Omicidio al buio

Il 30 agosto 1905 l’avvocato Alessandro Bianchi ricevette una telefonata da Guido Casale che implorava, da un apparecchio al Caffè Vannucci, un appuntamento. Gli venne concesso per le quattordici e trenta nello studio all’interno del palazzo che l’illustre penalista  aveva costruito, dopo aver acquistato nel 1873 dal Comune di Perugia alcune case fatiscenti, davanti al teatro Morlacchi. Era stata fino allora una buona giornata per l’avvocato, che aveva in mattinata concluso nel processo Modugno la sua arringa in difesa dell’imputato, accolta da applausi ed ovazioni, anche perché immediatamente dopo aveva deposto definitivamente la toga, dopo cinquant’anni di lotte forensi.

Non fu per niente incuriosito dal rapido imbrunire, prodotto da un’eclisse di sole, forse perché i suoi settantacinque anni gli impedivano di esaltarsi per quella e per altre “maraviglie”. Per di più era convinto che quell’incontro sarebbe stato sgradevole, tanto da esclamare a voce alta ed essere udito da un suo sostituto che a chiamare era stato “quel falsario del Casale”. Le falsificazioni riguardavano cambiali a firma Bianchi che Casale, ospite dell’avvocato dopo il suo arrivo dal Piemonte, offriva per avere credibilità, ottenere favori e denaro in contanti e garantirsi, con l’eleganza nel vestire e un grande dispendio di mezzi, intrighi finanziari e amorosi, anche in casa di Bianchi, a spese della nipote Bice e della sua istitutrice Guglielmina, oltre che di popolane e di ballerine delle compagnie d’operetta.

Nel mentre tutti i perugini erano a contemplare l’oscurarsi del sole, Guido Casale raggiunse nel buio, giunto quasi all’improvviso, il palazzo, attraverso la rete di vicoli che caratterizzava la città, cosicché nessuno lo vide entrare, salire, bussare ed essere ammesso dall’avvocato nel suo studio. Il colloquio durò all’incirca tre quarti d’ora a conferma che di colloquio si trattò,  avendo i due da dirsi molte cose, tra cui i progetti matrimoniali tra il Casale e la Guglielmina, fino a quando, di fronte a dinieghi e rifiuti del vecchio penalista, soprattutto riguardo a nuovi prestiti di denaro e nuove concessioni di favori, il Casale, approfittando della sdegnata voltata di spalle dell’avvocato Bianchi, afferratogli i capelli, ne troncò la gola con un coltello svedese a lama retrattile lungo 30 centimetri, fin quasi a raggiungere le vertebre. Accanto al corpo, quasi decapitato ed immerso in un lago di sangue, Guido Casale lasciò un rasoio dell’avvocato e copie di due quotidiani meridionali, che pubblicavano articoli ostili alla difesa,perché convinti colpevolisti di Modugno, al fine di inscenare un suicidio. Chiuse poi a doppia serratura  la porta dello studio, raggiunse l’ultimo piano dove aveva la camera, si cambiò il panciotto macchiato di sangue, lo nascose con il coltello nel buco del gabinetto, uscì dal palazzo per ripercorrere l’intrico dei vicoli ancora immersi nell’oscurità e presentarsi sorridente alle quindici in punto al Caffè Vannucci.

Quasi contemporaneamente la porta inspiegabilmente chiusa dello studio insospettì  un impiegato e allarmò uno scrivano che, per niente convinto del presunto ordine di non disturbare l’avvocato a quell’ora, penetrato nello studio attraverso l’abitazione, scoprì il corpo e dette l’allarme che si sparse in un baleno, tra la servitù, tra i passanti, fino a raggiungere il Palazzo di Giustizia, pieno di corrispondenti di tutta Italia per il processo Modugno. La guardia municipale e i carabinieri, subito sopraggiunti, scartarono la tesi del suicidio, nonostante che il Casale giunto anch’egli con la folla in piazza Morlacchi la sostenesse pubblicamente e, ordinato un sopraluogo nel suo appartamento del palazzo, trovarono il Casale stesso che si preparava a partire per raggiungere la Guglielmina a Casacastalda. Venne immediatamente arrestato. Con lui furono arrestati il nipote dell’avvocato, il cocchiere e la Guglielmina, ma vennero tutti rilasciati quando Casale, reo confesso, apparve l’unico colpevole. Nei mesi e negli anni successivi le indagini e il processo dovranno risolvere un unico quesito: il movente. Casale sosterrà fino alla fine la grave provocazione, perché l’avvocato Bianchi, durante l’ultimo colloquio, gli si era rivelato come padre nonché amante della Guglielmina, provocandogli uno shock e la relativa violenta reazione. A giustificarla ulteriormente la difesa dell’imputato avanzò, nel corso del processo, ormai trasferito all’Aquila per legittima suspicione, anche presunte offerte omosessuali del vecchio avvocato nei confronti del giovane forestiero. Al contrario venne riconosciuta a Guido Casale la premeditazione, ma a fronte del riconoscimento delle attenuanti generiche, venne salvato dall’ergastolo e condannato a trent’anni,

L’assassinio di Alessandro Bianchi dettò, si può dire per sempre, il nome al Palazzo, che passato alla Congregazione di Carità, poi al Comune di Perugia per poi essere acquistato e restaurato da privati ha continuato a chiamarsi con il nome di colui che lo aveva fatto costruire, con i soldi, a detta di una leggenda, del bandito Cinicchia, che, prima di fuggire in America, per riconoscenza delle arringhe del giovane avvocato Bianchi, gli aveva rivelato il nascondiglio del bottino delle sue razzie.

Fonti:

Uguccione Ranieri di Sorbello, Perugia della Bell’Epoca, Perugia, Volumnia, 1969

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*