Presentazione presso la Facoltà di Medicina di Perugia 30 maggio 2012
La tesi che sottende questo contributo ampio e dettagliato è che l’Italia, di fronte a momenti cruciali, a nodi storici, a congiunture politiche, non sia stata in grado di produrre politiche sanitarie (oggetto di studio dichiarato dall’autore rispetto a quello più ampio delle politiche per la salute ) all’altezza delle sfide che aveva di fronte e alle opportunità che si aprivano, nonostante notevoli fermenti culturali, ampi dibattiti politici, forti sollecitazioni sociali e significativi contributi scientifici. Gli eventi che hanno scandito le diverse fasi delle politiche sanitarie italiane sono stati fondamentalmente dei ”non eventi” (pag.5-6), delle occasioni mancate, delle risposte inadeguate e insufficienti, dei compromessi di basso profilo. Tutto questo anche perché: “Il cambiamento nei grandi sistemi sanitari è spesso lento e generalmente in apparente, più simile allo scivolamento dei ghiacciai che all’irrompere delle valanghe, dando l’impressione agli osservatori di una loro inamovibilità o irreformabilità dall’interno.” (pag.9)
Vengono individuati otto punti di snodo fondamentali:
1 Nascita della Repubblica e Carta Costituente
Riproposizione nel 1947 dell’Ente Mutualità Fascista trasformato in Istituto Nazionale Assicurazione Malattie (INAM) e rigetto nel 1948 delle mozioni timidamente riformiste della commissione D’Aragona
Questo periodo (gli anni compresi tra il 1943 e il 1948) si concluse con scelte di politica sociale coerente con i principi corporativi ed i criteri assicurativi delle organizzazioni preesistenti, derivando anche in questo settore la continuità delle istituzioni dello stato fascista (pag.39)
Mantenimento della triplice divisione tra:
“carità legale” dei Comuni rivolta agli indigenti iscritti nel loro elenco dei poveri attraverso la condotta medica ed ostetrica;
l’intervento diretto dello Stato in ambiti limitati della sanità pubblica, cui si aggiunsero nei primi anni 60 alcune malattie qualificate di “rilievo sociale” , assistite in appositi centri , per lo più a sede ospedaliera
tutela assicurativa dei lavoratori attraverso gli enti mutualistici. (pag. 65)
La cosa più civile che esista al mondo (National Health Service NHS inglese) (pag.21)
Schema di riforma sanitaria della Commissione per la Consulta Veneta di Sanità del CLN alta Italia, presieduta da augusto Giovanardi (pag. 26)
Penicillina e streptomicina divennero disponibili in quantità significative in Italia a partire dal 1947. Idem DDT 1947-1951 (pag.26)
La penicillina “sorella buona” della bomba atomica (pag. 27-38)
Pace sociale vs Pace pubblica (pag. 43)
Augusto Giovanardi e la Rivista Igiene e sanità Pubblica: tre elementi costitutivi 1. L’Ufficio Comunale o Consorziale di Sanità ed Assistenza 2 Direzione regionale di Sanità e Assistenza 3 Ministero di Sanità e assistenza . Vedi anche l’assistenza domiciliare e le cure ospedaliere. (pag.57)
Distorsione distributiva a favore di settori industriali e di categorie professionali forti; squilibrio tra entrate contributive e spesa; inefficienza gestionale; clientelismo e patronage politico. (pag.66)
Nell’arco di trent’anni di mutue nel periodo repubblicano gli assicurati sono passati da circa 16 agli oltre 51 milioni di persone del 1974, anno del formale scioglimento delle mutue, quando coprivano il 92,7% degli italiani rispetto al 35,5% del 1943. (pag. 67-68) Selva mutualistica (pag.76)
(tubercolosi) Il paradosso di una assicurazione creata per servire da modello per tutte le altre e dotata di grandi risorse finanziarie (garantite dalle risorse INPS)che rimase tuttavia per tutta la sua durata limitata ai lavoratori dipendenti del settore privato, da cui erano esclusi i dipendenti pubblici dello Stato e degli enti locali…ed era esclusivamente finalizzata all’assistenza ospedaliera.
