
Terni è divisa in due dal fiume Nera e dal suo affluente Serra: sulla riva destra la città antica, piccola ma compatta, un aggregato urbano sopravvissuto ai saccheggi medievali, al riassetto moderno postunitario, alle bombe della Seconda guerra mondiale e alla successiva ricostruzione; sulla riva sinistra la città industriale con le fabbriche elettriche, chimiche, siderurgiche e con i borghi e le case operaie che oggi è anche la città postindustriale e postmoderna. Tutto intorno, a prescindere ormai dai due fiumi, la città diffusa, a sfruttare gli spazi fino alle colline circostanti la conca, verso Rieti a est e a occidente verso Narni, sempre ad inseguire le attività produttive. Tutto sembra infatti condizionato dalla fabbrica: l’impianto urbano, le soluzioni architettoniche, la dimensione e la dinamica sociale, la vita culturale.
Sembra, ma così non è, o meglio non è più così.
Per questo bisogna tornare al fiume Nera, alle sue acque che scorrono via rapide, quasi un torrente montano che per la sua natura violenta non favorisce la contemplazione o la meditazione. Infatti non c’è un lungofiume su cui passeggiare, incontrarsi, amoreggiare, né ci sono ponti per unire e avvicinare parti urbane anche diverse, ma solo passaggi per un attraversamento veloce e finalizzato. La forza del fiume Nera, dei suoi affluenti e dei canali che ne derivano, delle opere di presa delle acque, delle condotte forzate, delle dighe sono state la forza della città e, forse, ne hanno forgiato il carattere, non solo le armi e l’acciaio delle sue fabbriche. Di certo i processi di industrializzazione e di urbanizzazione sono stati qui impetuosi, come impetuose sono le acque del Nera.
Bisogna seguire le antiche strade, l’unico vero retaggio, la sola testimonianza certa del passato che è ancora certezza del presente.
Il decumano romano muove da Porta Sant’ Angelo e raggiunge il fiume al Ponte Garibaldi, tramite le vie Cavour e Garibaldi. In mezzo c’è l’antico foro, oggi una sequenza di tre spazi diversi, tutti appartenenti ad uno stesso ambito, senza diaframmi o fratture tra di loro. Ottenuto l’isolamento monumentale di Palazzo Spada con un radicale svuotamento urbano, Piazza della Repubblica, antico baricentro, si dilata verso la nuova Piazza Europa, in un continuum che coinvolge anche Piazza Solferino, quasi prescindendo dal Palazzo Comunale, ridimensionato nel suo ruolo spaziale e funzionale.
Il cardo romano, che coincideva con l’attraversamento cittadino della via Flaminia, è ancora percorribile tramite via Roma e oltre Piazza della Repubblica tramite il Corso Vecchio. Si può invece continuare diritti, ma si è in pieno ottocento, su Corso Tacito e poi, oltre piazza Tacito, su viale della Stazione fino a piazza Dante Alighieri. Il nuovo decumano, il grande asse viario che partendo da ovest attraversa la città compatta con via Battisti, via Mazzini e Viale Brin, per raggiungere ad est la Fabbrica d’Armi e le Acciaierie, rafforza la centralità di Piazza Tacito, facendone il nuovo baricentro finanziario e amministrativo della città.
Queste strade innervano il vecchio e il nuovo, i restauri e le ristrutturazioni, il degrado e l’innovazione, la pianificazione e la improvvisazione. A Terni non c’è il prevalere dell’antichità o dell’emergenza artistica, come in altre città umbre, o il trionfo dell’innovazione e del rinnovamento, come ci si potrebbe aspettare dal principale centro manifatturiero regionale. E’ una città moderna, complessa e contraddittoria, che deve razionalizzare l’ampiezza del suo spazio urbano, cresciuto ben al di là di disegni, piani e modelli, di fatto policentrico e conciliarlo con le testimonianze di originalità e bellezza che sono ancora rintracciabili in quella parte chiamata inopportunamente centro storico.
