Assisi

La città, la basilica, gli affreschi. Messi insieme sembrano una magia, una meraviglia, un portento urbanistico, architettonico, artistico. Per non esserne schiacciati, obnubilati, anche se appagati nei sensi, va trovata una chiave di lettura e va ricercato un significato, per essere in pace anche con la propria intelligenza, cioè con la propria capacità di capire. Altrimenti si subisce, fino ad essere intellettualmente travolti, la ridondanza dei volumi e dei colori, l’incredibile quantità di pietre e di laterizi, l’insieme intricato di memoria storica e di simbologia religiosa.

E poi ci si dimentica di Francesco, perché è dappertutto e quindi in nessuna parte, pura immagine ormai, troppo richiamata e commercializzata. Mai come oggi la sua santificazione lo ha elevato al di sopra di tutto e di tutti, privato dei suoi desideri e delle sue volontà terrene, disumanizzato, quando era forse il più umano del suo tempo.

Francesco muore nel 1226 e due anni dopo, il giorno successivo alla sua canonizzazione, papa Gregorio IX e frate Elia, vicario dell’ordine francescano, pongono la prima pietra della Basilica Inferiore che viene completata nel 1230. Due anni dopo frate Elia avvia la costruzione della Basilica Superiore, consacrata nel 1253. Un complesso così imponente, destinato ufficialmente ad accogliere le spoglie del santo, viene realizzato in pochi anni, grazie ad un cantiere che attirò da tutta Europa architetti, lapicidi, maestri vetrai, intarsiatori e negli anni successivi due tra i maggiori pittori di quel periodo: Cimabue e Giotto con le loro botteghe, affiancati, ma con un loro ruolo sicuramente egemone, da un nucleo di artisti umbri, toscani, romani.

E’ una scelta in piena contraddizione con la volontà pauperistica di Francesco, che non a caso aveva voluto morire nella piccola e modesta chiesa della Porziuncola, oggi sovrastata e annichilita dalla cupola gigantesca dell’Alessi, a Santa Maria degli Angeli.

Ma l’Ordine francescano, pur lacerato al suo interno, tra chi vuole l’osservanza stretta della Regola e tra chi, più moderato, ritiene possibile e legittimo il possesso dei beni, è enormemente cresciuto e si sta affermando come il punto di riferimento spirituale delle classi e dei gruppi sociali emergenti, quali i borghesi, i commercianti, il proletariato urbano. Ad essi si contrappone l’aristocrazia feudale, che trova un alleato prezioso nel potere vescovile, anch’esso aristocratico, che ha da tempo ridimensionato l’autorità papale e che di fatto controlla la Chiesa. Il messaggio francescano sarà utilissimo a papa Innocenzo III, per l’opera di rinnovamento politico e teocratico del papato che vuole attivare a Roma. Non a caso nell’iconografia ufficiale della vita di Francesco nella Basilica Superiore, il papa sogna il Santo di Assisi che regge sulle spalle la Basilica del Laterano, impedendo il suo crollo rovinoso. Nella realtà Innocenzo III è tutt’altro che convinto della proposta di Francesco, approva solo oralmente la sua Regola, gli concede il permesso di predicare, accoglie la sua richiesta di fondare un ordine, perché di fatto è interessato a mantenerlo all’interno della Chiesa, per arginare le spinte centrifughe eretiche e stemperare la dissidenza e l’ostilità al magistero ecclesiastico. Con il Concilio Vaticano IV del 1215 viene infatti delineata una nuova riforma della Chiesa e viene confermata la Regola francescana che si affianca a quelle di antica tradizione di San Basilio, San Benedetto e Sant’Agostino, a cui aderisce Domenico di Guzmàn, altro futuro santo.

La complessità e la novità del messaggio francescano sono quindi paradossalmente rappresentate dalla grandiosità del complesso architettonico, prodotto significativo di una rinnovata sensibilità religiosa, artistica e iconografica.

La Basilica di S.Francesco

Lo schema è quello di due chiese sovrapposte, realizzate in differenti fasi costruttive e destinate a funzioni diverse, anche se complementari.

La Basilica inferiore, originariamente un’aula rettangolare, corrispondente alla seconda, terza e quarta campata attuali, viene successivamente ampliata di un’altra campata, del transetto e dell’abside e, una volta decisa la realizzazione della chiesa superiore, sono realizzati i pilastri, i contrafforti esterni e la sostituzione della copertura a capriate con le volte a crociera, a costoloni sui pilastri. Le cappelle laterali sono una ulteriore aggiunta due-trecentesca, con la perdita quasi totale delle decorazioni pittoriche originarie alle pareti.

