Da molto, troppo, tempo si aspetta che la minoranza del PD espliciti una rottura netta in tutte le sedi possibili, e non solo nei gruppi parlamentari, prima che il Partito della Nazione esalti e legittimi il dominio di una sola persona, che non tollera né opposizioni né limiti al suo operato, né tantomeno controlli e che considera ogni conflittualità espressione di conservazione e resistenza al cambiamento nonché matrice di disfattismo.
E’ un’attesa che sembra vana perché questa minoranza non solo è frantumata e incapace di esprimere se non una strategia almeno una tattica comune, ma appare lontana e indifferente a quello che appare come una assoluta priorità: creare una nuova cultura politica della sinistra. Non è un caso che al suo interno prevalga una linea attendista, che al massimo esprime riserve, manifesta fiducie critiche, ricerca mediazioni impossibili, invoca tregue, dichiara fedeltà e appartenenza alla “ditta”.
A sua scusante si potrebbe invocare il timore di una sconfitta frontale di tutto il PD e di una conseguente caduta senza reti (distrutte da Renzi) di ogni sorta di protagonismo politico della sinistra storica. Oppure una diffidenza verso pratiche politiche identitarie o velleitarie, comunque minoritarie, praticate dai resti di Rifondazione e di Sel, o di pura testimonianza come rischia la Lista Tsipras. O ancora il lasciare nel PD tutto lo spazio alla deriva cesaristico-mediatica, populistica e fortemente regressiva voluta da Renzi e dalla sua corte di collaboratori, capaci solo di una fedeltà personale e di una obbedienza conformistica.
Tutto questo potrebbe essere una spiegazione possibile di un tale comportamento politico, ma solo fino al 25 ottobre.
L’immensa e pacifica manifestazione della CGIL a Roma ha tolto alla minoranza del PD ogni giustificazione alla propria inadeguatezza e inefficienza. E’ in campo una forza reale, né minoritaria né protestataria, non identificabile con il solo apparato sindacale ma con gruppi e classi sociali che non accettano né subalternità né marginalità, che chiedono lavoro e diritti e che vogliono essere presenti nell’agenda politica e rappresentati nelle istituzioni.
Sono il contesto sociale e culturale con cui mettere a punto un programma attuale e credibile di fuoriuscita dal tardo capitalismo, di difesa e allargamento dei diritti, da quello al lavoro, al salario, alla pensione, all’istruzione, fino alla tutela della vita e della salute, un programma di difesa dei beni comuni, di tutela della laicità dello stato e delle istituzioni, di salvaguardia dell’ambiente, di ripudio della guerra e per la solidarietà internazionale.
E’ un percorso non solo obbligatorio ma oggi anche possibile.
Ma lo possono percorrere politici che sono parte di un ceto politico fortemente radicato negli assetti istituzionali e di potere della Repubblica, di cui alcuni sono stati padri della svolta della Bolognina, la premessa della mutazione genetica del principale partito della sinistra italiana e quasi tutti hanno condiviso prima nel PDS, poi nei DS e infine nel PD una deriva “centrista” ed una metamorfosi culturale moderata e interclassista?
Se lo vogliono e se sono in grado lo facciano. Ora, non domani. Sono in buona compagnia, in Italia e altrove. Syriza in Grecia è la prima forza politica, in Spagna Podemos è accreditato dai sondaggi quale principale protagonista della rinascita della sinistra e dell’intero paese.
Se non ora, quando?
7 novembre 2014
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