Il libro meriterebbe un altro titolo, ad esempio Un’altra, possibile, futura nascita, colpito dal leggere per la prima volta la narrazione della propria nascita da parte di chi scrive. Non la citazione del luogo, del giorno e dell’ora dell’evento, ma la descrizione dei suoni, dell’aria, delle voci, dei colori, del tempo di “una calda, tranquilla, luminosa giornata di primavera. Una splendida giornata per uno splendido inizio”.
Ma questo è un libro autobiografico, tenacemente finalizzato a scrivere di sé, non per magnificarsi, ma per capire, non per autocelebrarsi, ma per farsi una ragione delle scelte fatte e di quelle non fatte, non per parlarsi addosso, ma per condividere i disagi legati all’esistere, per fare dell’esistenza un fatto tollerabile, al netto delle sofferenze, degli sbagli, delle mancanze, delle inadeguatezze. Per rinascere, appunto.
E’ un fare i conti anche, e soprattutto, con le persone e le cose care, soprattutto perché sono sparite, alcune scomparse, altre travolte, molte sostituite, nessuna dimenticata.
A partire dalle cose materiali: il lavandino di pietra, il grande tavolo con il piano di marmo, le seggiole impagliate, la credenza bianca con i pomelli trasparenti, la stufa a legna a tre sportelli con il bollitore e lo stendino, il “prete” per riscaldare i sonni dei grandi.
Ma poi uomini e donne, non necessariamente parenti, ma membri di una famiglia allargata, perché il legame familiare è l’unico veramente legittimato, ed essendo concepito come indistruttibile è la certezza della solidarietà.
La madre “generale, per discendenza ed educazione”, il padre “buono, affettuoso, ma distante, spesso assente”, il fratello “chiuso, ribelle, sportivo, ostinato” sono destinati ad accompagnare un percorso faticoso di crescita del protagonista, che è poi “ubbidiente, socievole, ma imbranato”.
E sarà questa imbranataggine ad accompagnarlo in giro per varie città d’Italia, che lo costringerà ai margini, mai all’altezza, a scuola, nello sport, nelle lotte studentesche, in perenne lotta con se stesso per essere accettato dagli altri, soprattutto se gli altri sono ragazze.
La domenica del 31 agosto 1969 “Si combatte ancora nel Vietnam” ma è un titolo di giornale, la citazione di un evento lontano, che non si traduce per il protagonista in uno scontro aperto nel suo mondo, vissuto consapevolmente e con determinazione, per affermarsi, per esserci. Riesce solo a “ruminare”, soprattutto nel buio del cinema.
Ma per fortuna ci sono gli altri e l’invito “Ciao, giochi?” finalmente apre una dimensione sociale, extrafamiliare, assumendo addirittura la dimensione di una fratellanza segreta, di rituali magici, di gesti trasgressivi, di fatto è un’iniziazione, anche al mondo altro per eccellenza: quello femminile.
A questo punto è solo un andare avanti, perché si sente meno solo, un po’ più forte “poco però”, ma con tante domande in più, anche se il mondo esplode e tutt’intorno si accendono focolai di rapidi e drammatici cambiamenti. “Era quello il tempo in cui quel gran vento che aveva preso a soffiare intorno a noi iniziava prepotente a entrarci dentro”, è il tempo di diventare adulti stando insieme, senza ripudiare i sogni della propria giovinezza, anzi, utilizzandoli per provare a cambiare il mondo. Ma è sempre un gioco frequente per il protagonista, quello di sentirsi rivoluzionario con le imprese degli altri. Esploratore timoroso e imbranato segue comunque la via, annusa l’aria, si rintana, riprova, affascinato da quello che accade fuori. Ma è sempre quello che accade dentro che prevale, fuori sono immagini e nuovi miti e gli scontri con la polizia sono ancora un trafiletto di giornale.
Comunque si troverà di nuovo inguaribilmente innamorato, anche se con una “strizza bestia da farmi male”, ma è meglio tornare a scappare, sempre convinto di non essere all’altezza, perché qualcuno (qualcuna) gli ha raccontato le mezza balla che l’amore è inevitabilmente una relazione politica e se non è tale fino in fondo, volersi bene non basta. E continuerà a scappare, da un’altra donna, da se stesso, dalla possibilità di un rapporto, regredendo, nonostante un vento impetuoso che lo trascina, insieme agli altri, anche in una guerra civile di una generazione, costringendolo a diventare adulto senza mai realmente esserlo.
Non sono adulti infatti quelli che partono, dopo la maturità, per Il Viaggio con la V maiuscola: “Costa Azzurra, Parigi, Svezia: sesso, donne e avventure”. Imbranati, ma decisi, stanchi, sfiduciati, persi, incazzati, sfigati, uniti come non mai, ma con un senso di stanchezza sconosciuta.
Altro luogo sicuro di fuga: un castello arroccato in cima ad un monte, ma è ancora “narcisismo idiota”, “ sono ancora “mille fantasticherie impegnate a coprire l’angoscia di una assenza”, sono “ brandelli d’identificazione materna che tenaci mi perseguitano” e le bombe, le guerre, le tragedie del mondo sono ancora ritagli di giornale. Riprende feroce la voglia di scappare, di rimanere solo, per rincorrere un padre, che ha sua volta scappava, fino a quando, malato, ha dovuto fermarsi e gli ha dato la possibilità, prima e ultima, di incrociare gli sguardi.
E’ il tempo di un’altra nascita, anche questa descritta con grande dovizia di particolari, i palazzi signorili,” non troppo alti, un po’ ingrigiti e demodé, che si riscaldano al tiepido sole romano”, “una grande stanza inondata d’una luce calda, gialla, come quella di una lampadina antica”, “in un lato della stanza vicino a un’altra grande nicchia nel muro una chaise longue che, spalle alla scrivania, punta un insieme di curve e linee che s’intersecano colorate nel quadro sul muro davanti”. E’ una nascita faticosa in cui “perdo la cognizione del tempo, è un tempo eterno che sono sdraiato a combattere con me stesso e sono esausto”
Smettere di rincorrere ed iniziare ad essere, diventa possibile.
18 dicembre 2016
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