2 Nascita del Ministero della Sanità 1958
(Ministero della Sanità) La legge istitutiva venne approvata il 13 maggio 1958 ed entrò in vigore dopo quattro mesi, ma non fu l’occasione sperata di un riordino generale delle competenze dei vari Ministeri sui diversi settori dell’assistenza sanitaria ma si limitò ad attribuire al nuovo organismo nuovi e imprecisati compiti che aumentarono la conflittualità a livello centrale e periferico. Ad esempio entrò immediatamente in conflitto con la vigilanza amministrativa sulla gestione degli enti ospedalieri esercitata dal Ministero degli Interni attraverso i Prefetti, che di fatto controllavano anche la sanità pubblica e con i poteri di indirizzo politico e gestionale del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale su tutti gli enti mutualistici. (pag.75)
All’inizio degli anni 60 grandi inchieste giornalistiche contribuirono ad alimentare la crisi di legittimità del sistema mutualistico già minato dallo scarso credito dell’opinione pubblica. Libro bianco sulla riforma ospedaliera del Ministero della Sanità (pag.81) Alla crisi di legittimità si aggiunsero tre gravissime crisi finanziarie che richiesero altrettanto interventi straordinari dello Stato che non servirono comunque a risanare i bilanci dei principali enti (pag.82)
Nati da lasciti testamentari o donazioni, gli enti ospedalieri continuavano a godere di una ampia autonomia tecnica e giuridica, giustificata dal rispetto degli interessi originari indicati in tavole di fondazione vecchie di secoli, anche se la funzione pubblica loro riconosciuta li obbligava a sottoporre i bilanci alla vigilanza del Ministero degli Interni, tramite le Prefetture. (pag.92) Un piccolo mondo il più completo possibile (pag.111)
L’inadeguatezza delle forme di governo, le carenze strutturali e le insufficienti disponibilità finanziarie degli ospedali italiani vennero drammaticamente messe a nudo dagli sviluppi tecnologici e dalle innovazioni diagnostiche e terapeutiche che alla fine della guerra e per tutti gli anni 50 e 60 rivoluzionarono la pratica medica e l’organizzazione degli ospedali. (pag 93)
3 Riforma Ospedaliera Mariotti 1968
Il vero spartiacque è però rappresentato dalla riforma ospedaliera del 1968, originariamente concepita dal Ministro Mariotti, che ne fu il riluttante artefice, come uno stralcio anticipatore della riforma sanitaria. (pag.93)
Il Congresso (nazionale di Medicina Sociale 1956) propose quindi di elaborare un “Piano generale nazionale per l’assistenza ospedaliera” che avesse ad oggetto la distribuzione territoriale degli ospedali organizzati secondo un “sistema a catena orizzontale e verticale” La “catena” si proponeva di ottenere miglioramenti di produttività, qualità ed efficienza associando a ciascun ospedale “uno specifico raggio d’azione ed un proprio territorio, verticale e orizzontale” in cui la dimensione verticale definiva le relazioni fra ospedali a diverso grado di specializzazione mentre quella orizzontale assicurava la proiezione territoriale delle cure ospedaliere pre e post ricovero. (pag. 112). Vedi anche il sistema planetario elaborato in Germania nel 1937 da Distel.
I concetti emersi e le proposte elaborate nel corso degli anni 50 rimasero del tutto privi di conseguenze pratiche immediate. Il fervore di analisi e di proposte contrastava con l’inerzia istituzionale capace di produrre solo una “politica del rammendo” pag.114
Nel 1959 era stata fondata l’Associazione Nazionale aiuti e Assistenti Ospedalieri (ANAAO), il primo sindacato dei “secondari” ospedalieri, che si impose rapidamente come il principale interlocutore del governo. (pag.115)
L’anacronismo di uno stato giuridico, che imponeva la trasformazione dell’assistenza ospedaliera “dal plurisecolare carattere preminentemente caritativo in assistenza di diritto”. (pag.115)
Una esasperata autonomia funzionale ed un desiderio di autosufficienza tecnica da parte delle amministrazioni ospedaliere aggrava la dispersione di mezzi ed energie. (pag.116)
La sanità (con i primi governi di centrosinistra) costituiva l’oggetto ideale di applicazione degli strumenti della “cultura della programmazione” per orientare l’azione dello Stato verso la promozione dei consumi collettivi e il superamento degli squilibri territoriali, particolarmente evidenti in campo ospedaliero. (pag.121)
L’ospedale disegnato dalla riforma Mariotti “è di tutti ed è aperto a tutti” con riferimento alla universalità del diritto al ricovero, alla partecipazione al governo dei rappresentanti della sua comunità di riferimento ed alla sua gestione da parte degli operatori attraverso il Consiglio dei Sanitari. (pag. 125)
