2014 Riordino del Servizio Sanitario Regionale

PREMESSA

Il Servizio Sanitario umbro, a partire dalla sua istituzione e fino ad oggi, ha dato prova d’essere all’altezza delle funzioni e dei compiti ad esso affidati dalla Riforma Sanitaria e dalle successive modificazioni intervenute per effetto sostanzialmente di leggi nazionali quali la 502/1992, la 517/1999 e la 229/1999, facendo registrare una notevole capacità di adattamento ai profondi mutamenti imposti sia dal rapido evolversi del quadro demografico che dalla introduzione, nel sistema sanitario, di sostanziali innovazioni in ambito strutturale, professionale, tecnologico, terapeutico-assistenziale, farmacologico e riabilitativo.

Sono stati anni connotati da profondi rimodellamenti che hanno riguardato, da una parte, l’ammodernamento della rete ospedaliera regionale – tesa ad assicurare sia prestazioni di alta specialità che la continuità dei percorsi assistenziali – e, dall’altra, la diffusione uniforme nel territorio di strutture e servizi sanitari e socio-sanitari.

I risultati conseguiti, in termini di efficacia delle prestazioni e di efficienza nell’erogazione degli interventi, ha consentito all’Umbria, nel confronto con le altre Regioni, di ben figurare, soprattutto relativamente a:

  • qualità delle risposte assistenziali,
  • quantità delle strutture e dei servizi sanitari ospedalieri e territoriali,
  • diffusione degli screening per la diagnosi precoce di patologie neoplastiche,
  • capacità di gestione economico-finanziaria delle risorse assegnate dal Fondo Sanitario nazionale.

A questo proposito sono decisamente significativi i dati dell’ultimo “Rapporto CERM 2011”, che individuano l’Umbria come modello per la gestione della Sanità e la collocano al primo posto tra le Regioni italiane sia per la capacità di controllo della spesa (spesa pro-capite più bassa) che per l’alta qualità delle prestazioni erogate (efficacia degli interventi sanitari, livello di soddisfazione dell’assistenza sanitaria, andamento della mobilità e rischio di ospedalizzazione).

Un Sistema Sanitario regionale che, fino ad oggi è stato capace, pur collocato al livello di eccellenza delle prestazioni, di non gravare sulle finanze dei propri cittadini attraverso l’introduzione di tasse regionali e ticket: a conferma dell’eccellenza raggiunta sui livelli di spesa, secondo i dati della stessa Corte dei Conti, emerge, infatti, come solo l’Umbria e la Lombardia, uniche due Regioni a statuto ordinario, siano riuscite a conseguire risultati economici positivi con le sole risorse garantite dallo Stato evitando il ricorso ad altri fondi regionali per il finanziamento della Sanità.

Oggi, la capacità del Servizio Sanitario regionale di continuare a fornire ai cittadini risposte eque, efficaci ed efficienti è sottoposta a nuove e più complesse sfide generate, da un lato, dall’evoluzione del quadro demografico ed epidemiologico e dall’altro, dalla progressiva ristrettezza delle risorse economiche messe a disposizione delle Regioni italiane dal Fondo Sanitario Nazionale. Elementi questi che costringono l’Umbria a ripensare in maniera sostanziale sia il modello organizzativo del Servizio Sanitario regionale che le modalità di erogazione delle prestazioni e degli interventi sanitari e socio-sanitari, cercando di ridurre ulteriormente l’uso distorto e/o inappropriato delle risorse economiche disponibili.

1.

Una analisi che non può non prendere avvio dalla considerazione delle profonde e rapide trasformazioni che, in questo momento, caratterizzano il quadro sociale ed economico, con il continuo invecchiamento della popolazione, il crescente peso degli anni di vita vissuti in condizioni di non autosufficienza, l’incremento delle persone immigrate, la scomposizione della famiglia con l’aumento dei nuclei unipersonali e di nuclei di anziani soli o in coppia, le difficoltà di inserimento occupazionale stabile per le giovani generazioni,

Le tendenze demografiche in atto mostrano un aumento degli anziani sia in senso relativo che assoluto, legato anche al declino dei segmenti più giovani e che l’80% delle morti avviene nella popolazione anziana, quando nel 1900 solo il 25% delle morti avveniva in soggetti ultrasessantacinquenni.

L’aumento delle malattie croniche accompagna inevitabilmente l’invecchiamento della popolazione.

