Libera e arbitraria rilettura di: G.Aguzzi, M.Del Vecchio, F.Lega, F.Longo, A.Prenestini, S.Tasselli, Gli scenari strategici per la sanità del futuro, Milano, EGEA, 2008 e di F.Longo, M.Del Vecchio, F.Lega, La sanità futura, Milano, EGEA, 2010
Il contesto nel quale il Servizio Sanitario Nazionale è chiamato ad operare ha perso definitivamente quelle caratteristiche di stabilità che sembravano caratterizzare fino a ieri il sistema sanitario, a seguito di una significativa evoluzione tecnologica e scientifica, alla ormai notevole complessità dei bisogni e delle loro forme di espressione, ad una cambiamento fondamentale nel rapporto tra le aziende sanitarie e l’ambiente esterno, in cui si intensificano elementi di discontinuità e fenomeni in continuo movimento su un orizzonte sempre più ampio.
Questi elementi possono essere così riassunti:
1.
Mutevole, ma ormai anche ridotta, disponibilità complessiva di risorse e, in particolare, mutata distribuzione del mix di entrate tra fonti fiscali, assicurative pubbliche o private e la spesa con pagamento diretto da parte dei cittadini.
In assenza di politiche correttive e di riequilibrio, è prevedibile un aumento esponenziale della spesa, dovuta principalmente agli effetti congiunti dell’invecchiamento della popolazione e alla bassa natalità. Essendo tale tendenza nettamente superiore ai tassi di crescita economica le fonti in grado di sostenere tale crescita sono o l’incremento delle fonti pubbliche attraverso un inasprimento del prelievo fiscale o l’incremento delle fonti private, aumentando l’out of pocket o la quota di investimento privato.
La tendenza che oggi si riscontra è quella di un decrescere della spesa SSN sul totale della spesa sanitaria, con un parallelo aumento dell’incidenza della spesa sostenuta direttamente dai cittadini. Il settore socio sanitario e quello socio assistenziale rimangono caratterizzati dalla prevalenza di modalità di cura informali destrutturate e pagate con modalità “out of pocket”. Rimangono ancora sullo sfondo, ma con un possibile sviluppo progressivo, forme assicurative integrative (individuale e collettive) per il finanziamento della quota di out of pocket.
Si assiste quindi ad un aumento della quota della spesa sostenuta direttamente dai cittadini, ma ricondotta all’interno dei confini tradizionali del SSN, attraverso lo sviluppo di un’area a pagamento all’interno delle aziende pubbliche e l’accelerazione di meccanismi di federalismo competitivo tra regioni con un forte aumento dei livelli di mobilità e con un forte dinamica competitiva tra aziende e aree geografiche. Si potrebbe anche verificare che i servizi socio sanitari e socio assistenziali, caratterizzati da un elevato livello di out of pocket, vengano inclusi nei confini del welfare sanitario per permettere al SSN di vendere anche prestazioni in regime di out of pocket. Non sono ipotizzabili al momento modifiche istituzionali a livello europeo, grazie a trattati o a orientamenti che agevolino possibili aumenti di spesa la per la sanità, quali un Patto europeo sul welfare, per generare un allineamento all’interno dei paesi dell’Unione Europea relativo alla quota di spesa sanitaria pubblica sul Pil né sono al momento proponibili fondi integrativi pubblici regionali a scopo.
Lo sbocco sembra pertanto quello di un SSN federale competitivo, dove il binomio autonomia responsabilità delle regioni assume una rilevanza assoluta nell’assetto federale, con una forte competizione per l’attrazione di pazienti e risorse per la cura, la ricerca e la didattica universitaria, con il fine di guadagnare quote aggiuntive di finanziamento per il sistema sanitario a livello regionale e con deboli meccanismi di perequazione e di sostegno alle regioni più deboli.
In alternativa si può prefigurare un SSN federale solidaristico dove le regioni godono di ampia autonomia nella fase di programmazione e gestione, con una forte responsabilizzazione sui risultati, mentre a livello nazionale vi è una forte tensione volta a diminuire i divari di performance tra i diversi sistemi regionali e vi è un aumento della rilevanza del fondo di perequazione per il sostegno alle regioni deboli. In questa ottica si potrebbe ipotizzare il finanziamento di livelli regionali superiori a quelli standard attraverso tributi e imposte di scopo locali aggiuntive e lo sviluppo dell’imprenditorialità pubblica regionale nell’area out of pocket, per ottenere risorse regionali aggiuntive.