Malgrado i ripetuti richiami alla natura “aziendale” degli istituti ospedalieri, rimase invece ai margini della riforma la creazione di una nuova burocrazia ospedaliera con specifiche competenze gestionali, in analogia con quella emersa spontaneamente negli anni 20 negli ospedali americani quando una nuova classe manageriale aveva sostituito la tradizionale gestione di benefattori e maggiorenti. (pag. 125-126)
Il finanziamento degli ospedali attraverso la fiscalità generale rappresentava per il ministro Mariotti una condizione irrinunciabile in quanto costituiva il nesso fondamentale fra la riforma ospedaliera e riforma generale della sanità. (pag.127-128)
Le critiche più serrate si sono però appuntate sugli effetti economici della legge Mariotti, cui venne imputata l’esplosione della spesa sanitaria registrata tra il 1970 e il 1974, comunemente ritenuta causa principale della costituzione del debito pubblico italiano. (pag. 131)
La crescita accelerata della spesa ospedaliera iniziata nella seconda metà degli anni 60 può quindi essere interpretata come l’inevitabile conseguenza della ritardata modernizzazione del sistema ospedaliero italiano avvenuta in assenza di un piano adeguatamente finanziato. Gli interventi riformatori della seconda metà degli anni 60, inclusa la legge Mariotti, costituirono la prima fase di una modernizzazione organizzativa degli ospedali italiani, che conferirono alla spesa sanitaria un profilo simile a quello degli altri paesi europei (pag. 133)
4 Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale 1978
L’impreparazione dell’amministrazione dello Stato, le incertezze della comunità scientifica e la debolezza dell’industria farmaceutica avrebbero avuto le manifestazioni più appariscenti nelle inerzie, mostrate in occasione della tragedia del talidomide e delle scelte riguardo la vaccinazione antipoliomelitica tra la fine degli anni 50 ed i primi anni 60. (pag.143)
Per tutti gli anni 60 e per la prima metà degli ani 70 si fronteggiarono due linee di politica sanitaria che proponevano soluzioni antitetiche ai limiti ormai da tutti riconosciuti del sistema mutualistico. Una strategia che aveva nel CNEL (Consiglio Nazionale per l’Economia e il Lavoro) il suo rappresentante istituzionale più autorevole ed era sostenuto in modo compatto da tutti gli enti previdenziali e da quelli mutualistici in particolare, prevedeva un riordino amministrativo del sistema previdenziale che per la sanità riproponeva il tradizionale schema tripartito, che comprendeva il coordinamento funzionale degli enti esistenti, il mantenimento dell’autonomia degli enti ospedalieri ed un intervento diretto dello Stato per le sole attività di sanità pubblica. La seconda linea di politica sanitaria elaborata dai governi di centrosinistra attraverso i piani Giolitti e Pieraccini prevedeva invece l’intervento diretto dello stato nell’assistenza sanitaria attraverso l’istituzione di un Servizio sanitario nazionale aperto a tutti i cittadini, finanziato dalla fiscalità generale e gestito da regioni ed Enti locali attraverso la nuova articolazione delle competenze istituzionali che avrebbe dovuto essere realizzata con l’istituzione delle Regioni. (pag. 162)
Il Piano Giolitti…venne presentato nel giugno del 1964…e, per quanto mai approvato ufficialmente, costituisce il primo documento elaborato in sede governativa a prevedere esplicitamente l’istituzione di un Servizio sanitario nazionale precisandone obiettivi, disegno organizzativo e fabbisogno di spesa. (pag.165)
La parte sanitaria (del Piano Pieraccini)…approvato dal Parlamento con la legge 685 del 1967…riconfermava gli obiettivi del Piano Giolitti di istituire un “Servizio sanitario nazionale, articolato al livello comunale, provinciale e regionale…finanziato attraverso il contributo dei cittadini in proporzione alla rispettiva capacità contributiva. (pag.166-167)
La relazione Seppilli…prevedeva tuttavia tempi molto più rapidi di attuazione e quindi anche di estinzione degli enti mutualistici, oltre all’inserimento nelle USL degli ospedali locali o di zona…(pag.169-170)
L’inflessibilità delle posizioni espresse dalla FNOOMM di fronte alle diverse ipotesi di istituzione del SSN contrastava con le prese di posizione delle numerose organizzazioni sindacali di varie categorie mediche che si erano sviluppate nel corso degli anni 60 a tutela di interessi specifici di categoria, spesso in contrasto tra loro e con la stessa Federazione, con reciproche accuse di “frazionismo”(pag.176)
Alla maturazione della domanda di cambiamento aveva concorso anche un vasto e composito movimento per la riforma “culturale, sindacale, politica” della Sanità, vigorosamente sostenuto dalle organizzazioni sindacali, a cui facevano riferimento anche intellettuali, nuove categorie professionali in ascesa e parti del mondo medico. (pag.179)