Le malattie croniche sono caratterizzate da eziologia incerta, fattori di rischio multipli, lungo periodo di latenza, lunga durata, cause non infettive, disabilità funzionale associata, incurabilità.

Nei loro confronti sono pertanto ipotizzabili interventi tesi a diminuirne l’incidenza, a posporre l’insorgenza di disabilità, ad alleviare la gravità della patologia e a prolungare la vita del paziente affetto.

2.

Mutamenti altrettanto radicali in ordine alle  risorse finanziarie disponibili stanno condizionando la capacità degli Stati, in particolare nell’area dell’Euro, di garantire e sviluppare adeguate politiche pubbliche e  sostenere i sistemi di Welfare esistenti.

La presente e drammatica congiuntura economica, caratterizzata dalla pressione sui debiti sovrani da parte della speculazione finanziaria, ha determinato nel nostro paese  ripetuti interventi di riduzione della spesa pubblica, che hanno drasticamente ridotto le dinamiche di finanziamento del SSN, passando da incrementi medi del 5% del triennio 2004/2006 al +1,2% previsto nel triennio 2012/2014, con una punta di caduta dell’incremento per il 2013 dello 0,5%, dati che fanno ipotizzare, in assenza di interventi, seri problemi di sostenibilità dei sistemi sanitari regionali.

La stessa OCSE, pur confermando  nel Report 2011 buoni livelli di spesa conseguiti dall’Italia rispetto alla qualità dei servizi e una notevole capacità di controllo della stessa, nei documenti strategici (Health care systems: getting more value for money – 12/2010), partendo dall’assunto che “il sistema migliore non è per forza quello più costoso”, ipotizza che i governi nella congiuntura data debbano incrementare non la spesa ma l’efficacia dei sistemi. Per questa strada “si potrebbe raggiungere nell’area Ocse un risparmio della spesa pubblica pari a quasi il 2% del Pil entro il 2017”.

Tale indirizzo di riduzione dell’incidenza della spesa sanitaria sul PIL, declinato sotto forma di “universalismo selettivo” e cofinanziamento a carico dei cittadini, costituisce il nucleo delle elaborazioni in materia di livello governativo  (libro bianco sul welfare del Ministro del lavoro) e sarà quasi sicuramente oggetto dei ventilati prossimi interventi di correzione dei conti pubblici.

Per la nostra regione, che rimane una delle poche regioni italiane in equilibrio economico-finanziario senza integrazioni con  fondi propri e con buoni livelli di qualità del sistema,  visto il  livello del finanziamento per gli anni 2013 e 2014, emerge la situazione sintetizzata nelle tabelle seguenti:

 

              SANITA’-Valutazione impatto economico L. 111/2011

(in milione di euro)

Anni 2012 2013 2014
Livello del finanziamento del settore sanitario a legislazione vigente -Italia 108.780 111.794 116.236
Var. % 2,8% 4,0%
MANOVRA      –  2.500     –  5.450
Livello del finanziamento del settore sanitario dopo la manovra 108.780 109.294 110.786
Var. % 0,5% 1,4%
 

 

REGIONE  UMBRIA – Valutazione impatto economico L. 111/2011

(in milione di euro)

Anni 2012 2013 2014
IMPATTO  ECONOMICO MANOVRA – SANITA’ –  2.500 –  5.450
VALUTAZIONE IMPATTO ECONOMICO REGIONE UMBRIA –  38 –  83

 

Si rileva che, sulla base degli effetti della manovra pari a 2.500 Milioni per l’anno 2013 e 5.450 Milioni per il 2014 rispetto alla spesa tendenziale, alla Regione Umbria vengono  a mancare sulla base della quota d’accesso attuale rispettivamente 38 milioni di euro nel 2013 e 83 Milioni di euro nel 2014. (170 milioni?)

Si tratta di riduzioni di finanziamento difficilmente sostenibili, che possono indurre preoccupanti scadimenti di qualità e, di fatto, una contrazione dei Livelli Essenziali di Assistenza.

L’APPROPRIATEZZA E LA QUALITA’

Per fornire nuove risposte alla profonda modifica della tipologia e dell’intensità dei bisogni e alla prospettiva di risorse decrescenti, è necessario individuare un nuovo modello assistenziale, che da una parte chiama in causa il sistema sanitario, con una serie di innovazioni ormai ineludibili sul piano organizzativo e gestionale, dall’altra attribuisce un ruolo altrettanto determinante alla comunità e all’assistito competente e attivo. Anche la componente sanitaria privata viene chiamata a svolgere una funzione assistenziale integrata più incisiva nel sistema salute.