Porta Sant’Angelo, anche se in incongruo isolamento dopo l’abbattimento della cinta muraria, segna l’entrata in una realtà urbana minuta e compatta, esaltata dal vuoto edilizio del fossato che circondava le mura, oggi viale alberato e giardino pubblico.
Dopo pochi passi lungo via Cavour, via Sant’Alò porta in un ambiente nato intorno alla chiesa omonima, reso suggestivo dal prospetto e dall’abside della chiesa, da un edificio trecentesco con murati numerosi frammenti di sculture romane e medievali e dai circostanti edifici ottocenteschi. L’interno della piccola chiesa, a tre navate divise da pilastri e da colonne, è coloratissimo per gli affreschi quattrocenteschi che ricoprono gran parte delle pareti, dei pilastri e dell’abside ed è animato dalla folla di santi che vi sono rappresentati. Aggiungono colore e calore gli arredi aggiunti dalla comunità ortodossa romena di Terni, che ne ha avuto la disponibilità per le proprie funzioni religiose e sociali.
Sul lato opposto di via Cavour un sottopasso medievale, protetto dal piccolo affresco cinquecentesco di lu fraticellu, immette in via del Leone, che raggiunge la piazza dell’Olmo, così detta dal grande olmo siberiano piantato nell’aiola centrale, ormai scomparso, e soprannominata oggi ironicamente Piazza Batman per i quattro tendoni neri che la coprono, con l’intento di offrire un riparo e un richiamo ai giovani della movida ternana. Ma è la vicina chiesa di San Francesco la vera emergenza del quartiere e forse di tutta la città. E’ poco quello che resta del duecentesco edifico a una sola navata come dettato dall’ordine francescano, dopo le ristrutturazioni che hanno aggiunto, modificato, eliminato. Tutto il complesso è stato ripensato prima della Seconda guerra mondiale per soddisfare nuovi committenti e nuove esigenze liturgiche, dopo la guerra per colmare i vuoti lasciati dai bombardamenti, che avevano distrutto il chiostro e la cappella del braccio destro dedicata a S.Bernardino, gravemente danneggiato la cappella del braccio sinistro e con esse arredi e decorazioni, fatto crollare il tetto del transetto meridionale e la volta della crociera e scardinato la porta meridionale della facciata. La chiesa ha recuperato la sua monumentalità, le ferite sono state rimarginate anche se ne sono leggibili i segni, ma soprattutto è ancora ammirabile il ciclo pittorico quattrocentesco della Cappella Paradisi, raffigurante il Giudizio Universale. Sconcerta sapere che l’ingresso alla cappella era stata murato dai frati e che la cappella è stata riaperta al culto solo nel 1861, dopo essere stata utilizzata come magazzino. E’ vero che è recente l’attribuzione dei dipinti al folignate Bartolomeo di Tommaso, ma non poteva lasciare indifferenti la drammaticità delle scene dei condannati e l’estasi dei salvati, trascinati da un Cristo risorto e trionfante a cui fa da contrappeso un Lucifero fagocitatore di anime. Le figure sono rappresentate con estremo realismo all’interno di un contesto naturale, fatto di grotte e anfratti, rappresentato nella sua essenzialità, quasi metafisico, perché vuole essere solo un elemento connettivo, a riempire lo spazio tra i tanti episodi senza distrazioni né sovrapposizioni, mentre il Paradiso è una pura astrazione di santi, angeli e apostoli.
Palazzo Mazzancolli, di nuovo in via Cavour, ripropone ancora medioevo, anche monumentale, oltre il modello architettonico delle case torri, tanto da inglobarne due, dopo averle mozzate, senza perdere però l’imponenza della facciata, resa meno severa ma più armoniosa. Il palazzo pretende uno spazio davanti e via Cavour si slarga, per contenere anche la piccola chiesa di Santa Croce, della cui origine antica non resta niente, soprattutto all’interno, freddo per il troppo travertino e i finti cassettoni del soffitto.
