17 novembre 2015 A’ la guerre comme à la guerre!

Con la strage di Parigi i francesi hanno scoperto di essere in guerra, o meglio, hanno preso atto di essere in guerra. Il termine guerra ha fatto la sua comparsa  nelle parole dei governanti, dei politici, dei giornalisti, come se la Francia non fosse da tempo impegnata in azioni militari, a partire dal 2011, con le incursioni aeree dell’operazione Hamattan sulla Libia, che porterà alla caduta di Gheddafi e allo scoppio della guerra civile che da allora ha destabilizzato il paese magrebino. E poi nel 2014, quando migliaia di militari francesi furono impegnati in una campagna globale contro il “terrorismo di matrice islamica” in Africa e che oggi li vede coinvolti in un’area compresa tra il Ciad orientale, il Niger, il Mali, il Burkina Faso e la Mauritania. Inoltre l’aviazione francese è impegnata da più di un anno nell’ambito dell’operazione Chammal in Irak e da settembre opera anche in Siria con l’obiettivo dichiarato da Hollande di “colpire terroristi che preparavano attentati contro la Francia”. Inoltre la Francia ha inviato apparecchiature e denaro a favore dei ribelli in lotta contro il regime di Assad e ha sottoscritto accordi di cooperazione militare con le forze armate libanesi per la consegna di armi e l’addestramento delle forze armate di quel paese. Nel contempo la Francia sta potenziando l’acquisto dagli USA di aerei per il trasporto truppe e il rifornimento in volo, i relativi equipaggiamenti e ricambi, missili, radar, sistemi radio e di contromisure elettroniche.

Perché solo oggi il presidente Hollande e il governo francese parla esplicitamente di guerra? Forse dovrebbe ammettere che non si è curato di garantire la sicurezza delle retrovie, perché tale è il territorio francese e la neutralizzazione della quinta colonna, cioè il concentrato di migliaia di giovani ghettizzati nelle banlieue, discriminati, umiliati, facile preda della propaganda jihadista.

Dovrebbe riconoscere l’unilateralità di queste scelte militari, avvenute non di concerto con gli alleati, senza il pieno consenso degli istituti internazionali, dettate dall’esigenza di dare un ruolo forte e determinante nei conflitti in corso nel mondo alla Francia, ex potenza coloniale, e a se stesso, un presidente privo di autorevolezza e ormai in caduta libera nell’apprezzamento dei propri concittadini. Come non prevedere e provvedere alla diversa tattica dell’Isis, che in difficoltà sul piano militare per le offensive aeree, soprattutto russe, per la controffensiva dell’esercito di Assad e di quello irakeno e per l’azione sistematica di riconquista del Kurdistan da parte dei peshmerga, ha ritenuto più opportuno utilizzare i foreign fighters, non più sul terreno del califfato, ma nelle loro patrie di origine, per azioni di sabotaggio e per seminare il terrore?

Perché all’opzione militare la Francia e con essa l’Europa (sic) non hanno affiancato una intensa e decisa offensiva diplomatica, per costringere i paesi sunniti ad interrompere gli aiuti finanziari ufficiali e non all’Isis, utilizzato da loro in chiave antisciita e anti iraniana?

Perchè non si è obbligata la Turchia, in quanto membro della Nato, ha impedire il flusso attraverso le sue frontiere di armi e miliziani destinato al sedicente califfato, favorendo nel contempo aiuti in armi pesanti ai peshmerga curdi, gli unici effettivamente e vittoriosamente in campo contro i tagliagole dell’Isis? Perché nulla è stato fatto per impedire il riversarsi nel mercato nero delle grandi quantità di petrolio attinte dai pozzi controllati dal califfato e sua grande fonte di profitto?

Se un paese decide di andare in guerra deve ricercare solide alleanze e coperture internazionali, deve temere e prevedere azioni e reazioni dei propri nemici con un efficiente servizio di intelligence, deve disporre di una diplomazia in grado di subentrare immediatamente in ogni momento del conflitto, ma soprattutto deve avere il consenso per questa scelta della stragrande maggioranza dei propri cittadini.

A meno che la strage di Parigi non sia un pezzo della terza guerra mondiale, come denunciato da Papa Francesco e allora quello che conta è essere della partita, costi quello che costi.

17 novembre 2015

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