L’obiettivo prioritario della Regione Umbria rimane il mantenimento di un sistema sanitario “universalistico”, che garantisca i livelli essenziali di assistenza e quelli aggiuntivi previsti dalla normativa regionale a tutta la popolazione residente, senza distinzioni di genere, età, reddito, lavoro.

Il processo inevitabile di razionalizzazione della spesa sanitaria deve garantire sostenibilità all’intero sistema, ma nel contempo rafforzare l’equità del servizio sanitario regionale, garantendo  uniformità nell’accesso e omogeneità nel trattamento, superando disomogeneità assistenziali, duplicature di servizi, eterogeneità delle prestazioni.

L’appropriatezza diventa così un aspetto fondamentale della qualità assistenziale, in una relazione fortemente dinamica con le altre componenti della qualità: sicurezza, efficacia, equità, continuità assistenziale, coinvolgimento del cittadino,  efficienza.

Il Servizio sanitario deve garantire di ottenere gli effetti desiderati e ridurre gli sprechi, facendo in modo che i benefici attesi in termini di salute – benessere  eccedano, con un margine di probabilità sufficientemente ampio, le potenziali conseguenze negative dell’intervento stesso.

Mentre il miglioramento dell’appropriatezza clinica garantisce l’effettivo miglioramento della qualità dell’assistenza, l’uso efficiente delle risorse (appropriatezza organizzativa) riduce i costi e rende massimo il numero di cittadini che possono accedere a interventi efficaci.

E’ indubbio che interventi appropriati producono anche effetti equitativi, permettendo di contrastare i fattori di rischio e di ostacolo all’accesso che potrebbero penalizzare i più svantaggiati. Proprio per questo l’appropriatezza include la presa in considerazione della soddisfazione del paziente e il suo coinvolgimento.

Il Servizio Sanitario Regionale deve individuare interventi mirati sul tema dell’appropriatezza, per superare fenomeni di improprio assorbimento di risorse da parte di un livello assistenziale, con conseguente riduzione del livello di copertura di altri livelli assistenziali, disattendendo in tal modo i diritti da garantire a tutti i cittadini.

I LEA rappresentano l’ambito delle garanzie che il Servizio Sanitario Nazionale si impegna a garantire a tutta la popolazione in condizione di uniformità su tutto il territorio nazionale; si tratta di attività e di prestazioni finanziate con risorse pubbliche che devono essere garantite a tutti i cittadini.

I LEA non sono un “vincolo”, ma un impegno “programmatico per il Ssn” e un “diritto per i cittadini”.

La definizione dei LEA è materia dello Stato centrale, che indica i macrolivelli di assistenza sanitaria uniforme e la domanda sanitaria da soddisfare, ma la responsabilità di garantirli su tutto il territorio è di competenza regionale.

Le regioni devono definire assetti e modalità organizzative per assicurarli in funzione delle specifiche esigenze del territorio, stabilendo anche specifici impegni regionali per eventuali LEA aggiuntivi, distribuendo le risorse secondo l’organizzazione prescelta.

Pertanto l’erogazione e il mantenimento dei LEA richiede, accanto alla esplicita definizione degli stessi ed all’attivazione di un sistema di monitoraggio e di garanzia, un importante impegno da parte delle Regioni a livello programmatorio.

E’ compito delle regioni, tenendo conto dei vincoli finanziari, definire le condizioni di erogabilità delle prestazioni LEA, considerando i criteri di particolare tutela della urgenza/complessità, della fragilità sociale e della accessibilità territoriale, definendo assetto organizzativo e modelli di attuazione personalizzati.

LO STATO DELL’ARTE

1.

In Umbria (alla pari di quanto è avvenuto in numerose altre realtà regionali), a partire dal DLgs 502/92 e successive modificazioni e integrazioni, è stato avviato un processo di rimodellamento continuo del sistema sanitario regionale, caratterizzato da un progressivo ridimensionamento dei centri direzionali, la cui architettura istituzionale è passata, in un primo momento e almeno per quanto attiene al livello territoriale, da 12 a 5 punti di governo della sanità regionale (LR1/95) e  successivamente all’attuale assetto a quattro aziende territoriali, grazie all’incorporazione della ASL di Orvieto nella ASL di Terni (LR 3/98)

La riduzione significativa delle Direzioni aziendali non ha giustamente riguardato le strutture di coordinamento e di erogazione delle attività e delle prestazioni sanitarie: il numero dei Distretti sanitari (nei primi tempi socio-sanitari) è infatti rimasto invariato, legato ad una articolazione territoriale che individua  12 zone sanitarie, che si identificano con altrettanti Ambiti sociali e altrettanti Distretti scolastici (Alto Tevere, Eugubino-Gualdese, Perugino, Assisate, Tuderte-Marscianese,  Trasimeno, Valnerina-Nursino, Folignate, Spoletino, Ternano, Narnese-Amerino,  Orvietano).