Anche sul piano dello stile architettonico le due chiese si differenziano, quando ad elementi romanico umbri, presenti nella inferiore, si affiancano nella superiore forme del gotico francese, confermando, in fase finale, due differenti destinazioni funzionali: chiesa tombale e cripta l’una, aula monastica, di predicazione e cappella papale l’altra.

Sul piano urbanistico la città di Assisi, con un impianto terrazzato che aveva il suo baricentro religioso nella piazza davanti al tempio di Minerva e un nucleo sociale importante nella piazza antistante San Rufino, viene fortemente condizionata dalla nuova emergenza architettonica, nata fuori le mura e largamente sovrastante le altre, obbligando una rilettura delle funzioni urbane, con l’ampliamento delle mura, ristrutturazioni edilizie e nuove lottizzazioni.

Gli affreschi

Tutte le pareti, le volte, i costoloni della Basilica sono affrescate e rappresentano una sterminata iconografia del cristianesimo e, in particolare, della vita di Francesco d’Assisi. Il solo dato quantitativo è impressionante e va dalla seconda metà del Duecento fino al pieno Seicento, passando per i cicli trecenteschi di Giotto e collaboratori, di Pietro Lorenzetti e aiuti e di Simone Martini. Ma è il dato qualitativo che fa della Basilica di Assisi il luogo dove si concretizza una vera e propria rivoluzione delle arti visive, una impressionante maturazione dell’immagine in senso espressionistico e l’ingresso prepotente della dimensione architettonica. Ogni rappresentazione è inserita in un contesto incredibilmente dettagliato, sia quando rappresenta un interno domestico sia quando è urbano o naturale, ma anche quando rappresenta l’ira di un padre, l’estasi di un frate cantore, le perplessità di un papa. Questo vale soprattutto per la Basilica superiore dove il ciclo pittorico è più omogeneo, ma anche in quella inferiore, dove dominano sempre Cimabue e Giotto e i loro collaboratori, ma anche Lorenzetti umanizza in modo commovente il rapporto filiale di Cristo e Maria e drammatizza la sua fine sulla croce e la sua deposizione nel sepolcro. Anche Simone Martini, nella cappella di S.Martino, perfeziona il suo linguaggio, soprattutto nel campo della ritrattistica e nella acquisizione della intelaiatura architettonica, anche grazie al confronto con le maestranze giottesche, attive insieme a lui nei lavori della Basilica. La sua pittura aulica e raffinata si richiama comunque al mondo aristocratico cavalleresco, a cui appartiene Martino vescovo di Tour, mentre Giotto si rifà alla cultura del mondo borghese e mercantile.

Questa rivoluzione è comunque emblematizzata nella Basilica superiore e in particolare nella crocifissione di Cimabue e nei ventotto affreschi sulla vita di Francesco.

L’annerimento del colore bianco per mutazioni chimiche dell’ossido di piombo usato dal pittore rende surreale la scena, dominata dalla tensione evidente nella folla ormai quasi indistinta ai piedi della croce, a cui fa da elemento complementare il volteggiare nel cielo ancora azzurro dei tanti angeli. Cristo è veramente un uomo morto, il corpo è incurvato dall’agonia e il capo è reclinato sulla spalla. Francesco è ai suoi piedi, genuflesso e raccolto  nella preghiera.

Non c’è nessun trionfo sulla morte, c’è solo la passione e la sua condivisione e il conforto della fede e della preghiera.

Nella rappresentazione delle vicende più rappresentative della vita del Santo di Assisi Giotto e i suoi collaboratori seguono alla lettera la versione ortodossa della Leggenda Maior di Bonaventura da Bagnoregio, sancita nel Capitolo generale di Parigi del 1226 come la sola ufficiale e attendibile, a scapito di tutte le altre biografie precedenti, di cui fu ordinata la distruzione.

Pertanto,  per quanto riguarda la scenografia, viene confermato l’episodio più controverso della vita di Francesco: il ricevimento delle stimmate, a cui son dedicati ben tre affreschi. Si conferma altresì che la predica agli uccelli è rivolta a passeri, quaglie, cardellini e colombe e che Innocenzo III aveva sognato il Santo nell’atto di sorreggere la chiesa.

Le stimmate. La presenza delle stimmate nel corpo di Francesco viene scoperta solo alla sua morte, nel momento in cui il cadavere viene spogliato e preparato per i funerali e immediatamente divulgata da Frate Elia. E’ la prima volta che in un uomo vengono trovati i segni del martirio di Cristo e questo evoca immediatamente incredulità e sgomento se non addirittura sdegno, perché appare inaccettabile paragonarsi, addirittura identificandosi, a lui.

