23 agosto 2015 Un don Abbondio dei nostri tempi

“Io sono un prete non un poliziotto” così si è giustificato il parroco della Chiesa Don Bosco di Roma, officiante dei funerali show di Vittorio Casamonica, definito dai propri familiari e dai seguaci del suo clan ”Re di Roma”.

Non un parroco, cioè un pastore di anime, il punto di riferimento di uomini e donne per la confessione di colpe e per la condivisione di eventi terreni, dalla nascita alla morte, il capo spirituale di una comunità con cui condividere momenti di identità e di appartenenza, ma l’erogatore di sacramenti, sia che siano battesimi o comunioni o matrimoni o funerali, il garante di una liturgia codificata e immutabile, un esecutore asettico e impersonale di pratiche e procedure religiose.

Chiamato a rispondere della coerenza e opportunità delle proprie scelte si è subito appellato alla catena gerarchica, che non gli avrebbe fatto pervenire segni o indicazioni in tal senso, considerandosi solo il terminale di un complesso apparato burocratico, dotato di una propria gerarchia e di una propria catena di comando. Allo stesso modo (Si rivolga al capoufficio!) di un impiegato sollecitato allo sportello a dare un senso a procedure spesso contorte e incomprensibili.

Si dichiara estraneo a qualsiasi forma di controllo sociale, considerando il proprio territorio di competenza solo l’area intorno all’altare, mentre di quello che avviene nel  resto della chiesa, compreso il sagrato, non può né vuole sapere, neanche quando vi si appendono immagini sacrileghe, come quella del defunto vestito da papa o del paradiso come luogo di conquista.

Si appella alla misericordia invocata da Papa Francesco, ignorando che la misericordia va esercitata verso gli altri, soprattutto i peccatori, identificati però come tali e come tali chiamati a rispondere delle proprie colpe e a pentirsi. Altrimenti è, come è avvenuto, generica elargizione di acqua benedetta e di parole ripetute come un mantra.

Se si appella a Papa Francesco deve ricordare che non vive nei sontuosi appartamenti vaticani, non ha mai frequentato la residenza di Castel Gandolfo, ha rinunciato agli ori e alle porpore dei vestimenti e degli apparati. E allora che c’entra tutto questo con la carrozza antica trainata da sei cavalli neri con i pennacchi, l’elicottero che sparge petali di rosa, l’ostentazione di lusso e di potere fuori e dentro la sua chiesa?

Forse bisognerebbe regalargli i Promessi sposi di Alessandro Manzoni, perché rifletta su come un prete possa essere don Abbondio o frate Cristoforo. Ma c’è il rischio che impari il testo a memoria e lo ripeta pappagallescamente, come fa con il Vangelo.

23 agosto 2015

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