Altrettanto può dirsi per i Dipartimenti di Prevenzione, la cui organizzazione sebbene determinata  da quanto stabilito dall’articolo 7 della L.502/92, in realtà è andata diversificandosi nelle quattro aziende, senza che questo rispondesse a specifiche esigenze territoriali, rivelandosi inadeguati a rispondere da un lato alle necessità di miglioramento dell’efficienza, attraverso un recupero di risorse ottenibile con il potenziamento  reale dei livelli  di integrazione, dall’altra ai nuovi bisogni di salute.

2.

Ad ulteriore conferma del processo di centralizzazione delle funzioni di governo della sanità regionale, in un primo momento attraverso la forma consortile (LR 17/2005 : “Costituzione di una società per la gestione integrata di funzioni tecnico-amministrative in materia di sanità pubblica”) e, successivamente, con l’istituzione dell’Agenzia Umbria Sanità-AUS (LR 16/ 2007) si è inteso procedere nella direzione di un ulteriore accentramento in una unica struttura regionale di alcune decisioni strategiche e funzioni amministrative. In questo contesto, all’AUS, infatti, fu affidata la mission di favorire i processi di integrazione per una gestione unitaria delle aziende sanitarie attraverso l’attribuzione di numerosi compiti quali, ad esempio, la centralizzazione delle procedure di acquisizione di beni e di servizi e l’ottimizzazione logistica e la gestione di programmi concernenti gli investimenti, il patrimonio e le tecnologie sanitarie, lo sviluppo e gestione del sistema informativo e delle tecnologie informatiche, nonché dei relativi servizi di supporto.

L’Agenzia, nel quadro degli enti preposti al governo della sanità regionale, si è trovata quindi ad occupare un ruolo strategico per rispondere alle esigenze di economicità e di appropriatezza della spesa sanitaria regionale e potrebbe essere  chiamata in causa per garantire ai cittadini livelli assistenziali sempre più uniformi e di elevata qualità. Tutto questo è però avvenuto senza che venissero definiti la struttura dell’Agenzia e l’assetto delle sue relazioni con gli altri soggetti del sistema (Giunta regionale, Consiglio regionale, Direzione generale regionale, Aziende sanitarie).

3.

Il modello aziendalistico adottato in Umbria è stato inoltre recentemente sollecitato con l’attivazione delle prime reti cliniche regionali, che hanno proposto una maggiore integrazione tra strutture e servizi sanitari, valorizzando le sinergie potenzialmente disponibili tra attori caratterizzati da missioni diverse, una più marcata omogeneità delle prestazioni, indicazioni più puntuali e vincolanti su appropriatezza ed efficacia. Pur essendo funzionali,  hanno proposto modalità di coordinamento e di raccordo  trasversali e anche sovra aziendali. Questa esperienza, di fatto oggi contraddittoria con il sistema vigente, può essere salvaguardata e potenziata, facendone un effettivo strumento di governo clinico che però può e deve interfacciarsi con una governance aziendale in grado di garantire “fattibilità” a quanto è ritenuto “opportuno” nell’ambito delle reti cliniche.

UN NUOVO PROGETTO

Di fronte a questo quadro in veloce trasformazione e di estrema complessità si pone l’esigenza di garantire maggiore capacità programmatoria, nel senso di definire con più puntualità e con la più ampia condivisione le priorità di intervento, le modalità e gli strumenti organizzativi, l’allocazione delle risorse. Così come è necessario  ridefinire il sistema di governance in Umbria, che ha il compito di utilizzare al meglio, con adeguata autonomia, le risorse affidate per raggiungere in concreto i risultati di salute programmati. Sul piano strettamente assistenziale è necessario il definitivo superamento di un sistema focalizzato sugli erogatori di prestazioni ed il passaggio ad un sistema centrato sulla persona, in modo che l’intervento socio-sanitario venga a perdere la frammentarietà di un approccio legato alla erogazione della singola prestazione per assumere il carattere di un percorso assistenziale integrato.

