A molti la sinistra attuale appare frantumata, dispersa, competitiva, raramente animata da momenti davvero unitari e molti attribuiscono tutto questo ad una forte miopia politica, che impedisce di vedere oltre il proprio ombelico, spesso segnato da protagonismi e da bandierine polverose. Si denuncia un deficit di soggettività, una mancata volontà di ricomporre un’area politica che in tempi non lontani, se non maggioritaria, era egemone nel nostro paese.
Ci si dimentica che quest’area si richiamava a diverse tradizioni e culture politiche, a partire da quella anarchica, per arrivare a quella socialista e comunista, senza dimenticarci della cultura liberalsocialista, di quella più genericamente progressista e del cosiddetto cattocomunismo.
Quest’area agitava tante bandiere, era caratterizzata da aspri conflitti, era attraversata da fortissime tensioni, si riconosceva nel protagonismo dei propri leader ed in essa non mancavano abiure, scissioni, scomuniche, espulsioni, radiazioni. Senza omettere gli errori e gli orrori dello stalinismo, anche nostrano, l’assurdità della teoria del social fascismo, la tragedia (che riguarda anche noi italiani) dello scontro armato tra repubblicani durante la Guerra civile spagnola, la concorrenzialità, se non la conflittualità, tra le diverse formazioni partigiane durante la Resistenza, la netta contrapposizione, a partire dal secondo dopoguerra, tra partecipazione al governo del paese e le pratiche di netta opposizione.
Tutto questo era però ai margini, era relegato come secondario, non metteva in discussione una pratica politica che era unificata da obiettivi generali condivisi, in cui tutta la sinistra si riconosceva. Se non era una idea comune di società, c’era un concetto unificante di stato per il quale era necessario lottare uniti: uno stato di diritto, uno stato democratico, uno stato detentore del bene pubblico. Con la consapevolezza, più o meno condivisa, che il diritto era quello borghese, che la democrazia era quella elaborata dalla classe sociale dominante, che rimaneva, per il momento, controllore e gestore del bene pubblico. Diritto, democrazia, bene pubblico erano comunque valori unificanti, anche se erano diversamente valutati o come storicamente determinati o come universali e per questo classificati nell’ambito della tattica o della strategia politica.
Fino all’ultima, recente ed ennesima rivoluzione borghese, al sommovimento generale, chiamato genericamente globalizzazione, che ha ridefinito i valori, gli assetti di potere, le logiche e le modalità di governo, le centralità finanziarie e le priorità economiche. Le conseguenze sono state il ridimensionamento dello stato di diritto, l’azzeramento della democrazia, la privatizzazione del bene pubblico.
Non è più vero che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e davanti allo stato, perché l’ineguaglianza sociale, da male apparentemente inevitabile è diventato elemento strutturale e necessario per l’economia, per i mercati, per il potere. Ci sono ormai cittadini di diversa serie, moltissimi non hanno cittadinanza né mai l’otterranno, la schiavitù è di nuovo un fattore produttivo, il diritto sancito dalla legge è tornato ad essere una forma inappellabile di controllo sociale. Non è un caso che la giustizia sociale sia scomparsa dall’agenda politica, la disoccupazione e il non lavoro non siano più uno scandalo, la corruzione sia la condizione della governabilità e La Carta Costituzionale, massima garanzia di uno stato di diritto, sia vista o come un retaggio del passato o un vincolo insopportabile per la finanza e per il mercato.
La democrazia viene universalmente definita (con un eufemismo)”in crisi”, quando ormai domina incontrastato il principio della governabilità su quello della rappresentatività, i parlamenti quali organi legislativi sono subalterni agli esecutivi, le leve del potere sono dei nominati e non degli eletti, la disaffezione al voto supera in percentuale quella di qualsiasi partito o coalizione, gli strumenti di democrazia diretta o sono inesistenti o vengono banalizzati.
I beni pubblici, quando rimangono tali sul piano formale, vengono di fatto gestiti in forma privatistica. Aziendalizzati, con il bilancio quale unico obiettivo e unico strumento di valutazione, azzerata ogni forma di controllo dal basso, negate possibilità di reale partecipazione, da possibile fonte di ridistribuzione della ricchezza sotto forma di servizi al cittadino, sono ormai appendici del potere politico e concepiti solo come fonti di profitto.
Questo processo, che è rivoluzionario per la sua ampiezza e capacità di mutamento, ha tra le sue tante vittime anche la sinistra, nostrana e straniera. E’ stata sconfitta in tutte le sue versioni, socialdemocratica e rivoluzionaria, movimentista e ribellista, di lotta e di governo. Le è stata letteralmente tagliata l’erba sotto i piedi, deprivandola dei suoi possibili obiettivi strategici e vanificando le sue tattiche. Lo smarrimento, l’inconsistenza, la frantumazione, il prevalere di contraddizioni anche secondarie ne sono la conseguenza, molto più dei tanti personalismi e della diffusa miopia politica. E’ invece il caso di cambiare prospettiva, utilizzare nuovi paradigmi, dotarsi di nuovi valori, elaborare nuove strategie. Tre esempi: potere dal basso vs potere dall’alto, omnicrazia vs democrazia, beni comuni vs beni pubblici.
1° maggio 2016
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