Non è mai stata una piazza ed anche il nome con cui viene comunemente appellata non è quello ufficiale, perché nessuno si sogna di chiamarla Piazza Fortebraccio né tantomeno Pianello del Borgo, la sua antica denominazione. Fu il cardinale legato Marino Grimani che nel 1536 volle “si formasse una diritta strada dalla Porta detta Vecchia o Della Penna sino alla chiesa di S.Agostino, col demolire le case che si opponevano a una tale direzione” E’ sempre stata un imbuto scosceso, dove si incrociavano le spine medioevali di via della Lungara, di via dei Pasteni, di via Muzia, del Bulagaio, oggi rispettivamente Corso Garibaldi, via Ariodante Fabretti e via Pinturicchio, a ridosso dell’Arco di Augusto, uno dei principali accessi alla Città Vecchia. Quelle strade erano la continuità di Via Vecchia, oggi Ulisse Rocchi, strette, anguste, di terra battuta, ma rettilinee, funzionali ai traffici di carri e carrozze e l’asse da Porta della Pesa all’Elce era addirittura pianeggiante. Niente era concesso a spazi aperti perché orti, giardini, vivai erano più in basso, alla Conca, con anche l’ippodromo di via del Maneggio, mentre ai due fianchi dell’Arco si addossavano povere abitazioni, con un forno e la fucina di un fabbro e, vicinissima, la mole magnifica e austera di Palazzo Antinori, costruito tra il 1740 e il 1758, fronteggiata dalla casa, meno austera anche se settecentesca, dove era nato il musicista Francesco Morlacchi, evento ricordato da una lapide marmorea con bassorilievo.
Tutto questo fino all’Unità d’Italia.
Nel 1879 si dava l’avvio alla strada di Monte Tezio, dalla piazza alla Barriera Daziaria dell’Elce, costruita con la legge del lavoro obbligatorio ed espropriando terreni di confraternite, di parrocchie e di ricchi possidenti.
Tra il 1884 e il 1888 si pose mano al restauro dell’Arco Etrusco con l’acquisto e l’abbattimento delle case costruite a ridosso delle mura, l’eliminazione di due orinatoi posti ai lati della porta, la soppressione di una cisterna inserita nel corpo della torre di sinistra e la costruzione di sottofondazioni.
Nel 1888 si realizzò l’allargamento di via Muzia con un riallineamento delle aree edificate a partire dalle nuove case Mammalucchi sino all’edificio di proprietà dell’Ospedale di Panicale, tutte prospicienti a via del Melo.
Agli inizi del novecento si avviarono i lavori della nuova strada di collegamento con Piazza Cavallotti, terminata nel 1906, dopo anni di contrasti, di aspre opposizioni, di gravi infortuni sul lavoro, di modifiche del tracciato originario e venne chiamata Via Nuova, poi via Ferrer oggi via Battisti.
Negli anni ‘30, grazie a centomila dollari donati dall’americano conte Frederic Thorne Rider, fu ampliato il Palazzo Antinori, divenuto Palazzo Gallenga e poi sede dell’Università per Stranieri.
Nel 1939 il “piccone demolitore” fascista radeva al suolo la spina medioevale prospiciente, con la motivazione del suo risanamento igienico edilizio.
A farne le spese fu un palazzo settecentesco di tre piani, di proprietà Donati, con un accesso monumentale, un atrio e una corte interna con tre appartamenti per piano. Vi vivevano numerose famiglie tra cui, al terzo piano Alberto Palmerini e la figlia Alma che conviveva con Domenica Mamei e la figlia Elsa Mancini, con accanto la famiglia Mancini proprietaria della lavanderia sotto l’Arco Etrusco. Al piano sottostante la sarta Guerrina moglie di Renato Giottoli e la famiglia della moglie di Livio Tilli. Al piano terra botteghe e artigiani, tra cui il forno e la vendita di alimentari Scapicchi, il botteghino di frutta e verdura e giornali della “Gobba”, il Caffè di Remo Ottolenghi, l’officina del gommista Mario Santucci, la farmacia del dottor Alberto Vitali, che l’aveva rilevata nel 1930 dopo la gestione di Candido Vannoni, in quanto il padre del Vitali, Camillo, era medico e non farmacista.
Una vera e propria comunità, che sosteneva una intensa vita sociale, animata anche dall’antico Orto dei Macellari, poi dopolavoro Rossetti-Tiberi, che sfruttava, per il gioco delle bocce e per il ritrovo di tutto il quartiere, i giardini circostanti la Caserma dei Carabinieri, in via degli Scortici. Questa comunità fu sostituita da uno spazio anonimo, un vuoto urbano a malapena ingentilito dai lecci e da poche panchine, con infine l’installazione di un campo di pallacanestro.
Tutti questi interventi non modificarono il crocevia.
Piazza Grimana rimase il ritrovo di tanti, un luogo di appuntamenti, una maniera per raccogliere notizie da chi transitava a piedi o su un carretto. Poi le automobili velocizzarono i percorsi, intensificarono gli attraversamenti, affiancate dalle filovie prima e dagli autobus dopo, ancora alle prese con quell’imbuto costretto da vecchie e da nuove case, che ci si ostina a chiamare piazza, anche se Grimana.
Fonti:
Descrizione topologico-storica della città di Perugia esposta nell’anno 1822 da Serafino Siepi, Perugia, Dalla Tipografia Garbinesi & Santucci.
Alberto Grohmann, Perugia, Roma-Bari, Laterza, 1981
Franco Bozzi, La Conca di Sant’Angelo: dall’unità agli anni nostri in Un quartiere e la sua storia La Conca di Perugia Itinerario per una conoscenza e una proposta, Quaderni Regione dell’Umbria Serie Ricerche sul territorio n.3 1983.
Averardo Montesperelli, Perugia Guida alla conoscenza della città, Perugia, Simonelli, s.d.
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