Tutto ciò porta ad ipotizzare alcuni passaggi chiave, quali il ridefinire il ruolo di indirizzo e coordimento della Direzione Regionale, la rimodulazione degli ambiti territoriali delle ASL, accompagnata da una revisione degli assetti organizzativi e una ridefinizione della mission delle aziende ospedaliere, anche per realizzare un progettualità pienamente regionale che non risenta di influssi o rivendicazioni di tipo localistico.

1.

L’esigenza del rafforzamento della capacità programmatoria, di coordinamento e di controllo impone un potenziamento ed una riorganizzazione della Direzione Regionale Salute, Coesione sociale e Società delle Conoscenza, soprattutto per acquisire competenze tecniche, non solamente amministrative, rispetto ad aree innovative e funzionali al nuovo assetto organizzativo quali l’osservazione epidemiologica, l’Health Tecnology Assessment, la valutazione di performance e di qualità fornita e percepita, l’ empowerment e la partecipazione  dei cittadini, la ricerca finalizzata e la formazione.

L’esigenza di rafforzamento dei livelli di governo del sistema può essere perseguita attraverso la revisione degli attuali ambiti di ASL, passando da quattro a due aziende territoriali, partendo  dal criterio di evitare eccessive differenze di taglia territoriale e demografica tra di essi, perché una eccessiva sperequazione o una dimensione eccessivamente ridotta compromette una equa ed efficace erogazione da parte dei servizi.

Le due nuove ASL si attestano tra i 400.000-500.000 abitanti in linea con la media nazionale.

Le maggiori dimensioni aziendali comporteranno una revisione degli attuali assetti organizzativi, non solo come risultato della semplice sommatoria delle  strutture esistenti.

Sarà quindi necessario riconfermare il ruolo essenziale del Distretto sanitario, quale soggetto erogatore, ripensandone la mission, anche alla luce delle eventuali e possibili evoluzioni, legate ad esempio alla realizzazione delle Case della Salute o alla individuazione di nuove e più funzionali  forme di coinvolgimento dei MMG e PdLS, attraverso l’utilizzo di nuovi modelli associativi, che garantiscano lo sviluppo di una medicina di iniziativa.

Per il Dipartimento di Prevenzione si ritiene necessario superare l’assetto organizzativo attuale, giungendo alla individuazione di sole quattro aree di intervento:

  • la sanità pubblica
  • la prevenzione nei luoghi di lavoro
  • la sicurezza alimentare
  • la sanità pubblica veterinaria

Il processo di cambiamento succitato prevede anche altre azioni di riorganizzazione quali quelle della rete assistenziale del percorso nascita ed in particolare della rete dei punti nascita.

A supporto di questi cambiamenti si citano “il Patto per la Salute 2010-2012” siglato il 3 dicembre 2009 tra Governo, Regioni e Province, finalizzato a migliorare la qualità dei servizi ed a promuovere l’appropriatezza delle prestazioni e a garantire l’unitarietà del sistema, nonché l’Accordo Stato – Regioni del dicembre 2010 “Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali del percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo”. Quest’ultimo lavoro fornisce specifici criteri per l’individuazione dei requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi puntuali cui devono adeguarsi tutti i punti nascita.

E’ anche assolutamente necessario pensare ad un nuovo  modello organizzativo che permetta di ridefinire la “mission” di Umbria Soccorso 118, a fronte della attribuzione, sempre più centralizzata, ai Dea di 1 e 2 Livello di funzioni e competenze specifiche per la Emergenza e per l’ alta specialità.

Pertanto l’originaria scelta di tre centrali operative, perseguita per l’avvio del sistema, deve oggi rivista. La “regia” del nuovo sistema infatti non può che essere la Centrale Operativa 118, a questo punto unica a livello regionale, deputata a porsi come interlocutore unico e qualificato per l’utenza e per le strutture collegate, in termini  di ricezione e valutazione delle richieste e come momento di coordinamento, gestione e verifica della attività di trasporto e di ricovero.

Infine la presa in carico della non autosufficienza, in termini di valutazione, percorsi assistenziali personalizzati, misure di sollievo, sostegno ai care giver, semiresidenzialità e residenzialità anche con nuovi modelli assistenziali, sarà sicuramente più omogenea perché garantita equamente su una più ampia dimensione organizzativa.

2.

