Sembra che l’elezione del Presidente della Repubblica sia essenzialmente una questione di metodo, indipendentemente dalla personalità politica e dal profilo istituzionale del candidato presidente. Ci si spacca e ci si aggrega infatti sulle modalità di scelta, sulla loro coerenza con accordi e procedure sin qui seguite e concordate o sulla messa in discussione delle stesse. Mattarella va bene perché non in sintonia con il cosiddetto Patto del Nazzareno (minoranza PD e SEL) o non va bene perché lo disattende (Forza Italia) o perché non è concordato nel patto di governo (NCD) o perché non è passato attraverso la consultazione in rete (M5stelle).
Le discussioni di metodo possono non aver mai fine e sono a volte strumentali per nascondere altri intendimenti, sono comunque funzionali a mettere in secondo piano la sostanza delle scelte. Essa è, a mio modesto parere, quanto il futuro presidente favorirà il nuovo corso della politica italiana, che è ormai dominato dal principio della governabilità e che si traduce di fatto in un inarrestabile rafforzamento del potere esecutivo. In nome di quel principio si sono fatte e si stanno facendo le cosiddette riforme, che, guarda caso, sono tutte funzionali a ridimensionare le assemblee elettive (abolizione del Senato e delle Province), a renderle subalterne (Parlamento di nominati), a far stravincere il partito risultato primo delle elezioni in un bipolarismo truffaldino (Italicum). La stessa riforma della Giustizia, che è annunciata da strali e polemiche con la Magistratura, tenderà a opacizzare il pluralismo dei poteri, mentre la pubblica amministrazione, ridimensionata nel ruolo di indirizzo e nella funzione di controllo, sarà sempre più emanazione del potere politico, destinata all’avvicendamento con il sistema dello spoil system.
Su questo terreno c’è una piena intesa tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. La messa in discussione della Costituzione Italiana, il superamento del bicameralismo perfetto (che non ha impedito la grande stagione riformista degli anni settanta del secolo scorso), il fastidio per il condizionamento del governo da parte degli altri poteri costituzionali e istituzionali, il rifiuto del confronto aperto e trasparente con i soggetti sociali li accomuna e ne fa degli alleati, o meglio, dei complici. Questo rapporto è per entrambi strategico e non sarà un passaggio tattico, quale è l’elezione del Presidente della Repubblica, a metterlo in discussione, nonostante l’ampio valore simbolico dell’elezione della prima carica dello stato.
Per questo si ragiona di metodo, o meglio, ci si nasconde dietro questioni di metodo. Superato questo momento (e l’astensione di Forza Italia favorirà questo superamento) con i due padroni della politica italiana più forti al loro interno, avendo ricompattato minoranze e dissidenti, tutti potranno portare a compimento la loro strategia, con la benedizione della Commissione Europea ma con la maledizione di Syriza e spero di molti altri.
30 gennaio 2015
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