2.
La tutela della salute è garantita ormai da ambiti di intervento con una accentuata eterogeneità e diversificazione, che comprendono prestazioni previste dai LEA, ma anche servizi pagati direttamente dai cittadini, passando per la prevenzione, le medicine alternative, l’area del wellness.
Si sta affermando una concezione del benessere individuale che travalica i confini della sanità con un indebolimento dei confini tradizionali tra sanità, wellness e sociale e una conseguente trasformazione delle connessioni tra settore sociale, socio sanitario e sociale.
Lo stesso invecchiamento della popolazione produce un aumento significativo della quota di popolazione anziana, pensionata e in buone condizioni di salute, che ha tempo e risorse da dedicare al mantenimento psicofisico .
L’ invecchiamento e la correlata crescente diffusione di patologie croniche richiede altresì una forte interdipendenza tra sanità e sociale.
Di fronte a questo scenario, anche se le istituzioni possono tendere a specializzarsi e focalizzarsi e le aziende sanitarie possono ulteriormente concentrasi sul core della prevenzione, diagnosi, terapia e riabilitazione, sarà sempre più difficile costruire chiari confini di competenze e responsabilizzazioni finanziarie tra sanità e sociale. Le istituzioni pubbliche dovranno sempre più cercare di individuare, organizzare e gestire le interdipendenze tra sociale e sanitario e, pur nella differenza dei sistemi sociali e sanitari e dei rispettivi finanziamenti, dovranno sviluppare forme rilevanti di integrazione, quali, ad esempio, una programmazione socio-sanitaria regionale e locale, punti unici di accesso ai servizi, allocazioni logistiche comuni.
La cosiddetta “industria della salute” vedrà pertanto un rilevante ampliamento dei suoi confini ed allora spetterà ai decisori pubblici di presidiare strategicamente tale settore, definendone indirizzi e sviluppi. Essa comprende un sistema complesso di aree fortemente interconnesse tra loro, che va ben al di là degli ospedali, delle aziende sanitarie, delle farmacie, dei professionisti. I sistemi sanitari non forniscono solamente assistenza in caso di malattia, ma sono parte di un sistema economico sociale complessivo, all’interno del quale contribuiscono ad attivare considerevoli effetti distributivi e ridistributivi.
In questo contesto appare necessario anche ridefinire o confermare la mission delle Asl, le quali, con sempre maggiore difficoltà, potranno garantire solo la produzione diretta delle prestazioni sanitarie, magari enfatizzando l’Evidence Based Medecine, l’appropriatezza delle cure e il governo clinico e migliorando l’efficienza produttiva, ma dovranno sempre più assumere una mission di governo dei consumi sanitari, ma nella loro interezza: pubblici, privati accreditati e out fo pocket e una sempre maggiore attenzione agli stili di vita della popolazione. Quindi non solo produzione ma anche committenza pubblica, con lo sviluppo di gestione per processi e Percorsi Diagnostico Terapeutici e Assistenziali trasversali nella rete dell’offerta. La mission potrebbe allargarsi ad un vero e proprio governo dei consumi sanitari nella loro interezza e alla governance di tutte quelle componenti che sono considerate determinanti della salute.
La sanità dovrà comprendere anche la long care term, integrarsi e non rimanere separata dall’ambito socio assistenziale, allargarsi e non distinguersi dall’area del wellness e welbeing, comprendere e governare le medicine alternative e tradizionali e non limitarsi alla medicina ufficiale.
3.
La rapida e profonda evoluzione dei profili di consumo sanitario, condizionata da una domanda di salute e di prestazioni che sarà sempre più eterogenea, perché legata ad un quadro epidemiologico che differenzierà significativamente le situazioni individuali, entro cicli di vita sempre più lunghi e articolati.
Si avranno livelli crescenti di segmentazione sociale sia dal punto di vista economico che culturale, in cui peseranno non poco le condizioni socio politiche degli immigrati, che rappresenteranno percentuali di popolazione a doppia cifra. La conseguenza sarà che la cultura e la domanda di salute, e quindi delle correlate prestazioni, saranno sempre più eterogenee e differenziate.
