In tempi non lontani Perugia e l’Umbria erano guardati con attenzione dal governo centrale e dalle altre regioni. Per quanto piccola e marginale la nostra regione godeva di prestigio e autorevolezza per la capacità programmatoria che sapeva valorizzare risorse non grandi né illimitate. In campo sanitario, ad esempio, era atteso sempre con grande interesse il Piano Sanitario Regionale, dopo che l’Umbria aveva prefigurato molte scelte nazionali, a partire dalla riforma sanitaria per arrivare all’assistenza di base, alla chiusura dei manicomi, alla medicina scolastica, all’attivazione dei consultori, alla medicina del lavoro.
Era un patrimonio di credibilità notevole che si era accresciuto con scelte originali e innovative in campo culturale, quali la Sagra Musicale Umbra, i concerti degli Amici della Musica, il Teatro in Piazza, Umbria Jazz, il Teatro Stabile dell’Umbria. Appartiene alla cultura, anche se politica, la grande intuizione capitiniana della Marcia per la Pace Perugia-Assisi come è patrimonio culturale la Corsa dei Ceri di Gubbio.
Sembra che tutto questo, nonostante sia ancora in fase attiva, non interessi più, non sia più oggetto di attenzione, ma venga considerato quasi residuale, non in linea con i tempi e i modi di produzione culturale attuale. A partire dagli umbri stessi.
Per questo la bocciatura della candidatura di Perugia e Assisi a capitale europea della cultura è una sconfitta secca per le città e la regione.
Innanzitutto perché è incomprensibile. I criteri di scelta non possono essere stati oggettivi, ma largamente soggettivi e quindi sottoposti inevitabilmente ad arbitrarietà e suggestionabilità. C’è stata trasparenza nelle valutazioni e nelle decisioni? Si ha il diritto di ritenere che abbiano prevalso le impressioni, le sensibilità, gli umori, quanto di peggio quando sono in campo processi reali di sviluppo, di rinascita, di ripresa di interi territori.
In secondo luogo è inopportuna. L’Italia in questo momento ha bisogno di recuperare un ruolo attivo in campo europeo. Non può giocare né di rimessa né sottobanco e se qualcuno la deve rappresentare, anche se solo in campo culturale, deve avere la massima credibilità e grandi potenzialità. Se il passato e i risultati ottenuti finora non contano almeno si giudichino le cose in prospettiva, a partire da strutture da valorizzare fino a infrastrutture da potenziare. Una capitale è innanzitutto un crocevia di percorsi e uno snodo di comunicazioni. Forse Perugia e Assisi non lo erano, ma dubito che le altre città lo siano.
In terzo luogo è improduttiva. Una capitale è a capo di un territorio, di un sistema articolato di rapporti e relazioni, anche conflittuali. La sua dimensione va al di là delle proprie mura, coinvolge altre comunità, rappresenta molti interessi, sollecita protagonismi diffusi. Perugia e l’Umbria sono tutto questo, il gemellaggio simbolico con Assisi lo dimostra. Grandi ricchezze culturali sono vicine, pienamente accessibili, largamente fruibili. Addirittura si guardano. Sarebbe stato un investimento produttivo. Dubito che altrove lo sia.
Eppure né i perugini né gli umbri sembrano averlo capito. Le dichiarazioni di ripartenza, di continuità, di rilancio, di riscossa appartengono pienamente al mondo dei vinti. Invece va preso atto della sconfitta, secca, per ora irrimediabile. La strada è tutta in salita.
22 ottobre 2014
Commenta per primo