La lotta per la successione di Giulio Cesare, dopo il suo assassinio nel 44 a.C, non fu immediatamente cruenta. I due principali pretendenti, Marc’Antonio e Ottaviano, non furono in grado di imporsi l’uno sull’altro e convennero di autonominarsi, insieme a Lepido, Triumviri, con lo scopo di ricostituire il regime repubblicano. Con una feroce proscrizione eliminarono ogni possibile oppositore e si arricchirono con spoliazioni e ruberie. Dopo la missione vittoriosa in Grecia contro gli assassini di Cesare, Bruto e Cassio, Marc’Antonio rimase in Oriente mentre Ottaviano ritornò in Italia, distribuendo terre e città ai reduci, tollerando anche confische arbitrarie e possessi indebiti, senza però riuscire a soddisfare tutte le aspettative di migliaia di veterani e scontentando possidenti e popolazioni intere, soprattutto in Etruria.
Di questo scontento si fece interprete il fratello di Marc’Antonio, Lucio, che mosse nel 41 a.C. in armi contro Ottaviano, con il consenso del senato romano, facendo proseliti in tutta Italia e accrescendo il suo esercito di nuove legioni, fedeli al fratello. Nel tentativo di raggiungere la Gallia Cisalpina, per evitare l’accerchiamento da parte delle truppe nemiche, si rifugiò a Perugia e vi si fortificò. Ottaviano assediò la città con tre corpi d’armata, cingendola tutta di un vallo fortificato per chiudere ogni accesso ed impedire ogni aiuto esterno. Furono vanificati infatti i tentativi di alcune legioni comandate dai luogotenenti di Marc’Antonio di portare soccorso agli assediati, né valsero le loro numerose sortite, anche se, in una di esse, un manipolo di gladiatori fu sul punto di uccidere Ottaviano, mentre sacrificava agli dei. Le sortite si fecero sempre più numerose, perché la fame stava diventando pesante e intollerabile nella città assediata ed i soldati preferivano morire in battaglia che d’inedia. Ogni assalto, per quanto vigoroso per la disperazione e l’aiuto di catapulte, arieti, macchine uncinate, torri mobili si infranse contro la grande palizzata, ricca di millecinquecento torri e difesa da una moltitudine di soldati, che cingeva tutto il cerchio di mura perugino. Lucio offrì a quel punto la pace, chiedendo misericordia per i suoi soldati, ma non per i perugini. Dopo ammiccamenti, pentimenti, offerte, ambascerie, Ottaviano accettò che al momento dell’ingresso delle sue truppe a Perugia, uscisse disarmato l’esercito di Lucio, a condizione che riconoscesse il suo comando. La pacificazione tra i due eserciti, che parlavano la stessa lingua ed avevano origini e patrie comuni, fu facilitata dalla possibilità, per i vincitori sicuramente e forse anche per gli sconfitti, di spartirsi le ricche terre del perugino, se non la città. Anche una deputazione dei perugini chiese misericordia al vincitore, ma seppe solo che la città era irrevocabilmente destinata al saccheggio, che ogni cittadino ne poteva uscire liberamente, ma non i senatori, che in numero di almeno trecento furono scannati senza alcuna pietà nella fatale ricorrenza delle idi di marzo e alla presenza di Ottaviano. Subito dopo Perugia venne saccheggiata e incendiata e con essa vennero trucidati molti altri perugini, segnando la fine dell’antica e gloriosa città etrusca. Da allora essa fu romana, nella sudditanza, nei pochi diritti, nella pochezza del suo territorio, nella ristrettezza dei suoi poteri.
Fonte:
Luigi Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini al 1860, vol. I, Unione Arti Grafiche, Città di Castello, 1960
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