Sono molto evidenti, in coloro che ancora si professano di sinistra, segni di smarrimento per non dire di disperazione. L’allarme è al massimo anche nel ceto politico, al punto di denunciare, come fa Fausto Bertinotti nell’ultimo editoriale di “Alternative per il socialismo del XXI secolo”, non il rischio di una sconfitta o di un ridimensionamento ma di un vero e proprio declino. L’elemento scatenante di questo sconcerto sembra essere la nascita del PD, ma in particolare lo scioglimento contestuale dei DS e i loro abbandono (se non il rifiuto) di ogni riferimento ideologico, politico e culturale alla storia e alla cultura della sinistra. C’è in questo smarrimento molta ingenuità politica e poca memoria storica, come se la svolta della Bolognina non prefigurasse questo esito e come se la pratica politica prima del PDS e poi dei DS non evidenziasse una deriva “centrista” ed una metamorfosi culturale moderata e interclassista, guidata da un ceto politico fortemente radicato negli assetti istituzionali e di potere della Repubblica. Ma è fuor di dubbio che il programma di una fuoriuscita dal capitalismo, auspicato e predicato (contraddittoriamente) anche dal Pci fino agli anni novanta, la difesa e l’allargamento dei diritti, a partire da quello al lavoro, al salario, alla pensione, alla tutela della vita e della salute (in fabbrica e nella società), all’istruzione, la tutela della laicità dello stato e delle istituzioni, il ripudio della guerra e la solidarietà internazionale appaiano ormai il patrimonio di una esigua minoranza del popolo italiano, che rischia, proprio per la sua esiguità, di praticare una politica minoritaria, marginale, simbolica, di pura e semplice testimonianza.
A fronte di questa situazione che è tragica per un paese come l’Italia, che aveva visto sopravvivere (almeno nelle apparenze) una sinistra di massa fino all’altro ieri, la fretta sembra essere l’imperativo categorico per evitare l’annullamento e con la massima fretta sono state organizzate riunioni e incontri, si sono aperti cantieri e laboratori, allestiti dibattiti e manifestazioni, per una riproposizione unitaria, attuale, credibile della sinistra italiana.
Ma la fretta è una cattiva consigliera e tutto questo non ha impedito differenziazioni, prese di distanza, contrapposizioni sulla legge Biagi, sul welfare, sulle pensioni, sulla politica delle alleanze, sulla riforma elettorale ed ha impedito invece una presa di posizione chiaramente percepibile da parte di quello che è rimasto della sinistra italiana su questioni di grande attualità, come il fallimento, in materia di costi e servizi ai cittadini, della politica di privatizzazione del capitale pubblico (vedi Telecom, Enel, Alitalia ), la degenerazione del sistema sanitario conseguenza della aziendalizzazione, della gestione monocratica, della mercificazione della sanità pubblica, la perdita di autorevolezza e credibilità della scuola pubblica, il mancato controllo dello stato di una buona parte del territorio nazionale (vedi scandalo dei rifiuti e tragedia degli incendi), la crescita incontrollata dei costi di beni e servizi primari a fronte di un controllo spietato di salari e pensioni.
Non è in causa solo la possibile miopia o inadeguatezza dei gruppi dirigenti del PRC, del PdCI, dei Verdi e di SD, ci sono difficoltà oggettive nel fare una analisi convincente della fase politica, del quadro economico, dei mutamenti culturali di massa, delle nuove e diverse soggettività individuali e collettive e nell’articolare articolare proposte praticabili, efficaci e condivise. Ma qualcosa può essere tentato, sostituendo però alla fretta il coraggio.
Innanzitutto il coraggio di rifiutare la politica concepita ormai come pratica del potere e non più come esercizio della rappresentanza sociale, avendo i partiti (tutti) relegato ai margini della propria ragion d’essere le proprie radici sociali, interessati solo ad occupare (e non sempre a dominare) i complessi processi della decisione e dell’offerta politica.
Il coraggio di uscire da una logica mercantile che vede solo la necessità di confezionare un prodotto politico, che sia appetibile da ex cittadini considerati ormai solo come elettori-consumatori e che per questo necessita di conquistare un mercato, di compiacere e di sedurre non certo di seminare dubbi, aprire conflitti, negare l’evidente, mettere in discussione l’esistente, convincere, solidarizzare, progettare.
Il coraggio di mettere alla porta il nuovo protagonismo politico, che si è sostituito alla vecchia radice dell’impegno civile, non per interpretare le nuove dinamiche sociali ma solo per fare un salto sociale, individuale e di ceto, nel campo del reddito e in quello delle relazioni, foriero a sua volta di profitti egoistici e che vede nel corpo degli eletti, a tutti i livelli, il solo luogo di appartenenza e di giustificazione e legittimazione del proprio impegno.
Il coraggio di mettere in discussione la logica presidenzialista, che alligna ormai dappertutto e che orienta atteggiamenti e comportamenti di tutti coloro che si sentono decisori, a partire dalle circoscrizioni fino ai governi regionali e nazionale, passando per i sindaci podestà, che come tali si sentono legittimati a cancellare ogni pratica di ascolto, a negare ogni forma di partecipazione, a delegittimare i corpi intermedi della società, a partire dai sindacati, a rompere i legami sociali, visti come vincoli e laccioli ad una concezione e ad una pratica monocratica ed assoluta.
Il coraggio di recuperare la dimensione della politica come servizio, riducendone i costi esorbitanti, eliminando sprechi, rinunciando ai privilegi, a partire dal rifiuto di legittimare la miriade di organi rappresentativi privi di effettive funzioni, la pletora degli enti inutili, l’esercito dei consulenti, gli strapagati vertici delle aziende pubbliche e partecipate.
Il coraggio di fare del lavoro e dei lavori il tema costituente e fondante e non per un continuismo ideologico o politico, ma perché la lettura e la comprensione di come e chi produce ricchezza, a quali condizioni di vita, di salario e di diritti, come viene distribuita, come viene utilizzata sia quella pubblica che privata, che tipo di sviluppo economico e di progresso sociale è possibile grazie ad essa, rimane il compito fondamentale di una sinistra, ancora tutta da inventare.
28 agosto 2007
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