Gli Svizzeri sul New York Times

Edward Newton Perkins, cittadino statunitense, arrivò a Perugia, proveniente da Roma, la sera del 14 giugno 1859 e prese alloggio, insieme a sua moglie, alle signore Doane e Cleveland, alla signorina Cleveland e a due servitori all’Albergo di Francia, posto in fondo alla strada principale che conduceva dalla Porta San Pietro alla parte superiore della città, ai piedi della Rocca Paolina e vicino alla chiesa di S.Ercolano. Ignari delle misure restrittive imposte dal Governo Pontificio, rassicurati dal proprietario, Giuseppe Storti, sulla assoluta mancanza di pericolo, soprattutto in un albergo internazionale molto frequentato da stranieri, non seguirono il consiglio di  una loro amica inglese, Davide Ross, di lasciare subito l’albergo per essere ospiti nella sua residenza di Villa Monti.

Il pomeriggio del 20 giugno, mentre erano a cena, impressionati dai colpi del combattimento che era scoppiato tra perugini e Svizzeri, cercarono di fuggire, ma trovarono le porte del loro albergo sbarrate.

Quando gli Svizzeri giunsero all’altezza dell’Albergo di Francia furono accolti da un nutrito lancio di pietre, tegole e coppi e da fucilate sparate dal tetto dell’edificio, che uccisero un “comune” di nome Lincourne e ferirono il tenente Crufer.

Gli svizzeri forzarono a quel punto la porta, irruppero al primo piano, uccidendo il cameriere Luigi Genovesi e il sotto-stalliere Luigi Bindocci. Giuseppe Storti, visto ormai la situazione di grave pericolo, corse a rifugiarsi con la moglie, la madre e la famiglia Perkins al secondo piano, ma sulle scale fu colpito da una fucilata e finito a colpi di baionetta, proprio davanti alla stanza dove erano raccolti tutti gli altri. Nel frattempo la famiglia Perkins si era rifugiata in uno stanzino e quando irruppero poco dopo gli Svizzeri seguì una lotta accanita con il servitore, che proteggeva il rifugio dei suoi padroni, riuscendo però a farsi riconoscere come francese e a spiegare che lì dentro vi era una famiglia americana. Perkins, agitando il passaporto confermava la sua nazionalità, ma tutto sarebbe stato inutile se Conrad Wellauer, volteggiatore del 1° battaglione, non avesse convinto i propri commilitoni a salvare la vita di quegli stranieri, accontentandosi delle cose di valore che possedevano. I soldati si accanirono quindi sull’albergo, saccheggiandolo per circa un’ora e distruggendo tutto quello che non poterono portare via, compresi bagagli della famiglia Perkins, per poi continuare la razzia in altre parti della città. Dopo mezz’ora un’altra banda di Svizzeri  irruppe di nuovo e ancora Wellauer si adoperò per salvarli, rinchiudendo nello stanzino Perkins con le quattro donne, i due servitori, la moglie e la madre di Giuseppe Storti e vigilando sulla loro incolumità.

Gli Svizzeri si accanirono su quanto era rimasto senza scoprirli e solo dopo un’ora gli americani poterono uscire dal nascondiglio, ma passarono una notte di grande tensione senza dormire né mangiare, perché ancora una cinquantina di mercenari vagò per la città gozzovigliando e depredando. Alle sei del mattino Oberson, il cappellano del reggimento, passò dall’albergo per rassicurarli e farli trasferire nell’Albergo Gran Bretagna. Il giorno seguente gli americani partirono per Firenze, ma prima della partenza Perkins inviò un appello a John Stockton, Ministro residente degli Stati Uniti presso la Santa Sede, in cui lo informò delle vessazioni subite per mano dei soldati del Papa e l’elenco delle cose preziose e degli oggetti che erano stati rubati e distrutti.

Il 24 giugno Stockton si recò dal Cardinale Giacomo Antonelli, Segretario di stato,  per chiedere un indennizzo e l’immediata punizione dei colpevoli. Di fronte ai tentativi del prelato di sminuire, sdrammatizzare, giustificare e fondamentalmente di temporeggiare, il Ministro scrisse al suo Governo chiedendo “istruzioni sul modo di agire in caso di irragionevole indugio”.

Il cardinale Antonelli, fortemente preoccupato per le ripercussioni diplomatiche della vicenda, avviò subito una indagine tramite il Ministero delle Armi e quando ebbe conferma della veridicità dei fatti, tentò in tutti modi di incrinare la fermezza e la determinazione del Ministro americano, sia attraverso degli intermediari, sia restituendo i pochi oggetti di valore che era stato possibile recuperare.

Il 2 luglio il New York Times pubblicò una estesa narrazione dei fatti avvenuti il 20 giugno a Perugia, scritta dalla signora Cleveland  e il giorno 13 lo stesso giornale pubblicò un resoconto, ancora più dettagliato, scritto dallo stesso Perkins.

Il 26 luglio, per evitare che una tale pubblicità nuocesse ulteriormente alla credibilità del Governo Pontificio, Antonelli indirizzò a Stockton una nota in cui riassumeva i fatti, scusava le atrocità delle truppe all’Albergo di Francia, prometteva di punire i colpevoli, biasimava gli americani per l’imprudenza di essere rimasti in città ed allegava 3.265 scudi di indennizzo. L’incidente diplomatico di fatto veniva formalmente chiuso, anche con soddisfazione da parte del Segretario degli Affari Esteri di Washington, ma di fatto venivano riconosciute da parte del Governo pontificio le atrocità commesse a Perugia, ma anche l’ammissione che anche il potere assoluto del Papa era fortemente condizionato dall’allora nascente opinione pubblica, locale e internazionale.

Fonti:

  1. Nelson Gay, Uno screzio diplomatico fra il Governo Pontificio e il Governo americano e la condotta degli Svizzeri a Perugia il 20 giugno 1859, Archivio Storico del Risorgimento Umbro (1796-1870) Anno III Fascicoli II-III, Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1907, pp.113-159

 

  1. Nelson Gay, Uno screzio diplomatico fra il Governo Pontificio e il Governo americano e la condotta degli Svizzeri a Perugia il 20 giugno 1859, Archivio Storico del Risorgimento Umbro (1796-1870) Anno III Fascicolo IV, Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1907, pp.247-264

 

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