All’interno dei meccanismi di riproduzione sociale rimane il ruolo forte della famiglia, che, anche se indebolita, garantisce ancora standard elevati di assistenza, paradossalmente anche quando assume una dimensione mono-filiale. Ulteriori debolezze del modello di famiglia tradizionale sono inoltre compensate dall’acquisto autofinanziato da parte del singolo utente di un proprio care giver, quale ad esempio la badante. Peserà non poco quanto la società nel suo complesso riuscirà a generare forme di valorizzazione culturale, legislative ed economiche della ormai variegata geografia delle forme familiari che oggi si sta delineando.
Il cittadino che usufruisce dei servizi pubblici non appartiene sempre alla categoria dell’utente fragile, rappresentata essenzialmente dal malato cronico, dall’anziano parzialmente o completamente non autosufficiente, dal minore abbandonato, dall’immigrato con difficoltà di integrazione, dal disagiato psichico e sociale, il quale non riesce a trasformare da solo il proprio bisogno sanitario in domanda esplicita e necessita quindi della presenza di un servizio pubblico che lo assista in quanto a counseling e case manager. Può essere anche un utente adulto, culturalmente e socialmente avanzato, economicamente benestante, sostenitore del self empowerment nella gestione del proprio processo individuale di cura attraverso l’auto informazione, che non necessariamente è in grado di crearsi una rete di professionisti di fiducia ma, se si affida al SSN, lo fa cercando livelli alti di qualità ed appropriatezza. Pertanto sono destinate ad aumentare persone caratterizzate da elevati di cronicità e dall’altro cittadini competenti in quanto a capacità di usufruire delle prestazioni del SSN, ma anche di altri sistemi sanitari. Entrambe le tipologie assumono differenti aspettative e modalità di consumo, ma entrambe sono condizionate dall’evoluzione della società verso forme crescenti di individualismo e la tendenza alla ricerca di servizi personalizzati.
L’utente fragile, in particolare il malato cronico, sarà portato a ricercare le risposte alle proprie problematiche di salute nel proprio territorio di riferimento e ricercherà la prossimità: cure a domicilio, strutture intermedie, ospedali di comunità, in ambito fondamentalmente pubblico.
Nel caso di un utente competente, se in presenza di patologie semplici la risposta alle proprie problematiche le cercherà livello locale, con una opzione prevalente ma non esclusiva per l’erogatore pubblico e per professionisti di fiducia, ma a fronte di patologie importanti si muoverà sul mercato globale, nazionale ma anche internazionale e sarà anche disponibile ad acquistare prestazioni out of pocket, soprattutto se la tecnologia o il percorso evoluto di cura è selezionato sulla base delle più recenti innovazioni scientifiche. Inoltre non si limiterà alla domanda di servizi tradizionali, ma si orienterà anche a servizi di medicina non convenzionale e a servizi per il benessere psicofisico.
La mobilità dei pazienti pertanto si accentuerà, alla ricerca dell’eccellenza specialistica, di migliori condizioni logistico alberghiere, di fattori di prezzo e sarà favorita da percorsi di vita, quali la mobilità professionale o turistica o da fattori migratori.
Tale articolazione e polarizzazione dei profili di utenti richiederà modelli differenziati di risposta da parte dei sistemi sanitari. Nei confronti della popolazione fragile e cronica dovranno essere attivate modalità di screening, di diagnosi precoce e di presa in carico basate su modelli di medicina d’iniziativa, cioè lo sforzo proattivo di individuare i bisogni anche laddove questi siano incapaci di trasformarsi autonomamente in domanda esplicita di servizi. Nei confronti di persone cosiddette “evolute”, che fanno del proprio benessere individuale uno stile di vita, dovranno essere definiti dei pacchetti di offerta di servizi, acquisiti in regimi misti, anche con una componente out of pocket o assicurativa, puntando su fattori competitivi quali la riduzione dei tempi di attesa, la presenza di strutture di qualità apprezzate e conosciute dagli utenti e crescenti livelli di personalizzazione dei servizi.
4.
Il ruolo della sanità nell’ambito socio economico.
