11 dicembre 2015 La fiducia

Nelle ragionieristiche considerazioni del Governo a proposito del cosiddetto decreto salva banche, non compare mai la parola fiducia, nonostante che sia la parola chiave per capire questo triste capitolo di storia nazionale, incomprensibile se si utilizzano, riferiti ai clienti di Banca Marche, Banca dell’Etruria e del Lazio, Carrife e Carichieti, i termini di dabbenaggine, superficialità, ingordigia, temerarietà, disinformazione.

Quello che ha convinto migliaia di persone ad investire i risparmi di una vita non è stata la frenesia speculativa di garantirsi un forte e rapido utile senza alcuna fatica, ma l’essersi fidato di sportelli bancari ai quali si era chiesto consulenza, suggestioni, suggerimenti utili per sfuggire al cappio di un conto corrente a costi spropositati e a interessi attivi inesistenti, alla perdita rapida e inesorabile di valore del piccolo capitale finanziario messo insieme in una vita di lavoro, per sfuggire dalla condizione terribile di trovarsi senza risorse immediatamente disponibili in un contesto di crisi del welfare, di privatizzazione crescente del sistema sanitario pubblico, di ridimensionamento se non scomparsa dei tradizionali luoghi e ambiti di solidarietà, mutuo aiuto, assistenza pubblica.

Si sono rivolte non a grandi banche, lontane e inaccessibili, ma a banche legate ai territori, di cui alcuni avevano anche poteri di controllo e supervisione, di cui conoscevano, se non erano in amicizia, cassieri, operatori, direttori. Le filiali erano di prossimità, non lontane da casa, come lo sono le farmacie di quartiere, gli ambulatori dei medici di base e dei veterinari, i distretti sanitari, gli studi legali o tributari, i venditori di beni di consumo, i parroci. Il rapporto con tutti questi soggetti, che insieme costituiscono una comunità, si basa solo e unicamente sulla fiducia, cioè al senso di sicurezza che essi siano conformi alle proprie attese e speranze. La frequentazione di queste banche era costante, cadenzata nel tempo, in modo di avere, immediatamente e direttamente, conferme e sconferme sul destino dei propri soldi, senza lungaggini burocratiche, documenti incomprensibili, siti inaccessibili. Perché pensare che queste banche stavano vendendo nel mercato italiano prodotti finanziari inadeguati e inappropriati, che erano sempre meno interessate a fare da intermediazione tra risparmio ed investimento e che invece utilizzavano la raccolta di liquidità per investire nella speculazione finanziaria, trattando i piccoli risparmiatori come polli da spennare e non come soggetti attivi nel processo di investimento produttivo e di sviluppo economico? Avevano anche fiducia che la Banca d’Italia, nonostante che, come tutte le banche centrali europee, avesse perso il ruolo di centro di produzione del denaro, avesse conservato e potenziato quello di vigilanza sui conti delle varie banche e quindi di tutela dei risparmiatori. Si fidavano che, anche se con poteri ridotti, rimanesse un punto di riferimento importante, in un quadro di corruzione, di arroganza, di incompetenza. Avevano inoltre fiducia in un Governo che mai avrebbe dovuto permettere, con tanto cinismo e leggerezza, il depauperamento di interi territori, privando di fondi legittimamente posseduti circa 130.000 famiglie, già super tassate, indebolite dalla crisi economica, stressate dalla rarefazione crescente di servizi pubblici.

Oggi questa fiducia è persa, quasi volatilizzata. E non riguarda ormai solo le banche e le loro obbligazioni subordinate ma anche l’opportunità di conti correnti, del risparmio stesso, dell’investimento produttivo, dell’essere soggetto sociale significativo, anche se, come pensionato, fuori dal mercato del lavoro. E non riguarda solo i clienti della quattro banche fallite. Si aggiunge alla mancanza diffusa di fiducia nella politica, nelle istituzioni, nelle elezioni, nelle assemblee elettive. Siamo ad un passo dalla sfiducia totale nella democrazia.

11 dicembre 2015

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