Nella canonizzazione di due anni dopo non c’è infatti alcun riferimento alle stimmate e dovrà  passare una decina di anni perché papa Gregorio IX  affermasse la veridicità del miracolo, sia per spegnere ogni rivalità con i Domenicani che rivendicavano un tale evento solo nel corpo della loro santa Caterina da Siena, sia per accrescere l’autorevolezza e il prestigio dei Francescani, divenuti ormai un presidio fondamentale per la Chiesa. Con il riconoscimento delle stimmate Francesco diventa un santo perfetto e come tale irraggiungibile ed inimitabile, da venerare ma senza l’obbligo di seguire fino in fondo i suoi insegnamenti. Francesco d’Assisi, così sublimato, non è più un modello di vita, ma un’icona, fuori dal tempo e dallo spazio.

La predicazione agli uccelli. Secondo altre versioni Francesco, ottenuto da Innocenzo III il permesso di predicare, restò per un po’ di tempo a Roma, senza però ottenere alcun successo tra quelle genti, per cui, avviatosi alla periferia della città, invitò all’ascolto corvi, avvoltoi e gazze, trovando quell’accoglienza che non aveva trovato tra i romani. Oppure predica a colombe cornacchie, monachine che rappresentano, nella letteratura medioevale, i diversi strati della società, in particolare quelle più umili e diseredate. Francesco vuole infatti diffondere la parola del Vangelo dovunque e a chiunque, anche alle creature irrazionali, ma soprattutto ai poveri, ai lebbrosi e perfino ai potenti. E’ altra cosa rispetto al messaggio idilliaco trasmesso da Bonaventura attraverso Giotto.

Il sogno di Innocenzo III. Esiste un analogo sogno del papa con San Domenico puntello della Chiesa, ma i francescani sono abilissimi nel plagio letterario e poi iconografico a danno dei monaci loro concorrenti.

Ma non esiste, per fortuna, la sola scenografia. Ci sono i segni grafici, i tratti dei volti e dei corpi, i dettagli, i colori, i paesaggi. In tutti i riquadri c’è un riferimento architettonico, per lo più fantastico o imitato o citato. Improbabili edicole romane, templi, colonne, torri fenestrate, palazzi e basiliche, tutte coloratissime, perché variopinta doveva essere la città medioevale, fanno da scenario agli eventi narrati, ma ne rappresentano anche l’essenza, il presupposto, l’indispensabile. Danno profondità, prima della scoperta della prospettiva, rivendicano la continuità con il passato classico, rendono reali e credibili i miracoli, le visioni, i sogni. I volti dei personaggi sono agitati dalle passioni, le mani sono parte essenziale del linguaggio corporeo, nessuno sta lì per occupare lo spazio, ma per interpretare un ruolo preciso e ben identificabile. Tutto e tutti debbono essere ben riconoscibili, per l’efficienza della comunicazione e l’efficacia della predicazione. Qualcuno vi individua una cifra artistica addirittura post moderna se non predechirichiana. Può sembrare una forzatura o un escamotage sensazionalistico, ma la torre dell’ultimo riquadro, dove Francesco libera dal carcere un accusato d’eresia non ha niente di medioevale.

La cripta

Immediatamente dopo la morte la salma di Francesco d’Assisi viene trasportata nella chiesa suburbana di San Giorgio, per evitare il suo trafugamento e il possibile smembramento per farne preziose reliquie. Per lo stesso motivo, quando è realizzata la Basilica inferiore, che diviene la chiesa tombale del santo, Francesco vi fu sepolto, senza alcuna evidente indicazione esterna, ma con l’ipotesi credibile che riposasse sotto l’altare maggiore.


Non solo medioevo
Solo molti secoli dopo, nel dicembre 1818, con la rottura di tre lastre di travertino, si rinviene il corpo e intorno si costruisce una cripta in stile neoclassico, trasformata poi tra il 1925 e il 1932 nella forma attuale. E’ un ambiente freddo, anche per l’utilizzo esclusivo  della pietra rosa del Subasio, che qui appare traslucida e finta, che non è animato neanche dal flusso incessante di fedeli che mal si concilia con la preghiera e il raccoglimento. Eppure basta alzare lo sguardo verso l’urna di travertino, oltre le inferriate che la proteggono, nella giusta luce delle lampade, per provare una sensazione di universalità, se non si è credenti, altrimenti di serenità.

