17 febbraio 2008 Il fumo e l’arrosto

Sembra che la prossima campagna elettorale verterà sulla diagnosi dello stato di salute dell’Italia, tra chi la ritiene in ginocchio, chi in piedi, o prona o supina, boccheggiante o in convalescenza e i contendenti dovranno illustrare terapie e panacee, toccasana ed esorcismi per convincere gli elettori della bontà di intendimenti e strumenti. Inoltre, la principale preoccupazione sembra essere l’utilizzo di un linguaggio civile, di toni moderati, della mancata demonizzazione dell’avversario, bon ton insomma, perché la posta in gioco è l’alternanza di due culture, di due atteggiamenti politici, di due modalità dello spirito, entrambi legittime, autorizzate e rese autorevoli dalla democrazia, entrambi ipso facto in grado di soddisfare, a modo loro, i bisogni, le domande, le aspettative degli italiani. La parola conflitto è tabù, tanto meno conflitto di interessi, così è tabù la parola alternativa, per non parlare del termine radicale (quello letterale), tanto è vero che una parte politica è stata ripudiata, perché adusa a quel linguaggio politico e pertanto connotata negativamente, pur essendo stata fedele e coerente alleata di governo.

Eppure il governo Prodi non è caduto su una ipotesi diagnostica rivelatasi sbagliata o sull’uso di un linguaggio improprio, ma su tre precise e concrete questioni.

La prima è stata l’eterna, costante questione della distribuzione della ricchezza, non in conseguenza della socializzazione dei mezzi di produzione o della collettivizzazione dell’economia italiana, ma di un progressivo, anche se significativo, aumento dei salari e delle pensioni ed un miglioramento, altrettanto significativo, dei servizi pubblici, in modo perfettamente compatibile con il sistema e alla luce di notevoli surplus economici e finanziari, per operare un sacrosanto risarcimento a chi, pur producendo questa ricchezza, la vede concentrata sempre e solo nelle mani di pochi e nello stesso tempo vede diminuito il potere d’acquisto del proprio salario o della propria pensione e vede sempre più negato l’accesso a servizi e prestazioni pubbliche. A riprova basta ricordare la querelle sulla esistenza e sulla consistenza del “tesoretto”, termine (a proposito di linguaggio) infantile, improprio (soprattutto in bocca a titolari di dicasteri economici), fuorviante, immaginifico, di cui ancora si continua a polemizzare in modo surreale, come fosse una questione di ectoplasmi o di proiezioni dell’inconscio.

La seconda questione è la corruzione, o meglio la lotta alla corruzione, rivelatasi ormai da decenni uno dei veri bubboni del nostro paese, a cui è adusa non solo la criminalità organizzata, che impone le sue regole e le sue leggi in quasi tutto il paese, ma anche una parte consistente del ceto politico, di quello amministrativo, dell’imprenditoria, dei decisori e dei gestori della cosa pubblica. Dovrebbe essere un impegno prioritario e collettivo, anche perché qui sta il vero nodo della sicurezza, che sembra tanto preoccupare italiani e italioti, dovrebbero essere dispiegate forze e risorse oltre ogni risparmio, dovrebbero essere sollecitate quotidianamente magistratura e forze dell’ordine a reprimere illeciti e stroncare connivenze, anche al loro interno, ma quando questo avviene, ed è avvenuto durante il governo Prodi, diventa non un elemento di forza ma di debolezza politica di una coalizione, diventa complotta e congiura nei confronti di ministri e forze politiche, occasione di ricatto prima e di vendetta poi, fino alle estreme conseguenze di tradire un mandato elettorale e mandare all’ortiche un programma sottoscritto.

La terza questione è la laicità dello stato, la separazione tra i compiti e i poteri della Repubblica e quelli delle chiese (non solo della Chiesa), il riconoscimento dei diritti di cittadinanza indipendentemente da ogni diversità, sia essa di genere, di censo, di età, di fedi, di appartenenze, la piena sovranità del parlamento italiano di legiferare in piena autonomia dalle autorità ecclesiastiche.

Sembrano cose ovvie, acquisite, irreversibili in un mondo moderno. Ma non è così e non è stato così durante il governo Prodi. Prima i Pacs poi i Dico poi il nulla, a privare una moltitudine di esseri umani ad una legittima (cioè riconosciuta dalla legge) convivenza, giuridicamente e socialmente accettata e accettabile, perché voluta e in pieno consenso. Il Parlamento e il Governo sono stati perennemente sollecitati a porre limiti e laccioli alla ricerca scientifica, sono stati costantemente sotto scacco per impedire forme inique e barbare di accanimento terapeutico e per porre la persona e i suoi voleri al centro di ogni scelta, sia di vita che di morte, e non i dogmi e le credenze religiose, sono stati sistematicamente sotto accusa per il mantenimento di una legge dello stato, sancita da più di un referendum, che riconosce la drammaticità dell’aborto, ma anche il pieno diritto della donna di essere soggetto di questo dramma, non vittima millenaria oscura e silenziosa.

Per arrivare alla Chiesa cattolica che ormai orfana di un proprio partito politico, si fa essa stessa forza politica, intervenendo, polemizzando, organizzando, manifestando, dichiarandosi parte in causa, non più universale, e schierandosi contro un’altra parte, che nel caso, era un governo eletto democraticamente.

Sarebbe bene che queste tre questioni fossero parte integrante dell’agone elettorale, su di esse ci si confrontasse e ci si dividesse, rendendo esplicito e chiaro il conflitto che esse provocano ma che esse invocano, per identificare con altrettante chiarezza le soluzioni e le mediazioni necessarie.

Sarebbe un bene per la politica, ma soprattutto per quella parte di italiani, che è la stragrande maggioranza, che vive del proprio lavoro e di quello e solo di quello vuole continuare a vivere.

Il resto è solo fumo.

17 febbraio 2008

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