
Sabato 11 ottobre
Al nostro arrivo in aereo Edimburgo è sotto una spessa coltre di nubi pannose e tale rimarrà per quasi tutti i giorni, anche se ampie schiarite si alterneranno a brevi acquazzoni. E’ il tempo scozzese, dicono i nostri compagni di viaggio, Stefano e Daniela, soprattutto in autunno. Siamo comunque bardati di tutto punto, giacca a vento compresa, ma facciamo l’errore nelle prime ore di fare un giro di sera con poco addosso, ingannati dall’atmosfera tiepida e dalle t-shirt di molti. Ciò varrà un raffreddore per me e molto di più per Anna Maria che si trascinerà per tutta la vacanza una fastidiosa tosse secca e stizzosa.
La cena nell’albergo Novotel, in cui alloggiamo, è il mio primo appuntamento con un ottimo fish and chips e, poco dopo al bar, con un single malt whisky.
Domenica 12 ottobre
La prima tappa (d’obbligo) è il castello, la vera emergenza urbanistica della città, visibile dovunque e quindi facile riferimento per ogni spostamento, anche perché da lì si diparte la Royal Mile, la lunga e grande strada che lo collega al palazzo reale, Holyroodhouse e alla vicina nuova sede dello Scottish Parliament, innervando tutta la Old Town. E’ di fatto una grande e articolata caserma, a conferma del ruolo eminentemente militare di questa struttura, assediata più volte, conquistata e riconquistata, quasi sempre da parte o contro gli eterni nemici: gli inglesi. Non è un quindi un caso che sia stata il quartier generale dei reggimenti scozzesi e il Memoriale, imponente edificio del millesettecento, ricorda i morti scozzesi nei due conflitti mondiali, così come il Museo Nazionale della Guerra, illustra, in forma agile e didascalica, le armi, gli abbigliamenti, le decorazioni, gli stemmi, ma anche gli effetti personali e le immagini di molti soldati e ufficiali, mandati a combattere in tutto il mondo, dal Sud Africa al Piave, dalla Palestina a Caporetto, dal Nord Africa alle Ardenne, dal Mare del Nord all’India, dalla Crimea a Hong Kong, sempre accompagnati dal suono aggressivo e penetrante delle cornamuse. La piccola e antichissima cappella di Santa Margherita è quasi schiacciata dalla preponderanza di strutture militari, compreso il cimitero dei cani dei soldati, ed anche la struttura civile degli appartamenti reali richiama eventi cruenti, dove nascite e morti hanno prefigurato conflitti e tradimenti. E’ infatti una grande spada, insieme alla corona e allo scettro regale, a rappresentare i Gioielli della Corona, esposta alla fine di un lungo itinerario didascalico in una stanza cassaforte. Non manca l’universo carcerario, rappresentato da celle militari novecentesche, subentrate all’uso tradizionale di punizione rappresentato dalle nerbate, ma anche da grandi sotterranei dove erano stipate centinaia di prigionieri di guerra, tra cui i rivoltosi dei futuri Stati Uniti, così come i soldati della guardia napoleonica.
Così gustiamo un caffè nella ex mensa ufficiali, ma ci perdiamo il rombo della cannonata a salve sparata dall’One O’Clock Gun con sistematicità scozzese, alle ore 13, per risparmiare così undici botti dei dodici della tradizione europea.
All’uscita, oltre l’Esplanade, luogo di parate con ancora memoriali di guerra ma con bellissimi panorami, imbocchiamo l’asse stradale CastleHill-Lawnmarket-High Street-Canongate, detto Royal Mile, gustando vetrine e palazzi, guglie altissime e cuspidi coronate, saltimbanchi e suonatori di cornamuse, confusi in una folla domenicale di turisti ma anche di locali, fino a raggiungere lo Scottish Parliament House, modernissimo edificio, che si sviluppa in senso longitudinale sull’angolo vivo della via, dove grandi blocchi di cemento sono alleggeriti da fregi, vetrate e da palizzate di legno di sicomoro. Per un giudizio definitivo aspettiamo di visitare l’interno, chiuso per l’oggi, così come il vicino Palazzo di Holyroodhouse.
Cena nella bella piazza di Grassmarket al Petit Paris, ristorante francese con tanto di tovaglie a quadretti e camerieri in lingua.