L’indebitamento degli enti mutualistici nei confronti degli ospedali determinò una serie di interventi di rifinanziamento delle Mutue per oltre 3500 miliardi che nel 1974 fecero infine precipitare la crisi finale delle Mutue. Ma fu soprattutto l’attivismo politico ed istituzionale delle Regioni nell’esercizio delle loro nuove competenze in ambito sanitario acquisite con le riforme dei primi anni 70, a spostare decisamente l’equilibrio verso una profonda riforma del sistema. (pag.180)
In questo periodo (i lunghi anni 70) venne approvato il maggior numero di riforme della storia della Repubblica. Riforma dello Stato, con l’istituzione delle Regioni e riforma delle autonomie locali; Statuto dei lavoratori; riforma fiscale e legge sulla casa; divorzio, riforma del diritto di famiglia, riconoscimento dell’obiezione di coscienza;istituzione degli organi collegiali della scuola e delle circoscrizioni, referendum e voto ai diciottenni; istituzione dei consultori familiari, depenalizzazione dell’aborto e riconoscimento dell’interruzione volontaria di gravidanza “libera, gratuita e assistita”; legge sulle tossicodipendenze, superamento dei manicomi e infine istituzione del Servizio Sanitario Nazionale. (pag. 181-182)
Se la crisi finanziaria degli enti mutualistici ed ospedalieri agì da catalizzatore, l’istituzione delle Regioni ed il conseguente trasferimento delle funzioni statali in materia di “assistenza sanitaria ed ospedaliera” in attuazione dell’art.117 della Costituzione fu l’evento politico ed istituzionale che maggiormente contribuì a superare la situazione di stallo determinata dal “triangolo di ferro” composto dagli Enti mutualistici, dagli Enti ospedalieri e dai medici che avevano dominato l’organizzazione dell’assistenza sanitaria nei primi 30 anni di vita repubblicana. (pag.193)
Con l’avvio delle procedure di liquidazione delle mutue le Regioni costituirono le Strutture Amministrative Unificate di Base (SAUB) anticipatrici delle future USL, col compito di unificare gli elenchi degli assistibili iscritti alle varie mutue e dei loro medici convenzionati, gestire le nuove convenzioni con i medici di base e gli specialisti ambulatoriali, avviare l’utilizzo integrato degli ambulatori specialistici delle mutue con quelli ospedalieri (pag.194)
Il governo di “solidarietà nazionale” in carica tra il 1978 e il 1979 fornì infine l’elemento politico istituzionale mancante a che la “finestra di opportunità” per l’approvazione della legge di istituzione del Servizio sanitario nazionale potesse effettivamente aprirsi. (pag. 196)
Fu solo quindi con il secondo dei due governi di “solidarietà nazionale” il IV governo Andreotti…un governo monocolore DC con l’appoggio esterno di PSI, PSDI, PRI, PLI e PCI, che aveva come ministro della sanità una delle prime donne ministro, l’on Tina Anselmi, che la legge venne finalmente approvata …(pag. 197) ma in modo definitivo il 21 dicembre 1978…il dibattito parlamentare che condusse all’approvazione della legge si svolse in un clima di disinteresse generale, sia in aula che fuori. (pag.198)
L’istituzione del servizio sanitario nazionale trasformava in un diritto di cittadinanza uniforme per tutti gli italiani con oneri a carico della collettività nazionale quello che per i precedenti 50 anni era stato un beneficio riservato ai lavoratori occupati, con prestazioni differenziate per settore economico e per categoria professionale, condizionate al pagamento di corrispettivi economici diversi e proporzionati alle prestazioni, secondo il “principio commutativo” proprio dei sistemi assicurativi. (pag.199)
La scelta relativa alla natura giuridica delle USL si era classicamente posta nel dibattito preriforma fra ipotesi alternative di una USL come organismo della Regione, come strumento operativo dei Comuni per la realizzazione dei loro obiettivi di politica sociale , ovvero come un ulteriore soggetto istituzionale con personalità giuridica propria e con autonomia politico-amministrativa, retto da organi di governo eletti direttamente dalla popolazione. (pag. 202)
La gestione del complesso dei servizi riuniti sotto le USL fu affidata al Comitato di gestione, un organo politico rappresentativo di tutti i partiti presenti nei consigli del Comuni costitutivi delle USL, originariamente composto da una dozzina di tecnico-politici nominati dall’Assemblea generale, avendo cura che fosse garantita la presenza delle minoranze. (pag. 203)
Il disinteresse dell’opinione pubblica e la delusione delle grandi aspettative in esponenti dei movimenti che maggiormente avevano sostenuto la riforma li indusse ad esprimere giudizi molto severi sulla legge. (pag. 207)
