15 dicembre 2007 La perdita dell’innocenza

Meta privilegiata di gite scolastiche, di week end romantici, di scampagnate domenicali, tappa di approssimativi itinerari culturali, oggetto di sguardi fuggevoli e superficiali, sempre mal vista e mal capita, soprattutto da pigri e sbadati turisti, messi a dura prova dalle sue tante scalinate e dall’allungarsi quasi smisurato dei suoi quartieri, la città di Perugia, un tempo “città dei baci” ed oggi tempio di Eurochocolate, palcoscenico di Umbria Jazz, realtà necessariamente cosmopolita per le sue università, il giorno di Halloween, in una sintonia macabra con la notte dei morti viventi, si è trasformata nell’immaginario collettivo in una specie di Sodoma e Gomorra, la città del peccato, epicentro del traffico di corpi e di sostanze proibite del centro Italia, terreno fertile per la violenza di genere e la promiscuità sessuale.

E’ come se si fosse scoperto a distanza di anni, dietro le fattezze gentili e leggiadre di Valeria Ciangottini nell’ultima scena della Dolce vita di Fellini, un intreccio perverso di seduzione e tradimento, un ingannevole ostentazione di innocenza, il mascheramento di desideri e di senti menti tutti negativi.

Su questo si basa il vero scoop mediatico del delitto di Meredith Kercker.

Se fosse avvenuto in una metropoli, in una città tentacolare, in una periferia urbana anonima e disadorna, non si sarebbero precipitate troupes televisive da tutto il mondo e inviati di ogni giornale. Avrebbero derubricato il delitto tra i tanti, possibili e “naturali” fatti di cronaca, efferati e feroci perché in sintonia con il disordine urbano, la disintegrazione sociale, il disagio collettivo e la solitudine individuale. Non sarebbe bastato il sesso, il sangue, la droga a fare notizia, perché tanto sesso si pratica dappertutto, tanto sangue è versato, tanta droga è consumata nella grande suburbia italiana.

A Perugia no, perché Perugia era considerata la città dell’innocenza, dei balocchi, delle blandizie, dei giochi e, proprio perché così era immaginata, ha fatto enorme scalpore l’uccisione di una ragazza, a tutt’oggi misteriosa per la mancanza chiara di un movente, per la difficoltà ad incastrare i suoi presunti assassini, per la impossibilità a ricostruire con chiarezza la scena e le modalità del delitto.

La vittima inglese, una ragazza americana, uno studente meridionale, due neri africani, sono stati shakerati in un coktail di banalità, di approssimazione, di luoghi comuni, essendo i mass media prigionieri di uno stereotipo urbano e sociale, lontano e diverso da quella realtà che abitanti, residenti, cittadini, ospiti, vivono quotidianamente.

Una città che si è espansa enormemente senza un disegno, una logica, un progetto, dilatandosi oltre le mura medievali con un magma indistinto di palazzi e palazzine, di case e condomini, povero di strade, di servizi, di infrastrutture ma anche di qualità urbana e architettonica, di veri e significativi scambi sociali.

Un centro storico da tempo non più centro della vita urbana, congelato nella sua bellezza, rarefatto socialmente e culturalmente, centro residenziale (in affitto) di migliaia di studenti universitari, luogo di eccellenza del consumismo giovanile, grazie ad una diffusa offerta di bar, caffetterie, pizzerie, paninoteche, fast food, unici luoghi di attrazione, di ritrovo, di animazione, soprattutto notturna.

Una realtà di luoghi e non luoghi, attraversata da diverse culture che non si confrontano e non si contaminano, dove la progettualità politica non va oltre la gestione dell’esistente e la mediazione tra i diversi egoismi e in cui i saperi non esprimono né rappresentano più il conflitto.

Una piccola metropoli attraversate da processi anche vertiginosi di crescita, ma non di sviluppo, né ordinato né coerente, né tantomeno governato, in cui l’edilizia sembra essere il solo volano economico, a soddisfare non il bisogno di case, ma ad alimentare una enorme bolla speculativa e la grande distribuzione commerciale l’unica dimensione possibile sul piano sociale e culturale.

Una massa critica di oltre centosessantamila residenti a cui vanno aggiunte le migliaia di frequentazioni giornaliere per usufruire dei servizi e delle funzioni di un capoluogo regionale e gli oltre quarantamila studenti dell’Università degli Studi e dell’Università per Stranieri, che non riesce o non può condividere un’idea di città, un’identità, un’ appartenenza.

Con queste letture, forse parziali, forse ingenerose, forse sbagliate, non si viene a capo di un delitto, che fa i conti con le pulsioni più profonde della psiche umana, ma forse si capisce l’apparente irrazionalità e la totale dissociazione che emerge dalle dichiarazioni e dai comportamenti di quei giovani imputati.

Solo chi vive una realtà anonima e anomica può dichiarare di essersi tappate le orecchie nel sentire un’amica urlare nel pieno della notte, di aver fatto una doccia in mezzo al sangue, di non ricordare come e con chi ha dormito. Solo costui o costei può fare shopping di cose futili poche ore dopo essere stati testimoni di un orrendo delitto o andare in discoteca o negare affetti e troncare legami immediatamente dopo averli ostentati di fronte a telecamere e fotografi o fuggire senza soldi, senza meta, senza speranze.

Non è ancora dimostrato che Amanda, Raffaele, Rudy, (Victor?), siano gli assassini di Meredith. Sembrano certe le loro bugie, le loro contraddizioni, le loro ambiguità. E’ inquietante un loro apparente distacco dalla sofferenza altrui, un chiamarsi fuori da ogni responsabilità compresa quella della solidarietà, una sfiducia totale nel ricorso agli strumenti della denuncia sociale e della sicurezza pubblica, la banalità delle loro giustificazioni.

Questa non è una storia di sesso e droga, come si vuol far credere o come ci piacerebbe credere, perché sarebbe in ballo solo la perversione o la malvagità di qualcuno. E’ una storia che sembra senza senso, come tutte le espressioni di una crisi e di un disagio profondo, ma il senso va cercato nella perdita della consapevolezza dell’esistenza di diritti individuali e collettivi, nella negazione di ogni dovere, nel dilagare di un vissuto di onnipotenza non contenuto da norme e valori, nel negare legittimità e possibilità al conflitto come possibilità di cambiamento ma anche di crescita. Statuti e patti sociali, valori e credenze, fedi e progetti sembrano essere precipitati nel buco nero di una vera e propria crisi di civiltà.

E tutto questo c’entra anche con Perugia. Ma quella vera, non quella immaginata.

15 dicembre 2007

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