Lunedì 13 ottobre
La prima parte della mattinata è destinata alla ricerca del ristorante Fischers in the City, nel quartiere georgiano di New Town, al di là di Waverley Station. La ricerca è d’obbligo perché è il mio genetliaco e da anni lo festeggio in una città di mare e in ristorante di pesce e questa volta tutto è stato programmato con Stefano, Daniela e Anna Maria nel luglio 2013 in una pizzeria di Perugia. Una volta individuato e fatta la relativa prenotazioni siamo liberi di raggiungere Holyrood House, seconda tappa d’obbligo a Edimburgo. E’ la residenza ufficiale della famiglia reale inglese in Scozia e i solenni appartamenti e gli arredi sono degni di una reggia, anche se sembrano vissuti o perlomeno utilizzati ancora oggi, come la Great Gallery con i ritratti di 89 sovrani, luogo di rappresentanza e di cerimonialità. E’ invece museizzato l’appartamento dove visse Maria Stuart, ricco di testimonianze tragiche e drammatiche ed è testimonianza anch’essa drammatica la monumentale rovina della Holyrood Abbey, vittima delle guerre di religione tra cattolici e protestanti, nonostante risalisse al 1128 e conservasse, secondo la tradizione, un frammento della “vera croce”.
Il nuovissimo Parliament è lì davanti, l’entrata è libera e gradita. L’interno è molto più leggero e armonioso dell’esterno, in particolare l’aula parlamentare colpisce per la sobrietà e la solennità al contempo, anche perché le travi del soffitto, disposte in ordine asimmetrico, fanno pensare ad una cattedrale, mentre gli scranni dei deputati di legno chiaro sono vicinissimi a quelli del pubblico. Le altre aule, gli spazi di servizio e di rappresentanza sono contenuti, ma sembrano facilmente fruibili e funzionali. Un bel posto.
A cena un grande piatto di cozze e il secondo fish ‘n’ chips del viaggio. Pesce anche per Anna Maria, gallo cedrone per Stefano e zuppa di zucca per Daniela.
Martedì 14 ottobre
Una mattinata di sole ci convince ad affrontare l’insieme di colline vulcaniche che sovrasta la città e che hanno nell’Arthur’Seat la vetta più alta. Sono solo 250 metri di altitudine che però ci mettono alla prova, soprattutto se si sceglie il percorso più diritto ma anche più impervio, se non ci fosse un vento gelido proveniente dal Mare del Nord a spazzare le brughiere e se gli anni e gli acciacchi non pesassero sul fiato e sulle gambe. Siamo comunque compensati dal panorama che ad ogni metro si allarga sulla città, permettendo di coglierne tutta l’estensione ad ovest fino ad altre colline vulcaniche, ad est fino al mare aperto e a nord sull’estuario del Firth of Forth. Solo da lì si percepisce la natura marittima di Edimburgo, il suo porto con i suoi traffici e le sue navi, ma non è mai annunciato, né segnalato e rimane lontano e irraggiungibile come se si fosse in continente. D’altronde anche Holyrood Park, immediatamente intorno alla vetta è un insieme tutto terrestre di brughiere, di picchi rocciosi, di prati, di laghetti, che attraversiamo, discendendo questa volta su un piacevole e comodo sentiero, con la compagnia di tanti adulti, bambini, cani, tutti escursionisti attrezzati o improvvisati, attirati da un sole che è ancora splendente.
Il pub nella Royal Mile in cui ci fermiamo a rifocillarci e dissetarci ne ha tutte le apparenze, ma non l’atmosfera, vista la pochezza dei clienti che fanno l’essenza di questi locali, rumorosi e allegri, luogo principale di aggregazione e di ritrovo in una città in cui i negozi e gli uffici chiudono alle cinque di sera.
Di nuovo in forze ci concediamo una visita alla Camera Obscura, attirati dalla longevità di un marchingegno ottocentesco fatto da un sistema di osservazione di lenti e specchi, mentre in realtà è anche e soprattutto una sorta di parco di attrazioni, di giochi luminosi, di illusioni ottiche, di distorsioni sensoriali, di visioni stereoscopiche, distribuite e concentrate in più piani di un antico palazzo, intasati da una folla di curiosi, soprattutto giovanissimi.