La scena urbana di Assisi è, sin dall’Unità d’Italia, ma particolarmente dal periodo fascista, una scena medievale. La realizzazione di nuove strutture, a partire dai grandi alberghi ottocenteschi e dai nuovi istituti assistenziali, avviene all’insegna di una tipologia uniforme, neomedievale. Così la ristrutturazione di antichi edifici è in stile neogotico, utilizzando essenzialmente materiali locali, come la pietra calcarea del Subasio o la pietra serena del Pianello, mentre per il tessuto urbano minore si opta per lo scorticamento degli intonaci per far riapparire la facciata antica di una casa, di un edificio civile o di una struttura religiosa.

La pietra bianca e rosa, priva di altro colore è così l’elemento dominante, anche nelle discutibili ristrutturazioni novecentesche, quali il Palazzo delle Poste, il Palazzo del Capitano del Popolo e il Palazzo dei Priori, tutti nella Piazza del Comune.

Su questa piazza, fino al principio del ‘200 Platea Mercati e Platea populi per immediatamente dopo divenire Platea nova o Platea Magna comunis con le relative valorizzazioni sociali, urbane e simboliche, insiste il cosiddetto Tempio di Minerva, del I secolo a.C., uno dei monumenti meglio conservati del mondo classico. E’ un tempio corinzio a sei colonne scanalate che poggiano su alti plinti quadrangolari, sormontate da architrave e timpano di coronamento. Emerge su tutti i palazzi circostanti, senza però l’imponenza antica, quando, solitario, dominava la piazza antistante, la cui area originale, accessibile con un corridoio dal Museo Civico, si stende sotto l’odierna piazza. E’ ancora pavimentata con lastre di calcare con la canaletta dell’acqua e il muro perimetrale settentrionale, con due scale che salivano al pronao del tempio. Nell’area sono ancora ben identificabili due basamenti rialzati, uno su cui venivano allocati i sedili dei magistrati e l’altro come base di una edicola che doveva sostenere le statue di Castore e Polluce. I resti del lato orientale di questo grande terrazzamento fanno supporre che vi fosse un’area porticata, occupata da taverne.

Un santuario quindi, non il foro come comunemente si crede, che invece va identificato nella piazza antistante la Cattedrale.

San Rufino è ancora medioevo e di altissimo livello artistico, ma sorge su una terrazza romana e al posto del tempio della Bona Mater. All’interno, sul principio della navata sinistra, è visibile una cisterna romana, costruita in opera quadrata di travertino con volta a botte, perfettamente conservata, nonostante sia stata utilizzata come fondazione del possente campanile. Sulla piazza, a destra della chiesa, il Palazzo dei Canonici conserva, o meglio nasconde alla vista dei più distratti, numerosi reperti romani, perfettamente incastrati nella cortina della facciata.

All’altezza di Piazza Matteotti, nella parte più settentrionale della città, oltre un monumento funerario romano, ridotto al solo nucleo cementizio perché spogliato nel ‘500 del rivestimento marmoreo, sono ben individuabili i resti dell’anfiteatro, a pianta ellittica, nonostante che sui due ordini di gradinate si siano sovrapposte casette medievali e il convento di S.Caterina. L’accesso all’arena è segnato da un portale bugnato del XVI secolo, mentre nel settore sudorientale è ben visibile la fonte Perlici, costruita nel 1294.

Dalla cripta sotto il presbiterio della Chiesa di S.Maria Maggiore si accede ai resti di una casa romana, con pavimenti musivi e pareti con decorazioni pittoriche, rappresentanti scene naturalistiche, con iscrizioni graffite in lingua greca e latina. La casa era abitata da un uomo facoltoso, colto e amante della poesia, individuato da alcuni in Sesto Properzio, nato ad Assisi nel 47 a.C. circa, appartenente ad una ricca famiglia poi caduta in disgrazia a seguito del Bellum Perusinum del 41 a.C. e trasferitosi poi a Roma, dove divenne un famoso poeta, amico di Virgilio ed Ovidio.

Fonti:

Dario Giorgetti, Umbria, Roma, Newton Compton, 1984

Loreto Di Nucci, Fascismo e spazio urbano Le città storiche dell’Umbria, Bologna, Il Mulino, 1992

Chiara Frugoni, Vita di un uomo: Francesco d’Assisi, Torino, Einaudi, 1995

Fabio Colivicchi, Cristiana Zaccagnino, Umbria Archeologia delle Regioni d’Italia, Roma, Libreria dello Stato, 2008

Touring Club Italiano, Guide d’Italia Umbria, Milano, RCS, 2012

Philippe Daverio, Guardar lontano Veder vicino, Milano, Rizzoli, 2013

( 4 giugno 2015)

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