Che via Cavour sia stata una strada importante lo testimoniano altri palazzi come l’odierno Possenti-Castelli ma soprattutto palazzo Sciamanna, anche se di fatto la facciata principale prospetta su via Tre Colonne, con le mostre delle finestre del primo piano che alternano eleganti timpani triangolari a timpani convessi e il portale rinascimentale asimmetrico per facilitare l’accesso delle carrozze alla piccola corte interna.
Ancora due palazzi nobiliari, un balconcino cinquecento e una porta fiorita e si apre lo spazio di Piazza della Repubblica o Piazza del Popolo. E’ l’antico foro romano, la platea magna civitatis medievale, il baricentro della città fino all’unità d’Italia. E’ ormai difficile se non impossibile ritrovare tutto questo, nonostante la quinta solenne dell’ex palazzo municipale con la sua torre modernista e la contenuta eleganza degli altri palazzi che fanno da cornice, ma lo sguardo si perde, perché lo spazio si dilata ben oltre questa piazza, verso altre piazze, e trova un punto fermo solo sulla mole arcigna di Palazzo Spada.
Un vero e proprio stravolgimento dell’assetto strutturale di Piazza della Repubblica si era già verificato a partire dalla demolizione nel 1921 della Chiesa di S.Giovanni Decollato, al cui posto era stato costruito in stile eclettico-monumentalista, su progetto di Cesare Bazzani, il Palazzo delle Poste, completato nel 1936, oggi destinato ad altre funzioni e la stessa sorte aveva seguito la grande fontana barocca che affiancava la chiesa. Ma era stata l’apertura di Corso Tacito a proporre un nuovo cardo urbano, molto più funzionale e rappresentativo di Corso Vecchio e a spingere la città verso la stazione, creando altri baricentri.
Con il Piano regolatore del 1937 si prevede infatti la costituzione di tre centri urbani funzionali, rappresentati da Piazza della Repubblica con funzione rappresentativo residenziale, piazza Tacito come centro finanziario e amministrativo e piazza Buozzi, la vecchia piazza Valnerina, come nodo del movimento industriale.
Saranno le bombe della Seconda guerra mondiale e la conseguente ricostruzione a disarticolare definitivamente il vecchio centro, senza che potesse assumere i connotati di centro storico, come avverrà nella maggior parte delle città umbra, perché privo della monumentalità e dell’eccellenza architettonica maggiore e minore.
Protagonista assoluto di questa vicenda è Mario Ridolfi che, con l’incarico per la redazione del piano di ricostruzione nel 1945, inizia la sua lunga attività di urbanista a Terni, per poi continuare, in collaborazione con Wolfang Frankl, con il Piano Regolatore degli anni 1955-1960, con la variante al piano di ricostruzione del 1959 e con i vari piani particolareggiati delle zone storiche. Già nel 1932 Mario Ridolfi aveva vinto, con Fagiolo, il concorso nazionale bandito per la modificazione dell’assetto di Piazza Tacito, prevedendo l’installazione di una fontana, con disegni di Corrado Cagli, al posto del monumento ai caduti e l’introduzioni di lecci in armonia con la Banca d’Italia e il palazzo del Governo. Dovrà fare i conti con l’eredità pesante di Cesare Bazzani, a cui si devono a Terni il Palazzo delle Poste in Piazza della Repubblica, il Palazzo del Governo a Piazza Tacito, la palazzina Alterocca, la Centrale Elettrica di Galleto, la villa di via Battisti, il Palazzo della Previdenza Sociale, la Chiesa di S.Antonio, tutti prodotti architettonici che si inseriscono in una filone stilistico neoclassico, eclettico e tradizionalista.
Fonti:
L’Umbria Manuali per il territorio Terni, volume I e II, Edindustria, Roma, 1980
Loreto Di Nucci, Fascismo e spazio urbano Le città storiche dell’Umbria, Il Mulino, Bologna, 1992
Touring Club Italiano-Corriere della Sera, Guide d’Italia Umbria, Milano, 2012
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