Almeno tre generazioni di europei (e non solo) hanno fatto i conti con la “questione tedesca”. Tragicamente quella dei nostri nonni e quella dei nostri genitori, drammaticamente la nostra, basta guardare la Grecia. Tutto fa pensare che anche la prossima generazione dovrà fare lo stesso, magari sommando dramma e tragedia.
Sin dalla fondazione nel 1871 il Reich tedesco fu animato dalla convinzione di meritare un ruolo di grande potenza europea e mondiale, da affermare con la forza della sua economia e con quella del suo esercito. Il militarismo tedesco, che aveva permeato l’ideologia delle classi dirigenti tedesche e della monarchia guglielmina fu la causa principale della Prima guerra mondiale. L’umiliazione della Germania sconfitta con i trattati di Versailles alimentò il suo revanscismo e favorì l’ascesa al potere di Hitler e del nazismo. La Seconda guerra mondiale fu il naturale epilogo di una nazione che voleva ancora dominare l’Europa e gran parte del mondo intero. La sua sconfitta sembrò la conclusione della “questione tedesca”. Ogni sua velleità espansionistica verso Est era impedita dal blocco sovietico, ad ovest la Francia era potenza vincitrice insieme alla Gran Bretagna, con a fianco gli Stati Uniti, a sud l’Italia non era più, se mai lo era stata, potenza alleata, mentre la Spagna era condannata ad un isolamento totalitario. Ma soprattutto la Germania aveva perso la sua sovranità, ridotta a due nazioni, ostili e avversarie sul piano economico, sociale e politico. La fine dell’Unione Sovietica e del suo impero e la riunificazione tedesca non sembrarono le premesse per la riapertura della “questione tedesca”, perché la nascita dell’Unione Europea avrebbe dovuto contenere le sue pretese egemoniche, anche per la perdita della sua sovranità monetaria, grazie all’euro e alla Banca Centrale Europea. Così non è stato. La debolezza politica ed economica della Francia, le velleità isolazionistiche della Gran Bretagna, la subalternità, anche finanziaria, dei paesi dell’ex blocco sovietico, l’inconsistenza dell’Italia, la marginalità del sud europeo non hanno potuto rappresentare un contrappeso al rinato espansionismo tedesco, prodotto da un modello economico capitalistico cosiddetto “renano”, basato sul controllo delle risorse reali, sia umane che tecnologiche e sulla maggiore espansione, anche territoriale, delle attività produttive, il tutto con un gigantesco sviluppo delle sue attività commerciali, soprattutto con la Russia e con la Cina. Una volta divenuta troppo forte economicamente per essere considerata un qualsiasi paese della Unione Europa, La Germania si è posta apertamente il ruolo di guida politica della stessa Unione. La estenuante trattativa per il salvataggio della Grecia ha rivelato ampiamente come questo ruolo ormai la Germania lo voglia recitare fino in fondo, a costo di mettere in discussione l’asse franco-tedesco, di incoraggiare l’uscita dalla UE della Gran Bretagna, di confermare la stessa unione non come comunità, ma come opportunità per i paesi più forti di nuove egemonie e di maggiori profitti, di sacrificare la democrazia come metodo di governo a favore dell’oligarchia di pochi, senza alcun riconoscimento della sovranità popolare. Ha di fronte, spesso anche alleata, una socialdemocrazia spossata e irriconoscibile, sia nella versione francese che spagnola, sia in quella laburista inglese, sia greca o portoghese, sia scandinava, sia, purtroppo, tedesca. Incontra i favori della destra europea, disposta anche a governi nazionali a sovranità limitata, pur di avere riconosciute e premiate le oligarchie locali. Con i centristi l’intesa è naturale, basta riconoscer loro, come a Renzi, di essere tra i primi della classe, gli alunni prediletti, i secchioni di turno.
Gli euroscettici, quando è la destra xenofoba e razzista o movimenti anticasta senza un vero progetto europeo alternativo, non sono in questo momento la prima preoccupazione della Merkel e di Scheuble. La sinistra non solo non è euroscettica ma non è. In Grecia, dove era la punta europea più avanzata, ha riportato una sonora sconfitta che ne ha purtroppo ridimensionato le potenzialità, in Spagna si aspettano le elezioni di novembre, in Francia sembra condannata alla marginalità, in Germania la Linke non smentisce né approva le bordate antieuro di Oskar Lafontaine, suo padre nobile, in Italia senza scandali e clamori la sinistra (si) è condannata all’insignificanza politica.
Forse bisognerebbe ripartire dalla legittimità economica e dalla opportunità politica dell’euro e con esso di questa Unione Europea. La “questione tedesca” viene di conseguenza.
16 luglio 2015
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