Dopo una sosta ristoratrice in albergo ( per me bagno e idromassaggio nella piscina del Novotel) pizza e pasta da Gennaro, ristorante italiano in Grassmarket.
Mercoledì 15 ottobre
Peter Sandercock, neurologo, amico di Stefano e suo punto di riferimento scientifico, si offre come guida per una escursione fuori Edinburgo alla famosa Rosslyn Chapel. Anche oggi il cielo è terso e fa risaltare i tanti colori della campagna scozzese, soprattutto nei pressi del villaggio di Rosslyn, dove la vegetazione è quasi lussureggiante. Non c’è bisogno di scomodare i Templari né richiamare misteri o presunti depositi segreti per apprezzare questo gioiello architettonico del XV secolo. Le decorazioni in pietra sia all’esterno ma soprattutto all’interno sono dei veri capolavori di arte scultorea. Le chiavi di volta spioventi, i costoloni ornati di fiori e patere, i pilastri ricamati, il percorso biblico che si snoda lungo tutte le pareti tratteggiato da volti e figure di angeli, profeti, personaggi mitologici e storici sono un incredibile repertorio medioevale giunto pressoché intatto fino a noi. Il particolare veramente intrigante e senz’altro misterioso è rappresentato da sculture di piante provenienti dalle Americhe, scolpite in un’epoca precedente al viaggio di Cristoforo Colombo. Altri popoli, oltre i vichinghi, lo hanno preceduto nel Nuovo Mondo? La chiesa è comunque ancora un luogo sacro, di proprietà della Chiesa Episcopale di Scozia e la domenica vi si celebrano messa e vespro.
Peter deve tornare al lavoro e per dare continuità alla nostra giornata ci porta sempre in auto al Royal Botanic Garden, per darci appuntamento alla sera in uno dei migliori ristoranti di Edimburgo. L’orto botanico è un curatissimo e grande spazio verde, con piante di alto fusto di ogni genere, serre gigantesche, un giardino cinese con tanto di ponticello e cascate, palme e arboreti esotici, rododendri, fiori alpini. Quello che affascina è la tranquillità assoluta che concilia una bella passeggiata che permette di godere i verdi delle piante, delle siepi e dei prati, esaltati da un sole spendente. Anche gli scoiattoli grigi sono discreti e riservati.
La cena è al Cafe St Honoré, nella New Town, il cui chef, Neil Forbes, sembra essere famoso e decorato. Il locale è chic, mangiamo in una saletta riservata perché ci sono anche la moglie e altri colleghi di Peter e amici di Stefano, l’atmosfera è piacevole e rilassata, favorita dalla conoscenza dell’inglese dei nostri compagni di viaggio e dalla presenza di Miriam, milanese trasferita in Scozia. Il cibo, la carne soprattutto, è ottimo, buono il vino francese, non all’altezza i dolci, il conto è salato: 53 pound a testa.
Giovedì 16 ottobre
E’ il compleanno di Daniela, ma lei non ha particolari rituali da rispettare, se non una cena decente, regali a parte. E’ una giornata piovosa, quindi un museo è quasi d’obbligo, soprattutto quando c’è a disposizione la National Gallery of Scotland. L’ottocentesco edificio neoclassico con i colonnati ionici racchiude in realtà l’Europa, la pittura scozzese e anche inglese è quasi marginale rispetto al Rinascimento italiano, ai Fiamminghi, agli Impressionisti francesi. E’ un lungo e affascinante percorso dove però Gauguin, Monet e Cezanne si prendono più di altri i miei sguardi, oltre una grande veduta di Roma, un Verrocchio inedito, un Leonardo emblematico, un frammento di Perugino e i veneti, con Venezia quasi come in fotografia. E poi i ritratti, borghesi ormai affermati che vogliono essere rappresentati con i loro sguardi decisi e i loro gioielli.
Non piove ma il tempo è brumoso, grigio e forse anche per questo Calton Hill appare ancora più artefatta, a proporre manufatti commemorativi improbabili dal punto di vista architettonico, pretenziosi, solo scenografici e il panorama a 360 gradi su tutta Edinburgo sollecita citazioni geografiche, non muove sentimenti. Sul versante sud della collina scopro la versione scozzese del movimento modernista dei novecenteschi anni 30 con la pesante e gigantesca facciata della St Andrew House, sede attuale del Governo.
