29 luglio 2014 Il migliorismo al Quirinale

Non so chi abbia coniato il termine migliorista per definire quella che era una corrente interna al PCI e non so quanta ironia vi fosse sottintesa. Infatti questa connotazione denota implicitamente orizzonti limitati, obiettivi modesti, una teoria politica tesa a migliorare e non a cambiare lo stato delle cose esistenti e quindi a far prevalere la pratica del tatticismo, della mediazione al minimo livello, del ridimensionamento se non della negazione del conflitto. Giorgio Napolitano era il capo indiscusso della corrente e da Presidente della Repubblica non ha mai dimenticato che il sistema capitalistico andava migliorato, anche quando assumeva i connotati cinici e crudeli del neoliberismo, e che andavano migliorati i rapporti con le forze moderate, a partire dal PSI di Craxi.

Ma soprattutto non ha mai dimenticato l’opposizione aperta fatta nei suoi confronti dalla sinistra, sia quella interna al PCI capeggiata da Pietro Ingrao sia quella extraparlamentare sia quella sociale. Pertanto da capo dello stato non ha mai sostenuto né tantomeno caldeggiato soluzioni politico istituzionali che avessero connotati anche vagamente di sinistra. Non si spiega altrimenti perché non si sia andati immediatamente al voto dopo che la maggioranza schiacciante di Berlusconi nel Parlamento si era volatilizzata nell’autunno del 2011 e che molto probabilmente avrebbe premiato il centro sinistra italiano. Perché al suo posto inventarsi una soluzione centrista e moderata con un bocconiano “salito” in politica, capace di dilapidare in pochi mesi una incredibile credibilità politica con scelte antisociali e diseconomiche?

Perché di fronte alla mancata vittoria (ma non alla sconfitta) del PD di Bersani nel 2013 non ha mandato in Parlamento il segretario di quel partito, maggioritario nel paese, per conquistare una fiducia, sicuramente negata nei colloqui presidenziali, ma tutta da giocare in aula, sfidando il Movimento 5Stelle, snidando gli indecisi, provocando un dibattito e le scelte conseguenti su pochi, ineludibili e indispensabili punti programmatici?

Perché  insistere su nomine fiduciarie e su politiche di austerità e rigore, affondando definitivamente ogni ipotesi di centro sinistra in Italia?

Ma soprattutto è nell’odierna battaglia parlamentare sulla riforma della Costituzione Italiana che l’idiosincrasia di Napolitano per la sinistra e per tutto quello che gli assomiglia si manifesta.

La partita è tutta di sua competenza, essendo il garante della Costituzione.

Mai come in questo momento ci sarebbe stato bisogno di un suo intervento autorevole, super partes, per abbassare i toni del dibattito, per ridimensionare i tecnicismi e le forzature istituzionali, per dare i tempi giusti e necessari, senza contingentamenti o “tagliole”,  per approvare una riforma che si proietta nel futuro, ben al di là degli attuali governanti.

E’ compito del Presidente di una repubblica parlamentare impedire che il parlamento diventi un campo di battaglia in cui, dopo aver delegittimato le commissioni competenti,  si incoraggi un muro contro muro, senza mediazioni né accordi, dove si consuma una prova di forza del presidente del consiglio, senza tener conto che la Costituzione non può essere un pretesto né per rottamare vecchi ceti politici  né per garantire una politica di governo.

Non è invece compito del capo dello stato definire “spettri” coloro che esprimono dubbi e perplessità su questa riforma e che paventano derive autoritarie, perché non può né deve entrare nel merito del confronto sul superamento del “bicameralismo perfetto”, non può e non deve entrare nell’ambito delle funzioni dello stato per quanto riguarda l’indirizzo politico, prerogativa propria del parlamento e del governo.

Tutto questo è coerente con la cultura politica di Giorgio Napolitano, in cui, accanto al primato dell’impresa e del libero mercato, coesiste il primato della governabilità che oggi significa adozione di un sistema bipolare, basato sulla connessione diretta elezione-governo e che, nell’immediato futuro, prefigura un regime presidenzialista, dove il presidente non è più un organo di garanzia, ma espressione diretta di una parte del paese. Molto ha fatto Giorgio Napolitano per tutto questo, con metodo e sistematicità, al contrario della cialtroneria nevrotica di un precedente presidente“picconatore”.

29 luglio 2014

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