la diffamazione dell’avversario, che sembravano relegate all’epoca dei manganelli e dell’olio di ricino, della caccia alle streghe, delle purghe staliniane, dei boia chi molla, del celodurismo è ormai un elemento costante del linguaggio della politica, a cui nessuno sembra sfuggire e conferma un elemento di egemonia culturale della destra moderna.

Ma la destra è egemone da tempo anche sul piano politico ed economico, da quando, nella metà degli anni ’70 del novecento, le società capitalistiche più sviluppate sono entrate in una lunga fase di declino, caratterizzato da un calo costante dei tassi di crescita, da un rallentamento della produttività, da una diminuzione dei posti di lavoro. Sarà la destra della Thatcher in Inghilterra e quella di Reagan negli USA ad invertire il processo, introducendo una variante nel regno del capitale, caratterizzata dalla deregolamentazione dei flussi finanziari, dalla privatizzazione dei servizi pubblici, dall’accentuazione delle disuguaglianze sociali.

Da allora niente è stato più come prima: è saltata la piena occupazione, non sono più cresciuti i salari medi, è stata messa in discussione la democrazia rappresentativa, sono regrediti i sistemi di ridistribuzione.

Sono i terreni su cui è nata ed è cresciuta la sinistra, non solo quella socialdemocratica, ma anche quella comunista, sia riformista che rivoluzionaria.

L’odierno annichilimento e l’ammutolimento della sinistra è legato a questa catastrofe. A cui si aggiunge una catastrofe ben maggiore perché più complessa e distruttiva: la catastrofe del lavoro.

Ormai c’è l’obbligo a lavorare subendo una totale discrezionalità dei datori di lavoro, dovendo dare in cambio una totale disponibilità di tempo.

Fare più con meno: meno magazzino, meno tempo, meno occupazione stabile. Chi è stabile deve essere pronto a fronteggiare ogni variante della produzione e deve essere pronto allo straordinario. I lavoratori che mantengono garanzie occupazionali, buoni salari, welfare, potere contrattuale e libertà sindacali sono sempre più una minoranza, quasi una aristocrazia operaia.

Chi è precario è “imprenditore di se stesso”, è libero dai vincoli della subordinazione, deve accettare di lavorare anche senza contratto, può produrre lavori minimi e marginali, che andrebbero fuori mercato senza la negazione di diritti e la feroce compressione del costo del lavoro, può cominciare e smettere quando vuole, in una apparente forma di autonomia e libertà. Non ha necessariamente un orario né una postazione fissa, lavora per progetti, ma è sottoposto ad una dura competizione tra individui e gruppi, mentre il tempo di vita e il tempo di lavoro si sovrappongono.

Rappresentare, dare voce e visibilità a questo mondo, garantirgli capacità contrattuale, liberarlo dalla subordinazione, è un’impresa difficile, quasi titanica, per la sinistra per come è stata ( e come ancora è) e che non è più nel cuore e nella mente di milioni di persone.

Per questo in campo c’è solo la destra, che paradossalmente esprime anche la rabbia, lo scontento, la frustrazione degli sconfitti e degli emarginati dei processi globali che lei stessa ha promosso e gestisce.

Per la sinistra non è un deficit di volontà, ma un deficit di idee, a partire da un’idea di società fino ad  arrivare a un’idea di lavoro, passando attraverso un’idea di rapporti e relazioni sociali.

E’ un film già visto, ci vogliono ora nuovi registi e nuovi sceneggiatori.

29 aprile 2017

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