L’approvazione della legge di riforma appare quindi principalmente come un atto di volontà politica determinata da fattori endogeni al sistemi politico-istituzionale dell’Italia in quel particolare momento, identificabili principalmente nei governi di solidarietà nazionale, con la partecipazione del PCI e nella forte spinta dal basso esercitata da movimenti di vario tipo, le cui domande avevano trovato una mediazione istituzionale nelle organizzazioni sindacali. (pag. 214)
5 Riforma Amato De Lorenzo 1992
L’impatto della crisi sul piano economico, politico e sociale diede inizio ad un lungo periodo di “restrizione” che, pur toccando tutti i settori dei sistemi di welfare maturi delle democrazie occidentali, si concentrò principalmente sulle loro componenti più dinamiche, la scuola e la sanità, provocando una profonda ristrutturazione degli stati sanitari di tutti i paesi. (pag. 217)
La sentenza della Corte Costituzionale n.245/1984 fornisce una autorevole ed efficace sintesi dell’eccezionalità della politica sanitaria condotta dal governo nella immediatezza della riforma, attraverso il monito rivolto a che “il Parlamento riconsideri organicamente l’ordinamento del servizio sanitario nazionale” rilevando che “non servono allo scopo le leggi finanziarie, né altri provvedimenti di carattere urgente o comunque contingente: là dove sono in gioco funzioni e diritti costituzionalmente previsti e garantiti è infatti indispensabile superare la prospettiva del puro contenimento della spesa pubblica, ed assicurare la certezza del diritto ed il buon andamento delle pubbliche amministrazioni, mediante discipline coerenti e destinate a durare nel tempo.” (pag.223)
Gli anni 80 furono quindi teatro di uno scontro politico istituzionale fra lo stato e le Regioni per il controllo della spesa sanitaria delle USL che contribuì a realizzare un “federalismo asimmetrico e distorto” che ostacolò anche l’attuazione della riforma a livello regionale, già penalizzata dalla mancanza di un Piano sanitario nazionale e dalle ambiguità della legge di riforma. (pag. 223)
Le politiche restrittive e di compartecipazione alla spesa non realizzarono invece gli eclatanti fenomeni di “defezione” al sistema privato che si sarebbero potute aspettare. Il ricorso al mercato privato delle prestazioni sanitarie si mantenne contenuto, concentrandosi verso i settori in cui il SSN era razionalmente assente, come l’odontoiatria. (pag 225)
La fiscalizzazione dei finanziamenti del SSN mantenne le profonde sperequazioni fra settori economici autonomi dando luogo a opachi fenomeni di ridistribuzione fra gruppi sociali. (pag. 226)
Il primo Piano sanitario nazionale venne approvato nel 1994, ben quindici anni dopo i termini previsti e dopo l’approvazione della “riforma delle riforma”Amato De Lorenzo.
Le imprecisioni, i silenzi, le ambiguità ed i rinvii della legge 833 ne avevano agevolato l’approvazione ma al momento della attuazione, soprattutto in assenza di un documento di indirizzo quale il PSN, lasciarono ampio spazio ad interpretazioni autonome e potenzialmente divergenti di elementi fondamentali per il profilo del nuovo sistema sanitario. Alla prova dell’attuazione di una normativa complessa che impegnava una burocrazia regionale di recente creazione con una intensa produzione normativa che avrebbe dovuto inventare nuove relazioni con il governo centrale e con gli enti locali, le Regioni non potevano rispondere che in modo differenziato, in ragione delle risorse e della capacità politica ed amministrativa di ciascuna. (pag. 228)
Numerosi critici hanno rilevato che in molti settori gli istituti della partecipazione che costituivano il principale portato delle leggi approvate durante la “stagione dei movimenti” finirono per essere occupati da un personale politico che rispondeva alle segreterie dei partiti che li avevano designati anziché rappresentare la popolazione destinataria dei servizi. (pag. 229)
Nella seconda metà degli anni 80 si è affermato a livello internazionale un vasto ed eterogeneo movimento di riforma della pubblica amministrazione che si proponeva di aumentare produttività ed efficienza dei servizi pubblici rendendoli più simili al comportamento delle imprese private e dei mercati competitivi, in cui queste tradizionalmente operano. (pag. 230)
Alla metà degli anni 80 mentre le Regioni impegnavano le loro deboli capacità amministrative nell’organizzazione dei nuovi servizi previsti dalla legge istitutiva del SSN adattandole alle politiche di bilancio dettate dal centro, i temi della “aziendalizzazione” delle USL e della “regionalizzazione” del sistema sanitario fecero irruzione nel dibattito scientifico e professionale e impegnarono l’agenda politica dei partiti politici, dello Stato e delle Regioni dei venti anni successivi. (pag. 232)
Il primo disegno di legge governativo di revisione della legge 833 fu ufficialmente presentato al Senato il 24 novembre 1984 dal ministro Degan, durante il primo governo Craxi. (pag. 236)
