Il 1540 regalò a tutto il mondo la Compagnia di Gesù. A Perugia portò una terribile carestia per il maltempo e per le devastazioni delle truppe del Savelli e del Farnese e anche l’aumento del prezzo del sale di tre quattrini per libbra. Paolo III, assetato di ricchezze per accrescere il decoro e la magnificenza della sua corte, per amicarsi Carlo V e per far grandi e ricchi figli e nipoti, con la nuova tassa sul sale provocò la rivolta della città, già stremata dalla fame.
Duemila fanti senesi e poche milizie cittadine, mal equipaggiate e mal guidate, si arresero presto a ottomila italiani e ottocento tedeschi, comandati da Pier Luigi Farnese, figlio del papa.
Il 28 giugno 1540, venticinque giorni dopo la resa, venne posta la prima pietra della Fortezza sul colle Landone, avendo raso al suolo trecento case, ventisei torri, otto chiese e la Chiesa Cattedrale di Santa Maria dei Servi, il monastero delle Suore di San Francesco, la Sapienza Nuova, un tratto delle mura etrusche.
Al lavoro cinquecento guastatori al giorno, senza vitto e senza paga, tutti a carico dei cittadini; requisiti tutti i mattoni, tutta la calcina, tutte le bestie da soma; tassati tutti i possidenti per l’equivalenza di due opere; obbligati i non possidenti a portar la barella per il trasporto dei materiali.
Il progettista, Antonio da Sangallo, venne pagato 25 scudi al mese e l’un per cento sulla paga dei muratori; per poter seguire altre sue opere impose come soprastante il cugino Bastiano a 20 scudi. Nei primi tre anni, con rabbiosa celerità, vennero costruiti i bastioni e le fondamenta. Il lato sud venne rifatto due volte, franato sotto le speculazioni del commissario Gambaro e del vice tesoriere Pacotillo. Negli anni successivi e sotto altri papi, vennero poi tirati su e completati il Mastio, il Corridore e la Tenaglia, tetri e minacciosi, nonostante gli abbellimenti di Galeazzo Alessi con l’Appartamento del Castellano, la Loggia e la Cappella dei Santi Pietro e Paolo.
La Rocca stette lì per tre secoli “superbissima ed inutilissima mole”.
Il 13 dicembre 1848, in una giornata fredda e luminosa, sull’onda di un entusiasmo e di una tensione politica rinnovata, il popolo perugino pretese e ottenne la demolizione della Fortezza. Inutilmente venne bloccata due anni dopo dal ritorno di Pio IX e inutilmente il fanatismo di Costantino Forti, capitano del Genio Pontificio, ne tentò la ricostruzione nel 1860. Pochi mesi dopo l’arrivo dei Piemontesi ridiede forza e legittimità a tale desiderio, che venne realizzato in ben dieci anni, appesantito dalle polemiche, dai compromessi, dagli interessi economici, dalla speculazione edilizia.
Il suo abbattimento comunque, mattone su mattone, nel secolo delle rivolte e delle rivoluzioni, non riuscì a rivitalizzare il colle Landone e la città, decaduta, regredita socialmente, impoverita sul piano culturale e politico. Lo stato dei Piemontesi e di Cavour non riuscì, né poteva e neanche voleva, ricostruire l’antichissimo borgo, succedutosi e arricchitosi nel tempo a completare e definire quell’”Area magna civitatis” costituita dall’altopiano del Corso e della “Platea Magna Civitatis” con la Fontana Maggiore.
Il senso di vuoto per quella violenza, inconscio nei più, rimane ancora consapevole in chi riesce a leggersi intorno. Solo Carducci, ubriaco della retorica e della magniloquenza ottocentesca e non solo di quelle, riuscì a vedersi intorno solo montagne degradanti, senza avvertire le macerie che aveva sotto i piedi.
Fonte:
Luigi Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini al 1860, vol. II, Unione Arti Grafiche, Città di Castello, 1960
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