Vincenzo Prati, Sottosopra Il trentennio 1979-2008 I problemi di una globalizzazione “selettiva” dalla prospettiva del Golfo, Guerra Edizioni, 2015

Caro Enzo,

ho letto il tuo saggio Sottosopra e, come mi era accaduto con Lo studente e l’ambasciatore, ne sono rimasto intrigato. Convinto pienamente no, ma intrigato, incuriosito e, per molti passaggi, illuminato.

Devi concedermi un’attenuante. Io, come credo quasi tutta la mia generazione, di cui tu sei una eccezione, sono stato fortemente condizionato da una cultura eurocentrica, che al massimo si allargava a considerare il Mediterraneo e il Medio Oriente. L’Islam è stato quindi l’Algeria e la sua guerra contro la Francia, la Libia di Gheddafi, la Palestina di Arafat, la Siria di Assad e l’Iraq del Bath panarabo. L’Arabia Saudita è stata per molto tempo per me solo lo scenario della rivolta araba di T.H.Lawrence. La stessa Russia e la sua rivoluzione era una faccenda europea e fatalmente legati all’Europa erano gli Stati Uniti.

Tu invece allarghi la geopolitica, introduci nuove categorie come Bacino del Pacifico e Cindia, ti focalizzi giustamente sul Golfo sunnita e, in antitesi, sull’Iran scita. Ma soprattutto poni la globalizzazione quale primum movens dei processi di trasformazione e sviluppo dell’intero pianeta, a partire dagli anni ottanta del novecento.

Ma è poi vero che questo processo, promosso dal Bacino del Pacifico, veda l’Europa, insieme alla Russia e al mondo islamico, come un polo antagonista, per di più lento, se non riottoso? Esiste questa Triade, il modello sovietico è stato veramente egemone in Europa, anche come esempio di Restaurazione dal pugno di ferro, è stato veramente un giogo? E’ stato vincente l’eurocomunismo? Quest’ultimo non mi sembra che sia andato molto lontano, non tanto per Berlinguer, quanto per Carrillo e Marchais. Il modello politico ed economico egemone in Europa, compreso il cosiddetto statalismo, mi sembra sia stato quello socialdemocratico, che non considero il cavallo di Troia in Europa del bolscevismo. Non ti sembra che invece l’Europa sia complementare, comprese le sue lentezze e difficoltà ad integrarsi, a questo percorso, in tutto e per tutto (vedi la vicenda greca) e che la Russia di oggi  aspiri fortemente solo a partecipare alla spartizione della torta e che il terrorismo islamico, promosso e alimentato dal Golfo con il sostegno americano, sia il mezzo per escludere le popolazioni di quell’area dall’emancipazione e dal progresso civile, perché questi rimangano appannaggio di una aristocrazia più o meno allargata, o di una ristretta oligarchia?

L’America Latina, l’Africa non so, è veramente marginale? Il Brasile, l’Argentina, il Cile non sono più terzo mondo, forse neanche più paesi emergenti e credo si siano dati sistemi politici ed economici in grado di reggere le sfide della globalizzazione.

E la selettività, ultima domanda, è un limite, una contraddizione, una tappa solo iniziale o è la vera natura, l’essenza della globalizzazione a guida Bacino del Pacifico? Tu stesso affermi che da parte americana la globalizzazione non è intesa come un movimento veramente globale, non vede, ad esempio, il mondo ex sovietico come il campo di una ambiziosa ricostruzione. Manca una spinta creativa, come tu scrivi, o il processo stesso è limitato, tattico, concepito in una logica di guerra fredda ed incapace di emanciparsi da essa?

Invece sono per me, eurocentrico, illuminanti le tante pagine dedicate all’Oriente, in particolare sulla sua aspirazione storica all’emancipazione e sul forte condizionamento che ha esercitato ed esercita ed eserciterà sull’Occidente. A partire da quella gigantesca rivoluzione asiatica degli anni novanta che tu dici fornì il propellente alla controcultura giovanile degli anni sessanta. Ma anche quelle sul Medio Oriente, su cui siamo vittime, in quanto italiani, di una informazione parziale, superficiale, dilettantesca.

Condivido le tue pagine sull’Europa, al netto del giudizio sull’influenza sovietica,  sui suoi ritardi, sulle sue incertezze, sulla sua incapacità di porsi come referente rispetto all’implosione sovietica e ai fermenti del mondo islamico, soprattutto mediterraneo e sulla sua cecità rispetto al ruolo che avrebbe potuto avere la Turchia e le altre realtà emerse dalla frantumazione dell’impero ottomano. E’ però anche la cecità degli USA e del loro Bacino del Pacifico, come dimostrano, a mio parere, le guerre del Golfo. Tu aggiungi la mancanza di una visione adeguata che non fosse limitata a pochi paesi, una impasse culturale, l’ansia di un salto nell’ignoto, in un futuro postumano. Qui sono totalmente intrigato. Come uomo di questo mondo e di questo tempo colgo nelle tue parole scritte delle aspettative inaspettate e inaspettabili e un proiettarsi oltre la banalità dell’esistente, verso una dimensione quasi utopica. Ne sono colpito, nonostante dubbi e perplessità.

Ti ringrazio per questo e ti saluto caramente

Il tuo vecchio compagno di banco

Marcello

7 novembre 2015

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