La legge delega che prevedeva “la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale” fu licenziata dal Consiglio dei Ministri nel giugno del 1992 e approvata dal Parlamento con voto di fiducia nell’ottobre dello stesso anno. La delega relativa al riordino della Sanità venne esercitata in appena due mesi e fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale con la data del 30 dicembre 1992 come decreto legislativo 30 dicembre1992 n.502 recante l’anodino titolo “Riordino della disciplina in materia sanitaria” che celava però un radicale mutamento nei principi, nella struttura e nel funzionamento del SSN. (pag. 246)
Gli obiettivi della riforma erano stati enunciati nel discorso per la fiducia la governo che includeva come Ministro della Sanità l’on. De Lorenzo, l’elemento di continuità con le politiche degli anni 80, in quanto già sottosegretario alla Sanità e poi Ministro nei precedenti governi Andreotti. (pag. 246)
La “riforma della riforma” si proponeva di concorrere in modo strutturale al contenimento della spesa pubblica per l’assistenza sanitaria con tre provvedimenti strutturali: rendere i livelli di assistenza una variabile dipendente dalle disponibilità economiche stabilite dalle leggi finanziarie annuali; ridurre la copertura assistenziale a carico del SSN attraverso la privatizzazione del finanziamento dell’assistenza sanitaria, ad esclusione dei livelli “minimi” delle prestazioni, genericamente indicate come quelle relative al ricovero ospedaliero e ai farmaci cosiddetti “salvavita”; trasferire alle Regioni la responsabilità di far fronte con risorse proprie agli eventuali disavanzi della spesa sanitaria rispetto alla somma loro assegnata in sede di riparto del Fondo sanitario interregionale, come era stato ridenominato il Fondo nazionale. (pag. 247)
Con l’aziendalizzazione delle USL la riforma Amato De Lorenzo accoglieva i principi del NPM (New Publica Management) e poneva fine al lungo dibattito sulla natura giuridica delle USL iniziato in epoca pre-riforma, trasformandole da “complesso” di servizi e “strutture operative dei Comuni” in aziende istituite dalla regione “dotate di personalità giuridica pubblica, di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica e tenuta ad operare secondo criteri di efficienza, economicità ed efficacia. (pag. 249)
La trasformazione delle USL in aziende ha segnato il passaggio da una istituzione che fondava (almeno teoricamente) la sua legittimità sulla rappresentanza e sulla partecipazione della comunità locali ad in impresa che trovava la sua giustificazione razionale nella funzione di agente efficiente nella fornitura locale di un bene pubblico qualificato come regionale. Il processo di aziendalizzazione della gestione è quindi profondamente intrecciato a quello di regionalizzazione del sistema e ha contribuito al ridimensionamento del ruolo dei Comuni, che avevano ricevuto dalla legge 833 il ruolo preminente nella gestione dell’assistenza sanitaria. (pag. 250)
Regionalizzazione ed aziendalizzazione hanno introdotto nell’arena delle politiche sanitarie la nuova figura del Direttore Generale, l’innovazione più attesa, discussa e contestata dal nuovo sistema. Tiitolare di tutti i poteri di gestione dell’azienda, avrebbe dovuto mettere fine all’occupazione della gestione da parte della politica ma era egli stesso di nomina politica su base fiduciaria, dietro il tenue velo di un Albo nazionale, poi abolito, che avrebbe dovuto dar conto della sua competenza professionale. (pag. 250)
La “privatizzazione” era l’elemento più innovativo e potenzialmente distruttivo dei principi fondamentali di sistema in quanto attribuiva alle Regioni la possibilità di disporre l’uscita volontaria di loro cittadini dal SSN verso “altri incaricati di servizio” identificati a titolo esemplificativo come “mutue professionali, aziendali, volontarie o assicurazioni private”, col compito di provvedere alla “erogazione, in tutto o in parte, dei livelli uniformi di assistenza”. (pag. 252)
La “riforma delle riforma” ha quindi sostanzialmente rielaborate idee ampiamente circolate nel decennio precedente spesso tradotte in norme sempre respinte dal Parlamento finché le eccezionali procedure per aggirare una crisi di regime non le aveva sottratte al normale dibattito politico (pag. 253)
6 Riforma Ciampi Garavaglia 1993
La riforma Amato De Lorenzo fu approvata in tempi brevissimi ma venne duramente contestata immediatamente dopo la sua approvazione dalle forze sociali, dai partiti e dallo stesso Parlamento che aveva votato la legge delega. (pag. 253)