Se la sanità verrà vissuta prevalentemente come una spesa, le politiche per la sanità saranno per lo più politiche di ricerca dell’efficienza e di razionalizzazione/riqualificazione della spesa, con il rischio di andare oltre il pur necessario contenimento delle inefficienze e il doveroso contributo al risanamento della finanza pubblica, per intaccare i principi di fondo che il sistema di tutela della salute ha adottato come elementi fondanti: universalismo, equità, unicità.
I settori sanitario e sociosanitario possono invece essere visti come un potenziale volano dello sviluppo socio economico complessivo del paese, anche perché è di fatto uno sviluppo“virtuoso”, in quanto portatore di competenze tecnologiche, di alto capitale umano, di alta specializzazione e ricerca, di alto impegno professionale e radicato territorialmente e quindi non a rischio di delocalizzazioni.
Lo sviluppo dei paesi industrializzati ha avuto quale componente fondamentale la combinazione virtuosa dei progressi nel campo della medicina, dell’erogazione dei servizi e della promozione della cultura della salute. In Italia il settore sanitario occupa il settimo posto per numero di addetti e il terzo per valore della produzione.
Se il settore sanitario sarà identificato come un settore portante dello sviluppo nazionale e verranno incentivate politiche atte a potenziarne la crescita, le aziende sanitarie pubbliche possono accrescere la loro dotazione di risorse e fornire a loro volta stimoli concreti all’ambiente, ponendosi sia come facilitatori al sistema di imprese, sia nell’ottica di creare valore alla filiera, bilanciando l’erogazione dei servizi con il sostegno alle richieste dell’ambiente di riferimento.
L’attuale congiuntura economico finanziaria può costringere le politiche nazionali a non riconoscere alla sanità un ruolo centrale nelle scelte di sviluppo economico del paese. In questo caso si affaccia concretamente la necessità che le aziende sanitarie dovranno tutelare la salute dei cittadini in un contesto di minori risorse finanziarie, di minori risorse tecnologiche e, più in generale, di una diffusa sfiducia circa il ruolo della Sanità come uno dei settore chiave della vita socio-economica nazionale. Le Aziende sanitarie, all’interno di questo contesto, non potranno fare altro che concentrare e propri servizi sulle proprie competenze strette, con un declino nei livelli di coordinamento e integrazione delle aziende sanitarie, estraniandosi dalla partecipazione ai problemi di sviluppo socio economico del paese.
A correzione di questo percorso, nonostante l’assenza di una strategia di sviluppo per la sanità nazionale, le aziende sanitarie potrebbero comunque giocare la carta dell’integrazione con l’ambiente circostante, in ottica di governance in un contesto in cui l’obiettivo strategico delle aziende rimane anche il contributo allo sviluppo socio-economico locale. Si tratta di perseguire una logica di governance allargata, concertando e trovando soluzioni condivise sulle azioni e sugli sviluppi sia dei soggetti privati che di quelli pubblici che operano sul proprio territorio, coinvolgendo il massimo numero di staheholder possibili, soprattutto i cittadini con le loro scelte di rappresentanza, i pazienti con le loro associazioni, il terzo settore, gli enti locali, i professionisti aziendali.
5.
La profonda trasformazione del capitale umano e la conseguente riorganizzazione della piramide organizzativa
Alcuni fenomeni stanno ormai giungendo a maturazione, a partire dalla crescita del peso in termini sia numerici che di legittimazione delle professioni sanitarie, mentre si sta esaurendo la “pletora” medica del SSN. Cresce inoltre il tasso di femminilizzazione delle professioni in sanità e si afferma in modo sempre più netto la separazione tra il ruolo gestionale e il ruolo di “professional”, con soluzioni più flessibili di carattere organizzativo e a nuovi spazi alle professioni sanitarie.
I medici saranno sempre più focalizzati e specializzati sulla clinica, gli infermieri saranno dotati di molte competenze scientifiche, i tecnici saranno resi professionalmente più autonomi dallo sviluppo delle tecnologie e delle specifiche competenze correlate.
Inoltre si sta diffondendo il ciclo integrato di ricerca, didattica ed assistenza, con il coordinamento delle regioni e la collaborazione con l’Università, che intensificherà la pressione sulle risorse umane, sollecitando flussi di personale qualificato e una competizione per il capitale umano tra le aziende sanitarie, a meno che non si attui una diminuzione del differenziale retributivo, rendendo più appetibile praticare la professione nel proprio territorio.
