1° giugno 2015 Al fondo un cupio dissolvi

Nei giorni prima delle elezioni regionali ho toccato con mano lo sconcerto, il disorientamento, lo sconforto di amici e conoscenti che un tempo appartenevano al popolo della sinistra. Segni inequivocabili sono state le tante telefonate che chiedevano disperatamente indicazioni di voto o lumi sulle scelte da fare, cene in cui tra una portata e l’altra comparivano liste elettorali per una analisi degli identik di candidati totalmente sconosciuti, viaggi improvvisati all’ultimo momento per sfruttare il lungo ponte dei primi di giugno e garantirsi una fuga dai seggi, dichiarazioni di indifferenza e diffidenza verso la politica un tempo degne del migliore qualunquismo, una ostilità verso i partiti e i loro leader offuscata da un rancore sospetto perché antico e profondo. Al fondo un cupio dissolvi tetro e disperato.

Era difficile quindi immaginare per me una sorte diversa per la sinistra in Umbria e non solo. E’ scomparsa a livello delle principali assemblee elettive e dove marca una presenza è perché si è ritagliata uno spazio all’ombra del PD, esprimendo liste collegate ma di fatto subalterne al renzismo, prive di fatto di una autonomia politica, che magari saranno compensate solo dalla cogestione di fette di potere. Una ipotesi di alterità, sia politica che sociale, non è più in grado di rappresentare e rappresentarsi, non ci sono più né la voce né le parole per narrare lo scandalo dell’ ingiustizia sociale e dello sfruttamento, non c’è più spazio per l’indignazione e la protesta. O meglio questo spazio è occupato paradossalmente dalla destra razzista e xenofoba che cresce dappertutto, insediandosi stabilmente ormai anche in italia centrale, raddoppiando, triplicando, quadruplicando i voti.

Per lei è pronta la filosofia dell’uomo solo al comando, il primato della governabilità sulla rappresentatività, la comunicazione politica ridotta a slogan e twitter, regole elettorali che favoriscono una minoranza e discriminano il voto, la delegittimazione dei sindacati, il modello aziendalistico nella cosa pubblica, il lavoro privato di dignità e di diritti.

La destra sta seminando in un terreno arato da chi, tra rottamazioni e discriminazioni a sinistra, ha stravolto le regole democratiche sancite dalla Costituzione Repubblicana, ha ridimensionato il ruolo del Parlamento piegandolo ai voleri del potere esecutivo, ha negato il conflitto derubricandolo ad azione iettatoria priva di valore politico.

La destra nei prossimi anni, forse nei prossimi mesi, raccoglierà a piene mani quanto sta seminando, e non troverà sul proprio cammino la sinistra a proporre un altro modo di vivere e lavorare, di produrre e fare cultura, di essere popolo e non plebe, di includere e non di escludere. Troverà un gigante dai piedi d’argilla, un partito capace di perdere in un anno due milioni di voti, di favorire un astensionismo elettorale record, di smantellare le proprie casematte politiche e sociali, di insediarsi in un empireo mediatico, allontanandosi dalla sua base sociale, di riconvertire la sua organizzazione in un comitato elettorale, trasformando una comunità di persone in una ditta di soli soci. Questa minaccia è in campo da tempo e queste elezioni regionali la esplicitano ulteriormente. Ciò nonostante a sinistra continua a prevalere la frammentazione, la vocazione minoritaria, i distinguo solo tattici, le resistenze di microapparati e le esigenze di gruppi dirigenti screditati, le scelte dettate da analisi banali se non da miserabili opportunismi. Eppure una stagione nuova sembrava nata, con lo stimolo di Tsipras in Grecia e di Podemos in Spagna, aveva evocato curiosità e simpatie, alimentando nuove speranze e nuovi entusiasmi. Quella stagione è già finita, tra lacerazioni incomprensibili ai più, tra prese di distanza contraddittorie, tra distinguo personalistici, tra motivazioni criptiche e astruse.

Al fondo un cupio dissolvi.

1 giugno 2015

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