A distanza di due mesi il ministro De Lorenzo era stato costretto alle dimissioni perché indagato dalla Magistratura; otto Regioni avevano presentato ricorso alla Corte Costituzionale lamentando lesioni delle loro competenze in ben dieci articoli del decreto, che pure faceva della regionalizzazione uno degli obiettivi fondamentali; sei partiti, fra cui due della maggioranza di governo, si erano fatti promotori di referendum abrogativi della legge, la CGIL raccoglieva firme su una proposta di legge di iniziativa popolare; in Parlamento erano state presentate richieste di modifica al decreto legislativo appena emanato utilizzando la stessa legge delega che lo aveva prodotto (pag. 254)
Il governo retto dall’ex governatore della Banca d’Italia Azeglio Ciampi, che aveva come ministro della Sanità l’on. Maria Pia Garavaglia, approvò un decreto correttivo (d.lgs. 7 dicembre 1993, n.517) che interveniva sui principali punti di frizione politica ed istituzionale. (pag. 254)
Veniva così reintegrato il principio di globalità dell’assistenza garantita attraverso risorse pubbliche dal SSN riconducendo a complementarità prestazioni e servizi che la prima formulazione configurava come alternativi a quelli forniti dal SSN. (pag. 254-255)
Il governo Ciampi in sei mesi approvò una riforma radicale del sistema di regolazione del farmaco che portò all’adozione di un nuovo Prontuario Terapeutico Nazionale dei farmaci a parziale o totale carico del SSN entrato in vigore il 1 gennaio 1994. (pag. 255)
La nuova politica farmaceutica condotta nella fase “emergenziale” del periodo 1994-1997 costituisce un modello di regolazione con pochi precedenti nella storia delle politiche sanitarie italiane per il dominio pressoché incontrastato di un ristretto gruppo di tecnici su un settore tradizionalmente riservato alla negoziazione politica fra ministri diversi e con numerosi gruppi di interesse per contemperare politiche industriali, di bilancio e politiche sanitarie. (pag. 257)
…un nuovo modello di SSN, trasformato quasi invisibilmente da un sistema gerarchico “comando e controllo” ad uno ad integrazione verticale incompleta su base contrattuale. Il primo passo fu compiuto dal decreto correttivo Ciampi Garavaglia che indicò le tre componenti fondamentali degli “appositi rapporti” nell’accreditamento istituzionale delle strutture sanitarie pubbliche e private secondo criteri strutturali, organizzativi e di funzionamento definiti dalle Regioni in base ad indirizzi nazionali: il pagamento a prestazione degli ospedali secondo tariffe specifiche per raggruppamento Omogeneo di Diagnosi (ROD), la denominazione con cui vennero ribattezzati in Italia i Diagnosis Related Goups (DRGs), già in uso negli Usa dal 1893 e l’adozione di sistemi di verifica e revisione della qualità (VRQ) per il miglioramento continuo della qualità delle attività svolte e delle prestazioni erogate. (pag. 262)
7 Riforma D’Alema-Bindi 1999
Cooperazione e collaborazione hanno invece ispirato la seconda ondata di riforme della seconda metà degli anni 90, che si è aperta in Europa ancora un volta con un modello proveniente dalla Gran Bretagna. (pag. 259)
A differenza degli altri paesi europei, le riforme italiane della prima metà degli ani 90 sono avvenute nel contesto di una forte restrizione della spesa sanitaria pubblica. (pag. 259)
Sul piano politico-istituzionale, i tratti distintivi del decennio sono stati la definitiva affermazione del ruolo delle Regioni come protagoniste delle politiche sanitarie nazionale e la crescente influenza dell’Europa sulle politiche pubbliche italiane. (pag. 260-261)
La riforma Bindi del 1999 ha fatto irruzione in un contesto di rimaneggiamento continuo delle relazioni tra Regioni ed aziende sanitarie e di crescente assertività del ruolo politico ed istituzionale delle Regioni rispetto ad un governo centrale incerto riguardo al disegno generale del nuovo SSN, con l’obiettivo dichiarato di sciogliere le ambiguità presenti in una normativa caotica che favoriva una deriva verso “la privatizzazione passiva” del SSN ricollegandosi direttamente ai principi della legge istitutiva del SSN del 1978. (pag. 270)
Obiettivo dichiarato della riforma Bindi era “cancellare le anomalie della controriforma del 92 e ripristinare una lineare continuità con i principi fondamentali della legge istitutiva del SSN. Gli strumenti scelti da un ministro “convinto che la sanità sia il settore della società più politico dei nostri tempi, anche se è tra i più misconosciuti e ignorati proprio dalla politica” furono il Piano Sanitario nazionale 1998-2000 ed una nuova legge di riforma del SSN.(pag. 271)
Il disegno di riforma perseguiva invece l’ambizioso proposito i realizzare i principi fondamentali del SSN enunciati dalla sua legge istitutiva rendendoli compatibili con i nuovi strumenti della regionalizzazione del sistema e della aziendalizzazione della sua gestione opportunamente rivisti anche per eliminare le anomalie e le ambiguità presenti nel d.lgs 502/92.(pag. 272)