A seconda dei condizionamenti legati alla carenza di professionisti, alla frequenza relativa delle donne, al livello di attrattività ed al livello di servizi offerti, si possono aprire nel breve termine forti contraddizioni legate al rapporto dei professionisti con il mondo dei medici o all’interno delle stesse professioni, per l’aristocrazia di alcuni gruppi in una stessa professione o per la compattezza professionale di altri.
A fronte di una decrescita progressiva della quota medica sul totale del personale sanitario, per evitare che questo conduca ad un rafforzamento delle linee gerarchiche tradizionali, con una concentrazione di medici quasi esclusivamente in attività di alto contenuto clinico e specialistico, andrebbe favorita una distribuzione e differenziazione dei rispettivi ruoli, con un maggior equilibrio tra i rispettivi poteri. In questo caso il personale sanitario laureato potrà dirigere alcune piattaforme logistico alberghiere, svolgendo funzioni di case manager e relazionandosi in maniera paritaria con i professionisti medici. La quota di personale sanitario non laureato (os/ota) si rapporterà gerarchicamente al personale sanitario non medico laureato. Altrimenti sarà inevitabile che i servizi di supporto vengano progressivamente esternalizzati, comprese le piattaforme assistenziali e compresi anche alcuni servizi sanitari, quali ad esempio radiologia, riabilitazione e lungodegenza. Parimenti l’azienda sanitaria sarà concentrata prevalentemente sul governo dei clinici.
6.
L’evoluzione delle reti ospedaliere, con un rimodellamento degli ospedalieri grazie all’evoluzione delle tecnologie e delle architetture logistiche, verso rilevanti trasformazioni organizzative, in particolare la connessione in reti locali e regionali dei singoli presidi e la rimodulazione interna per aree di intensità di cura.
La trasformazione dell’assistenza ospedaliera è fortemente condizionata dai tempi e dalle modalità con cui le tecnologie, che al momento sono considerate complesse, potranno diventare di “massa”, grazie alla loro distribuzione capillare sul territorio e alla loro accessibilità tramite la telemedicina. In questa prospettiva le infrastrutture saranno estremamente concentrate e gli ospedali diventeranno centri ad altissima specializzazione con una vocazione prevalentemente sulla chirurgia di eccellenza ma con la possibilità, grazie alla robotica e all’automazione, di operare anche a distanza. I progressi tecnologici modificheranno il concetto di spazi, sia perché si andrà verso una progressiva miniaturizzazione dei grandi macchinari sia perché saranno disponibili tecnologie a letto del paziente. I reparti di degenza e le sale operatorie saranno condivise da tutte le specialità e non vi sarà necessità di spazi per i magazzini perché tutta la logistica dei materiali sarà gestita secondo la logica del just in time. La stessa evoluzione dei trasporti permetterà che i pazienti, dopo aver ottenuto una diagnosi a distanza, potranno recarsi nel centro specializzato per la cura della propria malattia sia in ambito regionale che nazionale se non addirittura internazionale. La disponibilità di farmaci intelligenti e per l’automedicazione potranno ridurre il ricorso agli interventi di specialisti e, affiancati allo sviluppo tecnologico, permetteranno di instaurare il Chronic care model per la cura, anche a distanza, di tutte le patologie croniche e diminuire la richiesta di ospedalizzazione.
Condiziona ovviamente questo scenario la effettiva disponibilità delle risorse necessarie per mantenere un livello di investimenti adeguato ai cambiamenti della tecnologia e della domanda che apre anche la questione se sia opportuno che ci si possa avvalere del supporto di partnership pubblico-privato.
Sembra comunque credibile che si possa ipotizzare una evoluzione dello stato attuale, anche con carenza di risorse, verso una rete ospedaliera hub and spoke a” governance unificata”, in cui la logica è di sistema e pertanto tutta la programmazione viene decisa unitariamente e che si fonda sui seguenti livelli:
- Hub II livello rappresentato da centri in cui è trattata l’elezione ultra complessa e differibile, i trapianti, le malattie rare etc. con anche alcune monospecializzazioni, ad esempio hub cardiovascolare, ortopedico, oftalmologico.
