22 luglio 2016 Uno sbaglio

Pensavamo che la Turchia fosse l’estremo confine orientale dell’Europa, un paese già da tempo membro della Nato, candidato e candidabile ad entrare nell’Unione Europea, con un assetto istituzionale laico e moderno (in senso occidentale), un pluralismo politico presente e rappresentato anche in un parlamento di eletti, una economia produttiva interessata agli scambi e all’integrazione commerciale con l’occidente, in primis con l’Europa e a partire dal turismo. La Turchia, anche se di fede sunnita, non sembrava interessata a concorrere con l’Arabia Saudita e contro l’Iran all’egemonia in Medio Oriente, sembrava preferire un ruolo di paese ponte tra oriente e occidente, interessato agli equilibri e squilibri dei paesi vicini, ma in funzione della sua integrità territoriale, da sempre difesa con determinazione e, a volte, con ferocia.

C’eravamo sbagliati. Oggi, dopo il contro golpe di Erdogan, con le massicce e indiscriminate epurazioni non tanto di uomini in armi, ma di professionisti, magistrati, giornalisti, insegnanti, operatori sociali e culturali, la Turchia sbatte le porte in faccia all’Europa e agli Usa, dopo averlo fatto nel recente passato alla Russia, assimilandosi sul piano politico, sociale e culturale all’Islam più radicale, oligarchico, intollerante, ferocemente antioccidentale. E’ una scelta di parte che sembra sciogliere le ambiguità del recente passato, con il confine con la Siria luogo di transito di uomini e armi verso l’Isis, con l’acquisto di petrolio dai pozzi controllati dal sedicente stato islamico, con la tolleranza all’arrivo negli scali turchi di centinaia di foreign fighters, con il contrasto militare ai peshmerga curdi, unica truppa di terra a combattere i miliziani neri.

Forse si è sottovalutata la crisi strategica del petrolio, non più fonte finanziaria ed economica certa e indispensabile, che spinge gli Stati Uniti, in grado ormai di essere autonomi sul piano energetico, a voltare le spalle al Golfo Persico, considerato non più strategico, come era avvenuto prima con il Mediterraneo e a rivolgersi ormai compiutamente al bacino del Pacifico, il vero spazio vitale dell’economia americana. Senza un punto di riferimento, in un’area fragile sul piano istituzionale e politico, con la prospettiva di possibili tracolli finanziari e mancati sviluppi economici, in Medio Oriente stanno  prevalendo istanze distruttive, fanatiche sul piano ideologico, rigoriste su quello religioso, che vedono in un conflitto armato generalizzato l’unica alternativa al loro declino. L’Europa avrebbe potuto e dovuto inserirsi in questa contraddizione, sostituendosi agli Stati Uniti, ponendosi come interlocutore e non solo finanziario. Ma non questa Europa, divisa, priva di una solidarietà interna, incapace di manifestare una politica estera condivisa, con paesi membri che in ordine sparso sono accorsi in Medio Oriente come mercanti e usurai, senza alcuna autorevolezza né morale né politica. Sta tentando di farlo la Russia, suscitando anch’essa una crisi di rigetto, per le sue mai dimesse velleità imperiali. Potrebbe farlo la Cina, ma non ora, solo quando guerre e conflitti avranno stremato i popoli, destabilizzato i regimi e azzerato ceti politici e gruppi dirigenti, facendone facili bocconi, da ingoiare senza sforzo o fatica alcuna.

Rimane da domandarsi con quale ratio un paese moderno, perché tale appariva la Turchia, possa decidere di decapitare interi ceti sociali  di intellettualità e competenze, impoverendoli e marginalizzandoli, negando a  parti importanti di sé non solo il diritto alla rappresentanza politica, ma alla stessa esistenza sociale. Potrà un regime sempre più rarefatto sul piano democratico, a guida pressoché assoluta, su un modello arcaico di sultanato,  dominato da oligarchie rapaci e corrotte, con scuole e università ridotte all’osservanza religiosa ed una opinione pubblica condizionata da mass media acquiescenti e subalterni al potere, garantirgli il necessario dinamismo sociale ed economico per avere uno spazio in un mondo, che piaccia o no, è ormai globalizzato? Potrà e vorrà l’umma, la comunità mussulmana, divenuta di fatto l’unico contesto internazionale di riferimento della Turchia, salvaguardare lo stato, la nazione, la cultura, la lingua turca, potrà garantire contratti e forniture, potrà scambiare con essa beni e servizi e socializzare scoperte e innovazioni?

22 luglio 2016

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