L’approvazione del decreto legislativo 229/99 seguì la medesima procedura della riforma Amato de Lorenzo ma il percorso fu in questo caso molto più lungo e accidentato rispetto ai tempi brevissimi del d. lgs 502. (pag. 273)
La riforma venne infine pubblicata sulla gazzetta Ufficiale con la data del 18 giugno 1999 sotto l’anodina rubrica “norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell’art. 1 della legge 30 novembre 1998 n. 419 (pag. 274)
8 Riforma titolo V della Costituzione
Lo sviluppo del processo di regionalizzazione ha spostato l’arena delle politiche regionali a livello regionale ma il potere della borsa è rimasto saldamente a livello centrale, dove il Ministero dell’economia e delle Finanze malgrado l’asserita evoluzione verso il federalismo ha continuato a determinare annualmente il “fabbisogno” del SSN. (pag.283)
La subordinazione delle politiche sanitarie agli obiettivi di finanza pubblica ha fatto di contrappasso al loro progressivo trasferimento nelle competenze di Regioni che hanno visto aumentare formalmente i propri poteri di organizzazione nella perdurante assenza di autonomia finanziaria nei confronti di un governo centrale che ha mantenuto la responsabilità del finanziamento ex ante e si è riservato sempre più ampie discrezionalità di intervento ex post sui disavanzi. (pag. 284)
La successiva riforma del titolo V della Costituzione approvata nel 2001 ha consolidato le competenze regionali acquisite nel corso del decennio, bilanciandole con la costituzionalizzazione della competenza esclusiva statale della “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” da garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale e con il vincolo del rispetto dei principi fondamentali del SSN. (pag. 285)
L’eutanasia della riforma Bindi iniziata con la mancata emanazione dei provvedimenti attuativi durante l’ultimo governo di centro-sinistra fu portato a termine con il recepimento del Patto Tremonti fra Stato e Regioni sancito l’8 agosto 2001 da parte della legge 405/2001 (il cosiddetto federalismo sanitario) che, fra l’altro, consolidava il pluralismo dei modelli di organizzazione del SSR rimettendo alla competenza regionale la disciplina delle sperimentazioni gestionali e della costituzione delle aziende ospedaliere. (pag. 287-288).
L’approvazione della riforma del titolo V della Costituzione – che ha segnato la prima fase del lungo e tortuoso processo universalmente denominato col termine impreciso ma fortemente evocativo di “devoluzione”- costituisce l’ elemento di maggior salienza politico-istituzionale del nuovo secolo e lo spartiacque nelle sue politiche sanitarie (pag.294).
L’affermazione delle regioni come soggetti autonomi dell’arena politica nazionale, nella fase di scioglimento delle Mutue che precedette l’approvazione della legge istitutiva del SSN, subì un depotenziamento a favore dei Comuni, che emersero come il fulcro gestionale del nuovo assetto organizzativo. (pag. 294)
L’avvio del processo di regionalizzazione dell’assistenza sanitaria ha comunque innescato anche in Italia un intenso processo di region building competitivo, che tendeva a sottrarre spazio politico allo stato centrale e conferire identità e visibilità politica a ciascuna regione come era accaduto in Canada’ (pag. 295)
Vittime principali della prima fase di regionalizzazione sono stati i Comuni (pag. 295).
Riguardo alla Sanità la legge costituzionale (Legge costituzionale 24 ottobre 2001 n.3 di riforma del titolo V della Costituzione) ha riservato allo stato competenze esclusive sulla definizione dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza e nella determinazione dei principi fondamentali del SSN, mentre alle Regioni è stata riconosciuta una competenza concorrente sull’organizzazione e sul funzionamento delle attività in materia di “tutela della salute”, un ambito trasversale a numerosi settori, ben più ampio delle competenze originarie in materia di “assistenza sanitaria ed ospedaliera”.(pag.296) .
L’incerta attribuzione delle competenze e delle relative responsabilità di finanziamento ha comunque prodotto una forma originale di “federalismo cooperativo forzato”…in cui competenze, poteri, programmi e risorse di diversi livelli di governo si intrecciano sullo stesso oggetto perseguendo obiettivi non necessariamente concorrenti (pag. 296-297).
Le relazioni intergovernative sono infatti rimaste affidate al “Sistema delle Conferenze” che, istituito nel 1983 e riformato nel 1997, ha vanamente tentato di adeguarsi alle nuove funzioni richieste dall’evoluzione delle relazioni fra Stato e Regioni (pag. 297).
E’ evidente il contrasto fra il centralismo della pratica e la retorica federalista della politica (pag.300).
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