Colpisce la meraviglia manifestata dai governi occidentali riguardo la rapida avanzata delle truppe del cosiddetto Isis in Iraq, come se non fossero in possesso di raffinati strumenti di intelligence e di controllo sul campo, visto che sono in Iraq se non da ventiquattro anni (Prima Guerra del Golfo) da almeno undici (Seconda guerra del Golfo), quando il presidente americano Bush e il suo collega inglese decisero che la guerra, dopo cinquantotto anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, tornava ad essere il principale strumento per risolvere le questioni tra stati. Tutto ovviamente alla faccia dell’ONU. Non potevano non sapere che la guerra in quel paese non solo aveva abbattuto il regime dittatoriale di Saddam Hussein, ma ne aveva smantellato l’apparato statale, sia civile che militare e ne aveva incrinato l’unità, riconoscendo le pretese, sicuramente legittime, di autonomia della componente curda, e di fatto rovesciando i rapporti di forza tra sciti e sunniti. Ne doveva derivare un paese interetnico e interreligioso, dove le varie componenti avrebbero avuto poteri e contropoteri, con le necessarie e indispensabili autonomie territoriali, Di fatto è stato sostenuta la componente scita, sicuramente maggioritaria in Iraq, ma non legittimata a detenere tutte le leve del potere, a partire dal governo centrale, passando per l’esercito e arrivare alla gestione delle risorse economiche. Tutte queste azioni non potevano non avere reazioni e l’Iraq è stato teatro di innumerevoli attentati e azioni violente, che sono sfociate poi in vere e proprie operazioni militari, sostenute dai petrodollari di ricchi emirati e dall’aiuto onnipresente dell’Arabia Saudita, storico alleato degli USA nell’area mediorientale (dopo Israele), di fatto l’ispiratore di tutti i principali movimenti sovversivi dell’area, chiamati con vari nomi, Al Qaeda, Jihdiad islamica, Isis, tutti con l’obiettivo di impedire nuovi assetti in Medio Oriente, basati magari sulla partecipazione popolare, su libere elezioni, sul rispetto dei diritti civili, sulla pluralità religiosa, sulla laicità dello stato.
Adesso tutti i governi occidentali gridano “al lupo al lupo”, di fronte alla catastrofe che essi stessi hanno provocato con una politica miope, schizofrenica, contraddittoria. Non hanno fatto niente per risolvere il conflitto Israele-Palestina, hanno sostenuto in Afghanistan gente come Osama bin Laden in funzione antisovietica, per poi ritrovarselo avversario potente e ben armato, hanno legittimato ed aiutato Saddam Hussein in funzione antiraniana, per poi metterlo nelle mani del boia, hanno bombardato la Libia per annientare Gheddafi ed hanno invece innescato una terribile e controproducente guerra civile. Per non parlare dell’Egitto dove il sostegno al regime corrotto e dittatoriale di Mubarak ha favorito di fatto l’opposizione dei Fratelli Mussulmani e la loro salita al potere, per poi stroncarla con un colpo di stato militare, apparentemente efficace nell’immediato, ma molto probabilmente incapace nel futuro di rispondere alle esigenze del paese più popoloso del Medio Oriente.
Oggi quegli stessi governi intervengono di nuovo militarmente in Iraq per contrastare l’avanzata di una armata eterogenea e fanatica, che raccoglie non solo le frustrazioni recenti dei sunniti, ma che ipotizza un nuovo stato, ne vuole ridefinire i confini interni ed esterni su appartenenze tribali e religiose, mira ad una propria autonomia economica grazie al controllo di importanti fonti petrolifere, sfida i regimi dell’area considerati complici e succubi dell’occidente, di cui conoscono solo i bombardamenti, le occupazioni militari, i rastrellamenti e gli intrighi, le interferenze, la capacità di corrompere.
Oggi l’Occidente non solo continua con la forza, ma intende rafforzare la potenza militare curda, che sfocerà, se vittoriosa, inevitabilmente in un Kurdistan totalmente autonomo, indipendente da Bagdad, con ripercussioni pesanti nel Kurdistan turco, trasforma il regime siriano di Assad da stato canaglia a nuovo prezioso alleato, sta rivedendo i suoi rapporti con l’Iran scita, rimasta l’unica vera potenza regionale in grado di contrastare il nuovo califfato, ben sapendo che è ormai una potenza nucleare e che è l’alleata degli Hezbollah in Libano e di Hamas a Gaza.
L’Occidente deve perseguire altre possibilità, ma per questo deve cambiare atteggiamenti e comportamenti. E deve assumere altre fisionomie. Non può più identificarsi negli USA e nella loro politica ex imperiale, non può più essere vincolato da rigide alleanze ormai anacronistiche come la Nato, deve pienamente riconoscersi negli Istituti internazionali e non considerarli come contenitori mediatici da utilizzare solo all’occorrenza, ma come strumenti per il confronto e la mediazione internazionale. Per questo devono essere dotati di maggiore consenso e di maggiori risorse, per essere veramente autorevoli. E’oggi notoria l’impotenza operativa, ad esempio di OMS e UNICEF, per non parlare del Consiglio di Sicurezza dell’ONU o della sua Assemblea Generale.
C’è bisogno di nuovi protagonisti ed uno di questi è l’Europa. Non questa Europa ma un’altra Europa. Pienamente autonoma nelle sue decisioni, non vincolata né da alleanze né da sudditanze, con una propria politica e con proprie proposte. La crisi economica in cui si dibatte può trovare una risposta anche nel ricercare nel quadro mediorientale interlocutori, partner, imprenditori, operatori economici, soggetti finanziari interessati a sviluppare economie non di guerra, a realizzare infrastrutture non solo militari, a pianificare città e strutture civili, non solo caserme e arsenali, a sviluppare sistemi di welfare e non di combattimento.
Non è vero che l’Europa è assente o troppo debole nella politica internazionale. E’ forte o fortissima nell’appoggiare le soluzioni statunitensi, nel ricercare commesse militari, nel sostenere intrighi e complotti.
Per questo c’è bisogno di un’altra Europa.
27 agosto 2014
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