Le nozze di sangue

La domenica del 28 giugno 1500 giunse a Perugia Lavinia Colonna, figlia di Giovanni e Giustina Orsini, per diventare moglie di Astorre Baglioni, figlio di Guido, che, con il fratello Ridolfo, era il capo riconosciuto della famiglia e, di fatto, anche se non per conferimento papale, il signore della città. Con il matrimonio i Baglioni si imparentavano alle due più potenti famiglie principesche di Roma. I festeggiamenti, che durarono dodici giorni, furono sontuosi per i vestiti  e i gioielli ostentati dai convitati, per gli archi di trionfo, gli arredi, i banchetti, i canti, le musiche che coinvolsero i quartieri di Porta Sole, Porta Santa Susanna, Porta San Pietro, ma non Porta Sant’Angelo, perché da sempre avverso ai Baglioni. Una pioggia torrenziale accompagnata da tuoni, lampi e venti furiosi infuriò sin dalla prima sera e molti videro in questa tempesta un sinistro presagio, più che nel malessere diffuso, a cui mal si conciliava quell’allegria troppo ostentata per essere vera e condivisa.

Infatti da tempo a Ponte Pattoli e a Civitella si riuniva un gruppo di congiurati con lo scopo di sterminare i capi della famiglia Baglioni e poter così subentrare nella gestione dei poteri cittadini. Ne era il capo Carlo Baglioni detto il Bargiglia, che aveva ottenuto la complicità del ventiquattrenne Grifonetto Baglioni e di Filippo di Braccio, bastardo di casa Baglioni, nonché di Girolamo Della Penna.

Ad essi si erano aggiunti il cognato del Della Penna, Geronimo della Staffa, i fratelli Berardo, Pietro Giacomo e Ottaviano Della Cornia e il loro cugino Giovan Francesco.

In ombra rimase Giulio Cesare Varano, signore di Camerino, di cui era nipote il Barciglia, despota violento e senza scrupoli, a cui non dispiaceva di ridimensionare il potere della famiglia perugina, per accrescere i propri domini e influenze.

Molti di loro erano compagni di baldorie, scapestrati, privi di incarichi e di responsabilità, tenuti in poca considerazione, ma per questo spavaldi e ambiziosi. Solo Girolamo Della Penna disponeva di mezzi e sostanze molto consistenti, mentre Grifonetto si godeva la spensieratezza della giovinezza e viveva sotto l’influenza nefasta di Filippo, suo curatore e zio illegittimo.

Avevano concordato di passare all’azione alla fine delle feste per le nozze tra Astorre e Lavinia, approfittando anche dell’assenza momentanea da Perugia di Giampaolo Baglioni, figlio di Ridolfo e della permanenza a Spello di Adriano, figlio di Guido, detto, per la sua forza fisica e l’alta statura, Morgante.

La data dell’agguato fu decisa per la notte del 14 luglio e per mascherare le loro intenzioni i congiurati si recarono insieme ai Baglioni a San Luca, la chiesa dei Cavalieri del Santo Sepolcro, per ottenere l’indulgenza plenaria e poi cenare in amicizia e cordialità.

Dopo aver finto il ritorno alle proprie case si riunirono a casa del Bargiglia, dove, superate titubanze e paure, designarono le vittime e i loro esecutori, rassicurati anche dall’aiuto di numerosi armigeri per sgominare le guardie ed impedire il soccorso e la fuga di quelli che, per alcuni di loro, erano parenti stretti, per altri, nemici da sempre.

All’alba erano tutti davanti alle case dei Baglioni e il Bargiglia, aperta la porta della casa di Guido, diede il segnale dell’attacco. Astorre, disarmato, fu ferito a morte, accanto alla moglie, Guido, benché settantacinquenne, si difese con furia prima di essere sopraffatto, mentre Gismondo, suo figlio, fu ucciso senza che opponesse alcuna resistenza. Simonetto figlio di Ridolfo, riuscì a farsi largo tra gli assalitori e raggiungere la strada ma, anziché fuggire, preferì affrontarli, venendo ucciso a sua volta. Il fratello Giampaolo, aiutato da un suo servo, riuscì a fuggire da una finestrella che dava sui tetti vicini e, penetrato nell’abitazione vicina, aiutato da alcuni studenti, vestito con i loro abiti, raggiunse Porta Eburnea e da lì a piedi la casa del fratello Troilo, protonotario e arciprete, nei pressi delle Fonti di Veggio e poi raggiungere Marsciano.

I congiurati si recarono allora alle case dei Baglioni di Porta San Pietro, ma Gentile, prete e figlio di Guido, allertato dalle grida, a cavallo raggiunse Bastia, mentre Ridolfo, avvisato in tempo, travestito, raggiunse il vicino monastero di Santa Maria degli Angeli e, a cavallo, si rifugiò a Cannara.

Compiuta la strage i congiurati tentarono di aggregare intorno alle loro persone altri maggiorenti perugini, con scarso successo per le controversie subito scoppiate tra loro e le loro evidenti incapacità al governo e alla difesa militare, che li resero immediatamente inaffidabili a tutti, anche a coloro che finora non avevano visto di buon occhio l’egemonia dei Baglioni.

Nel frattempo Gianpaolo, radunati freneticamente tutti gli armati disponibili nelle terre soggette o amiche, a cui si aggiunsero alcune compagnie a cavallo di Vitellozzo Vitelli, tradizionale amico dei Baglioni e occasionalmente di stanza a Pantalla di Todi, il 16 luglio marciò alla volta di Perugia, dove poté entrare dalla Porta di San Costanzo senza incontrare resistenza, perché i congiurati si erano già ritirati nel quartiere di Porta Sant’Angelo per essere pronti alla fuga.

Solo Grifonetto non fuggì e trovò la morte sulla salita di Sant’Ercolano, non per mano di Giampaolo, che evitò di macchiarsi, a sua volta, del sangue familiare, ma dei suoi seguaci. La madre Atalanta e la moglie Zenobia raccolsero i suoi ultimi rantoli, prima che il cadavere fosse portato su un cataletto in Piazza Grande per ludibrio e ammonimento.

Fonte:

Luigi Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini al 1860, vol. II, Unione Arti Grafiche, Città di Castello, 1960

 

Baloneus Astur, I Baglioni, Leo S. Olschi, Firenze, 1964

 

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