Le due Aziende Ospedaliere di Perugia e di Terni, che sono confermate nella loro autonomia finanziaria e gestionale, dovranno essere maggiormente interconnesse, chiamate a condividere finalità ed obiettivi ma anche ambiti di azione e risorse professionali.

Lo strumento per l’interconnessione sarà il Dipartimento Interaziendale, che avrà il compito fondamentale di sviluppare sinergie ed eliminare duplicazioni,  di presiedere l’attività assistenziale, quella formativa e di ricerca, come contemplato dal recente accordo che tende a trasformare l’AO di Perugia in Azienda Ospedaliero Universitaria e la prevista convenzione che disciplinerà i rapporti tra AO di Terni e la Facoltà di Medicina.

Alle Aziende Ospedaliere viene affidata la competenza gestionale anche degli  Ospedali di Territorio, con l’obiettivo di garantire la continuità assistenziale tra il trattamento in acuzie e la presa  in carico della post acuzie. Nel contempo si potrà garantire la uniformità degli standard assistenziali e l’ottimizzazione delle risorse.

A dare un contributo a questo assetto, in particolare per l’alta tecnologia diagnostica e per la riduzione della mobilità passiva ospedaliera, sarà chiamata anche la componente sanitaria privata accreditata, che dovrà garantire una idonea integrazione con il sistema pubblico, superando quelle forme di assistenza residuale che per anni l’hanno contraddistinto.

3.

L’impatto economico-finanziario dell’accorpamento delle aziende sanitarie e delle altre modifiche alla organizzazione del SSR presenta due differenti profili temporali, uno immediato e uno prospettico. Nell’immediato, si può stimare un risparmio conseguente al dimezzamento del management e degli organi di revisione valutabile delle Aziende sanitarie locali in circa 1,1 mln di Euro  annui e una presumibile riduzione delle  “altre spese amministrative”  che attualmente ammontano a circa 3 mln di Euro. In termini prospettici, i risparmi deriveranno dall’ottimizzazione delle funzioni con eliminazione delle duplicazioni e rafforzamento delle eccellenze,  dalla razionalizzazione delle strutture amministrative e di staff,  di complessa valutazione economica. Per una prima valutazione  si può ipotizzare un impatto sotto forma di abbattimento percentuale  sui costi dell’area delle funzioni centrali  che, da contabilità analitica, hanno un costo complessivo per tutte le aziende di circa 83 mln di euro, di cui circa 38 mln relativi al costo del personale amministrativo.

Non è solo il Servizio Sanitario Regionale che deve essere rivisitato ma va definita un’azione di sistema che restituisca influenza a stakeholder diversi dalla Regione, in primis gli enti locali.

I Comuni sono i garanti dell’insieme delle persone e delle relazioni sociali che appartengono ad un medesimo spazio geografico-territoriale, entro il quale vi sono attività, riflessioni, trasformazioni, affetti e scambi tra individui, gruppi, istituzioni. In tali ambiti le istituzioni locali sono in grado di riconoscere i bisogni, le domande e le aspettative dei cittadini e di mobilitare e impiegare le risorse economiche, strutturali e professionali necessarie per soddisfarli. Sono altresì nelle condizioni di  prendere coscienza degli elementi che hanno generato difficoltà e crisi al proprio interno e di avviare un confronto per individuare le strategie più idonee alla soluzione dei problemi che via via emergono.

Una piena interlocuzione con i Comuni e la possibilità che essi esercitino un ruolo di controllo istituzionale e sociale sono passaggi che vanno contemplati all’interno dell’ipotesi di riordino, integrando e anche superando quanto già previsto dalla legislazione regionale a proposito di concertazione con il partenariato istituzionale.

Accanto alla verifica della competenza di una comunità c’è anche la verifica della capacità di orientarsi, grazie a conoscenze puntuali nel campo della cronicità, dell’assistito o del paziente o meglio ancora del cittadino, membro e partecipe di una comunità, che chiede una corretta informazione per assumere decisioni informate riguardo alla scelte di prevenzione e di cura, non solo per sé ma per tutti.

Le farmacie di comunità possono svolgere un ruolo fondamentale nell’empowerment del cittadino con l’obiettivo di ridurre i costi del SSN attraverso corretti stili di vita.

In tal senso vanno coinvolte anche le scuole per una corretta formazione ed informazione dei giovani e le associazioni dei cittadini per la partecipazione competente e attiva della popolazione.

 

 

 

 

 

 

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