Non ci sono più soldi. Lo ha detto candidamente il ministro Madia con la sua solita facies figée e non si riferiva all’acquisto degli F35, alle nostre cosiddette “missioni di pace” all’estero, ai costi dell’appartenenza alla Nato, alla ormai scandalosa spesa militare. Né si riferiva agli emolumenti e vitalizi dei parlamentari e dei consiglieri regionali e alle spese ormai ingiustificate della politica né ai costi delle grandi opere, a partire dall’alta velocità ferroviaria. Si riferiva ai servizi essenziali per i cittadini.
Come pretendere infatti con poco più di 1.200 euro al mese dai poliziotti di rischiare la vita, dai carabinieri di presidiare il territorio, dai finanzieri di non farsi corrompere dalle mafie, dai vigili del fuoco di essere disponibili h24 contro i piromani nonché negli incidenti stradali o urbani, dagli insegnanti di preparare e garantire lezioni in classe, correggere i compiti, partecipare ai consigli di classe, incontrare i genitori, fronteggiando le loro frustrazioni e le loro false aspettative di crescita, attraverso i loro figli, della scala sociale?
Come chiedere maggiore efficienza, una forte motivazione ed un più alto senso di responsabilità ai dipendenti di comuni, ex province, regioni e degli uffici periferici dello stato, quando il loro stipendio garantisce, se non aggiunto ad un altro o almeno ad una pensione, al massimo la sopravvivenza, con più il congelamento ormai quinquennale dei contratti, della copertura del turn over e della crescita professionale?
Perché con gli stipendi di quattro anni fa e con analoghe condizioni le professioni sanitarie e quelle sociali dovrebbero garantire al meglio la complessa assistenza delle persone malate, disabili, non autosufficienti?
Si grida allo scandalo di fronte alla minaccia di scioperi, ci si ostina a denigrare chi esprime perplessità e chiede altre soluzioni, si chiede alle parti sociali di “non disturbare il manovratore”.
Io credo che ognuno farebbe la propria parte, come del resto ha fatto negli ultimi anni, se fosse di fronte ad un’azione organica e coerente di effettivo abbattimento dei privilegi di casta, di corporazione, di censo e di contenimento delle spese non giustificate da una effettiva urgenza e necessità sociale.
I dipendenti pubblici sanno di non poter eludere ed evadere il fisco e il prelievo sui loro stipendi è ormai diventato odioso e intollerabile. Una vera riforma del fisco, garantirebbe non solo equità e giustizia, ma un maggiore gettito fiscale. Potrebbero ancora stringere la cinghia, se fossero almeno garantiti pienamente dallo Stato la salute, la formazione, la vita stessa, cioè, paradosso dei paradossi, da loro stessi.
Coloro per i quali non ci sono soldi sono coloro che contribuiscono in maniera determinante a garantire servizi, alla tenuta sociale, alla tutela delle parti deboli e indifese, alla difesa dei diritti fondamentali. Pretenderebbero almeno rispetto, il riconoscimento del loro lavoro, il coinvolgimento nell’individuare soluzioni e correttivi, anche il blocco degli stipendi.
Ne risentirebbero ancora i consumi, ma non la dignità e con esso il cambiamento. Quello vero, perché senza dignità non c’è cambiamento.
Forse il ministro Madia dovrebbe fare questi annunci.
9 settembre 2014
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