Perché si è dimesso un Primo Ministro, mai sfiduciato dal Parlamento, per di più dopo aver ottenuto dalle Camere il via libera ad un suo importante provvedimento, senza un tracollo elettorale in elezioni politiche e in assenza di una chiara intolleranza nelle più importanti cariche istituzionali?
Perché, visto che un governo già c’era, farne uno fotocopia, con quasi gli stessi ministri, compresi quelli impresentabili, con un programma in piena e compiaciuta continuità con quello dimissionario, con un mandato in scadenza entro pochi mesi, ben prima della fine fisiologica della legislatura, subito dopo aver licenziato una nuova legge elettorale?
Perché non si è evitato lo spettacolo triste e stanco di rituali, quali il giuramento del governo e la fiducia in Parlamento, che, privati di pregnanza e di eccezionalità, senza alcun significato simbolico e senza qualsivoglia solennità, confermano una immagine depressa e malinconica delle nostre istituzioni, favorendo l’insofferenza e il rigetto di larga parte della popolazione italiana?
Perché il presidente Mattarella non ha rinviato Renzi e il suo governo alle Camere, con un mandato altrettanto breve e stringente di quello affidato a Gentiloni, evitando non tanto perdite di tempo, quanto di confermare l’immagine di una politica ormai totalmente condizionata da calcoli elettoralistici, rivalse personali, salvaguardia di carriere, recupero o conquista di posizioni di potere?
Perché il senso di responsabilità, invocato ripetutamente da Gentiloni e da esponenti della maggioranza del PD, quale principale elemento valoriale del nuovo governo, non è stato fatto proprio da Renzi e dal suo governo, dopo la irresponsabile personalizzazione della campagna referendaria?
Come può il neo Primo Ministro mettere al primo posto la questione terremoto, ben sapendo che l’aiuto alle popolazioni colpite, la ricostruzione di città e paesi distrutti, il recupero sociale e il rilancio economico di un territorio vastissimo e articolato, pretendono un impegno non di mesi ma di anni, sostenuto con una determinazione politica lungimirante in grado di mobilitare con continuità grandi competenze tecniche, risorse intellettuali e finanziarie, concorso istituzionale e partecipazione popolare, quando è certo che il suo impegno non andrà oltre la prossima primavera?
E’ in grado di individuare almeno obiettivi prefiguranti, arando il terreno e seminando intenti, possibili soluzioni, stime di fattibilità, priorità e incompatibilità, soprattutto in campo economico e sociale, anche nella consapevolezza di non essere il raccoglitore?
Almeno potrà o vorrà promuovere, incoraggiare, sollecitare una legge elettorale (il suo core business) che permetta ai diversi soggetti sociali di trovare una rappresentanza istituzionale e che ricolleghi l’elettore all’eletto, senza cedere all’eccesso di frammentazione, grazie ad un sistema proporzionale uninominale con sbarramento?
Sono otto domande, ma contengono anche otto possibili risposte.
14 dicembre 2016
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