23 marzo 2016 Rabbia e orgoglio

L’ennesima tragedia che colpisce una capitale europea per mano del terrorismo islamico, dopo Madrid, Londra, Parigi nasce lontano geograficamente dall’Europa, ma le è vicina sul piano politico. La destabilizzazione di due stati chiave del Medio Oriente, l’Iraq e la Siria, e della Libia, fondamentale per gli equilibri nel Maghreb, ha riacceso in forme nuove lo storico conflitto tra sciti e sunniti, da sempre in lotta per l’egemonia del mondo islamico, entrambi costretti a fare i conti con pesanti persecuzioni e discriminazioni, a seconda dell’essere componente religiosa, ma anche sociale ed economica, maggioritaria o minoritaria. Il vedersi negato, all’una o altra componente del mondo islamico, potere e poteri, ha creato un profondo risentimento ed una altrettanto profonda necessità di riscatto e di emancipazione, mai rappresentata né rivendicata nelle forme e nelle regole della democrazia borghese occidentale e che oggi esplode con una violenza cieca e disperata. Ma la destabilizzazione di stati e regimi mediorientali non è avvenuta tanto per conflitti e contraddizioni interne, quanto per l’intervento militare dell’Europa e degli Stati Uniti, che portano la responsabilità morale e politica di un dissesto traumatico, di cui non si è programmata l’evoluzione, né si è pianificata una alternativa. Una pratica cinica delle alleanze dettata solo dalle convenienze economiche e un’iniziativa diplomatica miope ancora ingessata in una logica di guerra fredda ha completato un quadro, in cui Europa e Stati Uniti sono apparsi complici, se non diretti responsabili, di tutte le miserie e di tutte le ingiustizie del mondo islamico.

Non ha favorito inoltre l’indifferenza ostentata nei confronti dei diritti del popolo palestinese, i crimini di guerra perpetrati nelle guerre del Golfo, le condizioni inumane della prigione di Guantanamo e la evidente bramosia occidentale nei confronti del petrolio, fonte di ricchezza smisurata per poche famiglie o ridotte oligarchie e di benessere per le comunità europee e americane.

Ma tutto sarebbe rimasto confinato in quell’area geografica se l’Europa (e anche gli Stati Uniti) non avesse al suo interno intere comunità di diversa origine, retaggio in molti paesi di un recente passato coloniale, di cui non si è curata una vera integrazione, prodromo di emancipazione sociale e di crescita economica. Da tempo le periferie delle grandi capitali europee sono luoghi di segregazione e di mortificazione, in cui si accendono rivolte improvvise e violente, in cui cova la stessa voglia di riscatto e di emancipazione delle masse mediorientali, che non trova neanche nella “culla della democrazia” modi e forme di rappresentazione e di soluzione. Le ha trovate nelle rivendicazioni e nelle azioni dell’autoproclamato  califfato e nelle tante frange del jihadismo.

Le stragi di Bruxelles e di Parigi sono state compiute da cittadini europei, immigrati di terza o quarta generazione, magari foreign fighters in Siria o Iraq, tornati nei paesi di origine per compiere azioni di retrovia, per creare altri fronti rispetto a quello divenuto insostenibile in Medio Oriente. Sono sicuramente gruppi minoritari, ma determinati e soprattutto armati, che non hanno subito nessun controllo sociale nelle proprie comunità, con cui condividono spesso l’identità religiosa ma soprattutto la rabbia e l’orgoglio, ma neanche nessuna attenzione né sociale né poliziesca dalla società nel suo complesso. Non sono stati intercettati né prevenuti nelle loro azioni criminali, sicuramente sottovalutati, non considerando che la loro efficienza operativa si basa su due soli elementi: la disponibilità di esplosivo e la volontà di uccidersi come kamikaze. Questo semplice insieme li rende temibili e terribili e rischia, se non contrastati efficacemente con azioni di intelligence e di polizia, invincibili.

Ma un vero processo di integrazione e un parallelo processo di prevenzione e contrasto presuppone una comunità europea, perché la sfida lanciata dai terroristi è all’Europa, anche sul piano simbolico. Una Europa unita e forte di una sua identità, un aggregato di popoli non di nazioni, con in comune non solo la moneta ma una politica estera, un esercito a difesa, un sistema integrato di controllo sociale, una carta costituente e non un trattato, strumenti legislativi sovraordinati ai parlamenti nazionali, un esecutivo di eletti. Un’Europa espressione di diritti non di rabbia e orgoglio.

23 marzo 2016

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