15 maggio 2016 Deficit di comunicazione o vendetta politica?

In un consesso cosiddetto civile esistono regole certe che definiscono i poteri e impediscono gli strapoteri. Sono legittimate dal consenso espresso chiaramente almeno dalla maggioranza di coloro che appartengono a quella comunità, che si dota di questi strumenti per permetterne il governo, ma contestualmente anche il suo controllo.

Per questo esistono assemblee elettive, organi legislativi ed esecutivi, poteri e contropoteri, leggi e statuti. Tutto questo vale per una bocciofila o per un partito politico, per una associazione come per una impresa profit o non profit, per un ente di propaganda sportiva come per un condominio.

Non lo impone tanto lo stato di diritto, quanto il bisogno di efficienza ed efficacia, il produrre benefici almeno per quella comunità, ricavarne un profitto non necessariamente solo materiale.

Perché questo non vale per il Movimento 5 Stelle? Forse perché non si definisce partito, perché rigetta la cultura politica del novecento, considera statuti, congressi, direttivi, segreterie come orpelli burocratici, appesantimenti se non ostacoli all’azione politica?

Se questo è vero c’è da dire che è in buona compagnia tra partiti azienda e partiti della nazione, tra leader che sono nello stesso tempo capi e patron amministrativi, tra segretari politici anche primi e secondi e terzi ministri, tra organismi dirigenti composti di nominati e non di eletti.

Eppure il Movimento 5 Stelle sembrava nato per il rinnovamento della politica italiana, per risanare il paese dalla corruzione e dal malgoverno, per ridare dignità alle istituzioni rappresentative, per ricercare forme di democrazia diretta, per un ricambio generazionale del ceto politico.

Così lo ha vissuto gran parte dell’opinione pubblica nazionale, per questo lo hanno votato milioni di elettori, per questo ha suscitato simpatie, interesse e curiosità in senso trasversale alle classi sociali, alle generazioni, ai generi.

Come è possibile che non riesca a distinguere tra un rinvio a giudizio e un avviso di garanzia, tra le diverse valenze di reati diversi quali, ad esempio,  il reato di abuso d’ufficio e quello di turbativa d’asta e concussione.

Come è possibile che un deficit di comunicazione, all’interno di un movimento in cui non sono chiari né ruoli né responsabilità che definiscono canali e modalità appunto di comunicazione, possa essere considerato colpa grave e meritevole di sospensione e di futura espulsione dal movimento?

A meno che Pizzarotti abbia mal governato la sua città, abbia approfittato della sua carica di sindaco per garantirsi benefici e profitti personali, abbia stretto rapporti di malaffare, abbia ingannato i suoi amministrati. Potrebbe aver fatto tutto questo senza essere inquisito, né rinviato a giudizio, né condannato, ma scoperto dal suo movimento e per questo denunciato pubblicamente e pubblicamente espulso. Del resto non è forse vero che “la moglie di Cesare deve essere al di sopra di ogni sospetto”?

Ma così non è.

Sembra invece una vendetta politica, l’occasione di una eventuale mancanza per l’eliminazione di un dissenziente, un avvertimento ad altri possibili oppositori.

Ma da parte di chi? Di Grillo? Della Casaleggio Associati? Del Direttorio? Chi comanda nel Movimento 5 Stelle? C’è qualcuno che ha più potere di altri, siano deputati o elettori o semplici affiliati? In quale sede o consesso vengono prese le decisioni e vengono ratificate? Chi controlla chi?

Sono domande sicuramente fatte in nome di una concezione della democrazia ormai passata di moda, derubricata nell’agenda politica a categoria datata e inattuale, ma forse legittime nei confronti di una forza politica che fa dell’onestà la sua parola d’ordine, ma non la coniuga con la uguaglianza e la giustizia sociale e, fatto altamente significativo, si appresta a governare alcune tra le principali città italiane e concorrere al prossimo governo del paese.

15 maggio 2016

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