20 luglio 2014 Riforme, controriforme, chiacchiere

Riforme, riforme, riforme. E’ il mantra del governo Renzi, declamato in tutte le sedi locali, nazionali, internazionali. Alle riforme si legano maggiore produttività economica, rilancio dell’occupazione, risanamento della finanza pubblica, moralizzazione del mondo politico, credibilità internazionale dell’Italia. Chi si oppone, chi critica, chi esprime perplessità, chi vuole capire viene tacciato da gufo, da parruccone, da sabotatore. Non si usa (ancora) il termine disfattista, forse perché è lo stesso epiteto che Mussolini attribuiva agli antifascisti.

In questo clima “da ultima spiaggia” Renzi chiede una delega in bianco per procedere rapidamente, denunciando il dibattito parlamentare come un intoppo, un eccesso di personalismi, una resistenza al cambiamento, nonostante  “la musica sia cambiata”. Ma è veramente cambiata la musica o sono cambiati solo i suonatori?

Le riforme che sono in campo sono essenzialmente la trasformazione del Senato da Camera elettiva ad assemblea di nominati da regioni e comuni, priva di poteri legislativi, di puro contorno al potere esecutivo, che dovrà essere potenziato ed enfatizzato fino a sfiorare il presidenzialismo, grazie ad una riforma elettorale di stampo populista, che mira a legittimare solo lo strapotere di una minoranza.

Della pubblica amministrazione si parla di una sua efficientizzazione burocratica ed informatica, ma non di attrezzarla come elemento di indirizzo e controllo di un rilancio dell’azione pubblica in campo economico e sociale, mentre non si dice niente sulla riforma fiscale, per rendere la fiscalità più giusta ed equa, per alleggerire un peso ormai intollerabile solo sui redditi da lavoro, lasciando nell’indecifrabilità e nell’insignificanza fiscale i redditi da speculazioni finanziarie, da truffe, da raggiri e manipolazioni contabili, da riciclaggio mafioso.

A fronte dell’esplosione della povertà assoluta che vede 1 milione e 206 mila indigenti in più dal 2012 al 2013, (ormai il 9,9% della popolazione italiana) non c’è traccia di una riforma che preveda il “reddito minimo di cittadinanza”, la destinazione del patrimonio immobiliare sfitto e quello requisito alla criminalità organizzata per usi sociali e abitativi, la ripublicizzazione dei servizi basici essenziali, la ricostituzione di un fondo per la spesa sociale, dopo che è stato tagliato da 2,5 miliardi a 964 milioni di euro.

Che ne è della riforma della scuola, che necessita di un atto legislativo organico e razionale, banalizzata in un “piano scuola” che prevede l’aumento secco dell’orario di lavoro per i docenti in ruolo con l’esclusione di decine di migliaia di docenti precari, a fronte del blocco del contratto nazionale e i tagli epocali di 8,4 miliardi di euro?  Si prevede anche l’allungamento dell’orario di apertura degli istituti scolastici, sia di notte che d’estate, ma non grazie all’utilizzo del personale di ruolo, ma di privati, associazioni e volontari, che prefigura, questo sì, una vera riforma, quella della privatizzazione della scuola pubblica.

A quando la riforma della magistratura, per ridare a questo istituto fondamentale, autorevolezza e credibilità, minata non dalle accuse interessate di fumi persecutori da parte di famosi inquisiti, corruttori e concussori, ma dallo sconcerto se non paura provocati dal clamoroso ribaltamento di sentenze, dai tempi inaccettabili della giustizia civile, dai personalismi e dalla conseguente  litigiosità all’interno delle procure,  dall’evidente arbitrarietà di alcuni provvedimenti, dalla disparità di trattamento nelle sedi giudiziarie tra ricchi e poveri, tra forti e deboli, tra inclusi ed esclusi?

Perché non è in agenda la riforma dei beni comuni, per mettere mano allo scandalo, da pochissimi denunciato, dell’uso privatistico dei beni pubblici, a partire dalla sanità, per arrivare all’informazione pubblica, passando per la scuola, l’università, la gestione delle risorse idriche e ambientali?

Le riforme che sono nell’agenda del governo Renzi non hanno l’obiettivo della giustizia e dell’equità sociale, la salvaguardia e il potenziamento dell’azione pubblica, la messa in discussione di privilegi di caste e di ceti politici, sono un pasticcio anticostituzionale, disattento nei confronti delle priorità del paese, per di più concordato con la destra  berlusconiana ed ex berlusconiana. Nel migliore dei casi sono solo chiacchiere.

20 luglio 2014

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