- Hub di I livello identificato in ospedali di alta specializzazione, ma generalisti, con bacino di riferimento regionale e, per alcune specialità, anche nazionale.
- Ospedali DEA, generalisti, ma con specializzazione crescente su branche diffuse, collegati a distanza con i centri di I e II livello.
- Ospedali di prossimità quali punti di primo intervento, collegati a distanza con gli ospedali DEA, con il trattamento di una casistica generale di base.
Un sistema così concepito è su scala nazionale o almeno interregionale, con le regioni che, secondo un modello di cooperazione, pongono limiti alla mobilità ma concordati, nel senso che concordano come alcune si possano far carico della risposta assistenziale per alcuni tipi di specialità, alle quali altre regioni non possono attualmente rispondere o per le quali non avrebbe senso investire ulteriori risorse. Una tale accessibilità al sistema viene garantita perché strutturata attraverso veri e propri percorsi organizzativi.
Gli investimenti in infrastrutture e tecnologie vengono pertanto concordati su scala nazionale, in modo da creare dei “distretti ospedalieri specializzati”.
La governance interna degli ospedali può vedere lo sviluppo del modello per intensità di cure, decretando la fine del modello ad orientamento medico-centrico, con una riconfigurazione logistica dei presidi grazie alla rimodellazione dell’ospedale per aree di “Intensità assistenziale” e non più per materie e discipline medico scientifiche. Gli infermieri acquisiranno un reale status, oltre che competenze manageriali importanti, gli spazi saranno condivisi da più specialità e i medici si svilupperanno sul modello del “consultant”, con un ruolo legato alla differenziazione e alla solidità delle competenze, più che sulla proprietà delle risorse ospedaliere. L’ospedale a questo punto non sarà più un insieme di cliniche autonome, ciascuna con la propria dotazione tecnologica e con spazi costruiti su misura del primario, ma prevarrà una divisionalizzazione della struttura, in cui ogni divisione gestisce realmente il budget assegnato, ha responsabilità imprenditoriale e si coordina con la direzione aziendale tramite programmi/piani strategici. La Divisione è gestita dal medico manager, affiancato da altri professionisti, quali un chair, un nursing manager, un referente amministrativo, un operations manager.
7.
L’evoluzione dei modelli dei servizi territoriali e dei servizi socio-sanitari, fortemente condizionata dalla diffusione della cronicità che spinge nella professionalizzazione delle figure di case manager e case giver, influenzando significativamente i modelli organizzativi correlati
L’assistenza territoriale è fortemente sollecitata da innovazioni scientifiche relative a programmi di screening e altre modalità di prevenzione e cura, da rinnovamento tecnologico, dall’evoluzione professionale dei medici, delle altre professioni sanitarie ma anche dei care giver. Condiziona il tutto il livello di anziani sul totale della popolazione all’interno del territorio e la correlata diffusione di patologie croniche.
La risposta più credibile appare quella di garantire la presenza di strutture intermedie, con parallelamente una ampia diffusione di strutture diurne, tutte a direzione prevalentemente infermieristica e i MMG come “consultant” sul territorio. A questa soluzione va affiancata, per un effettivo bilanciamento, un altro processo, complementare al primo, che affida un ruolo importante alle cure domiciliari, prevede una ampia diffusione della specialistica territoriale ambulatoriale, lo sviluppo del ruolo del MMG, in particolar modo come case manager di patologie croniche complesse, anche in occasione delle dimissioni protette, che assume la funzione di “triage” per il passaggio verso strutture intermedie o Cure primarie di carattere domiciliare.
Il territorio potrebbe quindi essere “il territorio della presa in carico” dove il case manager può essere un infermiere specializzato, il care giver principale è un operatore sanitario non laureato (Os/Ota), gli specialisti territoriali assumono un ruolo di consultant, il sistema di cura tende a un decentramento progressivo della gestione dell’assistenza territoriale a figure non mediche.
Il focus dell’attività è l’assistenza socio sanitaria per patologie di media alta complessità. Nel caso di patologie croniche stabilizzate il care giver può essere prevalentemente informale, cioè badante, o il risultato del sostegno familiare o dell’autosostegno. Il questo caso il sistema di cure si caratterizza per elevati livelli di informalità nella gestione e nell’erogazione di servizi territoriali.
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