26 marzo 2017 L’Europa di Ulisse

Ho da poco riletto l’Odissea di Omero. Sarebbe meglio dire ho letto, perché è sempre una prima volta, con continue scoperte e nuove suggestioni, fino a sconfinamenti nel presente.

Così quando Ulisse ritorna, dopo venti anni di lontananza a Itaca, la dea Atena gli consiglia di non raggiungere subito la sua reggia, dove i Proci spadroneggiano in attesa di sposare Penelope, per loro e per tutti la sua vedova e lo trasforma in un vecchio, con addosso miseri cenci e una tunica, lacera, sudicia, annerita dal fumo, con una bisaccia e un bastone per appoggiarsi. Un profugo, un diseredato, uno straniero.

In questa veste, irriconoscibile anche alle persone a lui più fedeli e più care, viene accolto, ospitato, nutrito e ascoltato da Eumeo, il guardiano dei porci, il quale si commuove nell’ascoltare i racconti delle sue peregrinazioni e delle sue sofferenze  e ordina di uccidere il più grasso dei maiali per l’ospite che viene da lontano e poi per lui fa un giaciglio vicino al fuoco di pelli di capra e di pecora, per poi coprirlo con un manto ampio e pesante. Il giorno dopo può affermare con orgoglio che gli dei beati benedicono il suo lavoro tenace, che ha da mangiare e da bere e può donare a chi ne è degno.

Ma un altro servo, Melanzio, pastore di capre, nell’incontrarli insieme in città,  non risparmia a Ulisse i peggiori insulti di morto di fame, pitocco, parassita, divoratore di avanzi e lo gratifica di un calcio nei fianchi. E’ sempre Melanzio, una volta dentro la reggia, a denunciarlo ai Proci, scatenandone le ire, perché trovano intollerante la presenza in città di troppi vagabondi e pezzenti molesti ed uno di loro, Antinoo, lo colpisce alla schiena con uno sgabello. E’ Penelope, ancora ignara della vera identità dello straniero, a offendersi per quel gesto verso quell’ infelice che va mendicando per casa, perché il bisogno lo spinge e lo invita nelle sue stanze per salutarlo e domandargli della sorte del marito. Ma è un altro accattone, d’aspetto grande e grosso, perché noto per la fame insaziabile, chiamato Iro, a scagliarsi contro Ulisse, pretendendo la sua fuga e ricevendo invece un terribile colpo al collo, sotto l’orecchio, che lo rende esamine. Con parole sprezzanti Ulisse inoltre spegne le ingiurie  e le minacce di una ancella infedele, la bellissima Melanto, amante di uno dei Proci. Ma non si spengono i lazzi, le offese, gli insulti dei Proci e l’accusa, rivolta a quello che sembra loro un vecchio esule, di essere un esperto di cose dappoco, un pigro, un indolente, un ingordo, incapace di lavorare e si rammaricano che non sia morto altrove, errando, anziché rovinare il loro ricco banchetto e la loro festa. Sarà il vino dolcissimo mescolato con l’acqua a stemperare gli animi di tutti, conciliando il sonno dei Proci, ancora ignari del loro atroce destino.

In queste antiche pagine c’è la rappresentazione delle contraddizioni che vive l’Europa odierna. Anche oggi nei confronti degli esuli, delle persone raminghe, prive di sostentamento e private della dignità, c’è una disparità di trattamenti, di atteggiamenti, di comportamenti. Coesistono accoglienza e disprezzo, tolleranza e insulti, ospitalità e rifiuto. Nella poesia di Omero c’è comunque un codice etico, delle leggi non scritte ma sacre, che fa dell’ospitalità e della solidarietà un dovere, un valore condiviso, un impegno assoluto e universale, vincolante per tutti, ma disatteso da molti, per rapacità, egoismo, voglia di potere e di dominio. E’ il nostro stesso codice, passato quasi indenne per secoli, rispettato e disatteso anche oggi. Per questo l’Odissea è un testo attuale, contemporaneo, moderno, privo di retorica. Non alimenta false illusioni, ma testimonia con crudezza la contraddittorietà e fragilità della condizione umana. La stessa vendetta di Ulisse non è né appagante né risolutiva, perché apre altri conflitti, non chiude il poema, ne apre un altro, forse ancora da scrivere, o solo da leggere o rileggere.

E’ comunque un libro europeo. Se c’è in questo continente una cultura condivisa, dei valori condivisibili, un sentire comune è perché ci sono documenti antichi che ne sono la base, la premessa, la precondizione. Se non ci fossero non staremmo a parlare di Europa.

26 marzo 2017

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*