1° luglio 2014 Governabilità e/o rappresentatività?

Da tempo, a partire da Berlusconi e finire con Renzi, si è aperta una lacerante contraddizione tra il principio della governabilità e il principio della rappresentatività. Si afferma, non solo a destra, che non è possibile governare il nostro paese se si è costretti al confronto e allo scontro con chi rappresenta i numerosi interessi della comunità italiana, fino ad ora, si dice, iperappresentati anche in sede istituzionale, a partire dal parlamento, favoriti nel passato dal sistema proporzionale ed oggi malamente arginati da un sistema fortemente artificiale nei voti e nei seggi, che si vuole rafforzare con il cosiddetto sistema dei sindaci: chi vince, non importa se ha votato meno della metà degli elettori o se le maggioranze sono tali solo per seggi fantasma acquisiti con un premio, vince tutto e pretende di agire in nome e per conto di un popolo, che non deve più essere rappresentato, a partire dalle assemblee elettive. Queste vanno ridotte di numero e ridimensionate nei loro compiti e funzioni, non devono essere sede di dibattito e confronto politico, pena la lentezza o la modifica delle procedure legislative, ma luoghi dove rappresentare (questo sì) solo un consenso virtuale all’esecutivo, visto che il consenso reale non vi si può manifestare. E’ un caso il ricorso ormai sistematico nel Parlamento Italiano alla procedura di fiducia al governo, pur in presenza a volte di larghissime maggioranze?  E’ un caso non l’abolizione delle province, ma la loro derubricazione ad enti intermedi, non più elettivi?

E’ un caso la riforma del senato, che lo vuole trasformare in una assemblea, inutile e costosa, di nominati e non più di eletti?

Eppure l’Italia è un paese complesso, come sono le società moderne e postmoderne, che va, da chi governa, capito, interpretato, decodificato, ma soprattutto ascoltato, aprendo mille sedi di confronto, con interlocutori credibili e autorevoli. Credibili e autorevoli se, nel caso di eletti, siano scelti, non con le attuali competizioni elettorali a preferenza unica o nelle ordalie primariali, ma sulla base di una reale rappresentatività, che non può che essere “una testa un voto” espressa in collegi uninominali, senza soglie, sbarramento, premi.

Credibili e autorevoli se, qualora siano espressione della società civile, non siano individuati da partiti o associazioni liquide, evanescenti, feudalizzate nella obbedienza a capi e capetti, ma siano portatori di interessi legittimi, e, in questo caso, la legittimità non è legata alle fattibilità e alle opportunità delle richieste ma alla loro rispondenza a bisogni e diritti primari.

Un governo è forte non perché è guidato da un uomo forte al comando, magari con un plebiscito acquisito in una particolare contingenza elettorale o politica, ma se la politica che esprime è il risultato di un consenso reale, verificato quotidianamente, in maniera continua e ravvicinata, senza scorciatoie mediatiche o sotterfugi informatici.

1° luglio 2014

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