In molti si stanno domandando, con toni anche angosciosi, del perché della marginalità della sinistra in Italia e in Europa, della sua frammentarietà e della sua perdita secca di egemonia. Sono dirigenti, militanti, simpatizzanti che provengono da quella esperienza politica, sono gruppi e ceti sociali che hanno perso un punto di riferimento, sono anche avversari politici, che non vedono più una controparte che, in conflitto con loro, li costringeva ad una dialettica che, se non altro, giustificava almeno la loro esistenza. Di tutto questo c’è eco nei mass media, nei talk show televisivi, nelle pagine dei giornali, nei network sociali. L’elemento che sembra prevalere in questo interrogarsi, a volte anche inconcludente, per non dire masochistico, è la denuncia di un deficit di soggettività, una mancanza di volontà, un “cupio dissolvi” che sembra dominare scelte e comportamenti, confermando il luogo comune che “la sinistra non conosce moltiplicazioni, ma solo divisioni”. Tutto questo come se non esistesse la deflagrazione del centro politico, la sua attuale inconsistenza, nonostante i camuffamenti elettorali, i trasformismi culturali, la spregiudicatezza nelle alleanze. Per non parlare della destra politica, frantumata, rissosa, alla ricerca di idee, di programmi, di leader. Chi sembra in questo momento egemone, come il movimento pentastellato, lo è per deficit altrui, non certo per meriti propri, per una congiuntura favorevole che lo premia, nonostante la fragilità organizzativa, la mancanza di un vero gruppo dirigente, l’assenza di una idea di paese e di governo dello stesso. Una egemonia comunque, per ora, solo elettorale.
E’ tutta intera la politica italiana ad essere attraversata da una crisi profonda, che travolge partiti storici, esperienze di governo, sistemi di alleanze.
Il declino manifatturiero, la stagnazione della produttività, la crescita delle disuguaglianze, con un calo costante dei tassi di crescita, ha terremotato la società italiana, con epicentri anche in Europa e in molte parti del pianeta, producendo una scomposizione dei soggetti storici, degli equilibri territoriali, dei comparti produttivi e riproduttivi, delle forme della rappresentanza e della rappresentazione.
Non possiamo meravigliarci dei crolli, delle macerie, delle vittime e neanche della paura, del disorientamento, del pessimismo che ne deriva e della rabbia, della protesta, del risentimento di chi è sopravvissuto, ma ha perduto gli affetti, la casa, il lavoro, la comunità di appartenenza.
In altri tempi ad una scomposizione, anche globale, seguiva una ricomposizione, dove i ceti e le classi sociali, le forme di governo e di rappresentanza, i sistemi dei valori, assumevano nuovi connotati, si rivendicavano nuovi diritti e doveri, si elaboravano nuovi codici, prevalevano altri sistemi valoriali. In un quadro di ricomposizione la sinistra ha sempre storicamente svolto un ruolo, necessario e indispensabile, di lievito, per far emergere istanze, per orientare la crescita, per indirizzare fenomeni sociali e culturali. Questo è avvenuto in Italia durante il Risorgimento nazionale, nello stato unitario, nella parentesi tragica del fascismo, sotto la dominazione nazista, nel dopoguerra, negli anni del boom economico e, a seguire, in tutto il Novecento. Oggi, in questa fase, non sembra seguire una ricomposizione, né dello stato repubblicano, né della democrazia parlamentare, né del sistema delle autonomie locali, né della partecipazione popolare, tantomeno del lavoro, dell’economia, del sistema finanziario,. Al contrario sembra emergere un quadro di vera e propria decomposizione. Se questo è vero, se non è una fase transitoria, ma una tendenza destinata a durare, non bastano soggettività e atti di volontà, perché anch’esse sono destinate ad essere decomposte, frantumate, disperse, anche se fossero di sinistra. Soprattutto se sono di sinistra. La sinistra non è un atto di fede, una dichiarazione di appartenenza, un sentimento identitario, ma un’ azione di cambiamento dello stato di cose esistenti. In questo momento non sembra esserci, nella società italiana, un brodo di coltura di cui favorire la lievitazione, la crescita, la trasformazione. Almeno in questo momento. Non a caso prevalgono, sul piano politico, strategie di basso respiro, contingentate nel tempo e nello spazio, dichiaratamente impotenti ad affrontare e risolvere le grandi questioni ormai globali. La sinistra, in tutto questo, è, e non può non esserlo, marginale, ininfluente, a meno che non si disconosca, si neghi, magari spettacolarizzandosi e affidandosi a leader spregiudicati e imbroglioni. Non può essere unita, perché sono tante e diverse le valutazioni, le analisi, i progetti e le proposte, ma può essere unitaria, inclusiva, aperta. Può essere lei stessa un brodo di cultura, in grado di fermentare e germinare e contaminare.
27 marzo 2017
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