Stanchi e un po’ malinconici scivoliamo nella New Town e recuperiamo rapidamente l’Hotel per ritrovare però buon umore e allegria a cena alla Doric Tavern, dove finalmente gusto il piatto nazionale scozzese, l’haggis, descrittomi (da italiani) come disgustoso, rivoltante, immangiabile, perché a base di un trito di polmoni, cuore e fegato di pecora, mescolato a farina d’avena e cipolla, bollito nello stomaco dell’animale. Lo trovo invece molto gustoso e gradevole anche perché accompagnato da purè di patate e di rape. Sformato di agnello per gli altri e birra lager a volontà.
Venerdi 17 ottobre
Peter ci riprende in consegna per portarci nel Fife, una lingua di terra oltre il Firth of Forth, che oltrepassiamo attraverso il Tay Bridge, accanto al Forth Road Bridge, maestoso ponte ferroviario a tre arcate in ferro, ormai centenario, per inoltrarci in una terra ondulata, largamente coltivata, accanto a lembi lussureggianti di boschi, il cui fogliame autunnale è esaltato da un sole che si sta affermando sulle nubi. Le colline sono dolci e ai piedi di uno dei crinali mettiamo piede a Falkland, un delizioso villaggio tranquillo e silenzioso, con molti cottage d’epoca e quasi niente traffico automobilistico. La vera meta è il Falkland Palace, una residenza di caccia degli Stuart, costruita nel XVI secolo al posto di un castello dei conti di Fife. Quello che più colpisce, al di la del mobilio di pregio, i soffitti dipinti, gli innumerevoli quadri, gli arazzi fiamminghi, è la sua abitabilità, il confort degli angoli davanti ai camini, con poltrone logore per l’uso, a portata di mano libri, tazze e tazzine, portaceneri, il carbone e gli attizzatoi, mentre, poco lontano, scrivanie e secretaire con oggetti di uso quotidiano, ninnoli e fotografie. In ogni stanza c’è un volontario o una volontaria, che sembrano i padroni di casa e sono per questo aperti al sorriso, alle informazioni, a battute in un italiano con un forte accento inglese. Il parco all’esterno, con alberi secolari, il ruscello con acque limpide, un falconiere con tanto di rapace sul braccio, i prati verdissimi è illuminato da un bellissimo sole e in un angolo della recinzione, un anonimo manufatto in pietra nasconde un piccolo gioiello, il Royal Tennis Club, dove si giocava (e si gioca tuttora) a partire dal 1539 un antenato del tennis attuale, ispirato alla pallacorda e che mi ricorda un campo di pelota basca.
La tappa successiva è la costa del Mare del Nord che tocchiamo a Anstruther, un pittoresco villaggio di pescatori, oggi il principale centro turistico della zona e per questo non posso mancare al mio terzo fish and chip, gustato al Anstruther Fisch Bar & Restaurant. Un’occhiata al porto e subito sulla via del ritorno, per evitare le code (che non eviteremo) sulla M90 fino al ponte sul fiordo. Un the a casa di Peter ci permette di gustare momenti piacevoli in una casa scozzese, con moglie e figlio con fidanzata ed una simpaticissima cagnetta di razza labrador.
Le cena, ultima in terra scozzese, è ancora da Gennaro, pizza, pasta e caprese. Alla faccia dell’haggis.
Sabato 18 ottobre
Il volo di ritorno è previsto nel pomeriggio, per cui la mattinata è dedicata agli ultimi acquisti e ad un lento vagabondaggio per l’Old Town. E’ l’occasione per ripassarmi i colori della città: il grigio della pietra del Castello; l’oro dei fregi, delle targhe, delle insegne; il celeste, il nero, il rosso e il giallo del North Bridge; il nero lucido delle ringhiere, dei passamani, dei dissuasori di sosta e anche dei cannoni del Castello; il verde dei prati di Holyroodhose; l’ocra dei palazzi di Cockburn Street; il rosa delle pietre di Rosslyn Chapel; i tanti colori delle mostre in legno dei negozi del Royal Mile.
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