Non è facile per un governo incassare nello spazio di pochi mesi due manifestazioni imponenti contro la sua politica e fare finta di niente, nonostante abbia tra le sue fila partiti che della piazza hanno fatto un legittimo strumento di pressione ma anche di partecipazione e di identità politica. Sono le destre ormai che agitano la piazza, che invitano a manifestare pacificamente e allegramente, che intercettano umori e passioni di massa, che le incanalano sui loro slogan e parole d’ordine. Ancora non sono in grado di dare nell’immediato un concreto sbocco politico, non hanno ridefinito un compiuto programma di governo, ma si preparano a raccogliere i frutti ponendosi intanto come gli unici interlocutori del disagio sociale, della crisi dei valori, dello sconcerto prodotto dalla sempre più accentuata divaricazione tra economia e società.
Nel frattempo acquisiscono in maniera che appare in questo momento certa e definitiva l’alleanza della chiesa cattolica, non solo del Papa, ma anche della Curia, non solo della Conferenza Episcopale ma anche delle parrocchie, vere protagoniste della mobilitazione del 12 maggio. Se si mette in conto la simpatia “naturale” di Confindustria, la solidarietà indiscussa e reciproca dei finanzieri d’assalto, dei “furbetti del quartierino”, di imprenditori forti solo per marchingegni societari e se si legge con attenzione il protagonismo indiscusso sul palco di San Giovanni di Sabino Pezzotta, solo da poco ex segretario generale della Cisl, si comincia a intravedere il tentativo di costruzione, oltre che di una facciata ideologica, di cui la protesta contro i Dico è solo un aspetto, anche di un blocco sociale, che faccia da base a nuovi arrembaggi elettorali e a future riedizioni governative di destra.
In questo quadro Dio è tornato simbolo dell’assoluto, in netta contrapposizione ad ogni relativismo, sia politico che sociale, sia culturale che religioso, al punto di negare ogni possibile verità a diverse forme di fede allo stesso Dio. La fede in Lui è concepita come la consegna di corpo e mente ad una trascendenza volutamente e intenzionalmente incomprensibile. Tutti i rituali religiosi, da momenti di comunione e di scambio di una comunità, di apertura ad altri, anche non credenti, tornano ad essere cerimonie di esaltazione mistica, ma anche di sottomissione ad una gerarchia di uomini e donne che garantiscono la sola e unica possibilità di mediazione e di interlocuzione con la divinità, fino ad assumere privilegi terreni e ultraterreni.
L’iconografia è tornata ad esaltare la distanza, la separatezza, la rigidità bizantina dei corpi che poi è anche quella delle menti, con l’intento di marcare le differenze, le diversità dei ruoli, l’inossidabilità di modelli e stili di vita, di fatto monacali ma proposti anche ai laici, come la castità, la mortificazione, l’astinenza.
Ma l’assoluto è anche primato, egemonia, privilegio non solo religioso ma anche e soprattutto politico e, di conseguenza, istituzionale e statuale. Per questo nelle destre si è capi e non leader, presidenti e non segretari politici, unti dal signore e non uomini politici, salvatori dell’Italia ma non del suo bene pubblico. La dimensione di questa azione missionaria, salvifica è infatti quella nazionale, i confini sono quelli sacri della patria (anche se si chiama Padania), non c’è nessuna propensione ad una visione cosmopolita, nessuna attenzione a popoli e culture diverse anche se vicinissime, se non l’interesse a penetrazioni commerciali, ad acquisizione a basso costo di materie prime, ad accordi possibilmente monolaterali, alla difesa della produzione nazionale indipendentemente dalla sua qualità e dai suoi costi. I nostri soldati (ormai professionisti) sono portatori di pace e non l’avamposto militare di conquiste di terre altrui e di rapine di risorse di altri, sono chiamati affettuosamente “i nostri ragazzi” (come i ragazzi di Salò), la divisione paracadutista Folgore è il miglior biglietto da visita di questa Patria (lo dice anche Bertinotti), che dovrebbe accomunare servi e padroni, sfruttati e sfruttatori, ricchi e poveri, imprenditori e operai, dirigenti e commessi, palazzinari e garzoni dei muratori.
Del resto le parole di commiato di Blair, nell’annunciare le sue dimissioni prima che venisse buttato fuori dal governo britannico in malo modo, erano strapieni di toni sciovinisti sulla Gran Bretagna, nazione a dir lui benedetta e superiore, ricca e potente così come Sarkosy ha riproposto l’idea della grandeur francese, di una Francia potenza mondiale, egemone in Europa come in Africa, cantando a squarciagola i versi della Marsigliese Q’un sang impur Abreuve nos sillons.
Ma è anche e soprattutto sulla famiglia che le destre stanno rieditando categorie concettuali e cementando nuove alleanze sociali e politiche. La questione sociale è ormai in primissimo piano in Italia come in Europa, fatta dall’insieme perverso di basso potere d’acquisto di salari e pensioni, di lavoro precario, insufficiente e pericoloso, di altissimi costi di beni e servizi, di emarginazione di interi gruppi sociali e di mancata inclusione di altrettanti, di una protezione sociale ormai clamorosamente insufficiente, di una tutela del benessere individuale e collettivo inadeguata e inappropriata. La famiglia viene a torto considerata l’unica difesa, la sola certezza, l’esclusiva priorità. Il torto sta nel considerarla unica, sola ed esclusiva, quando la risposta è molteplice, complessa, articolata e riguarda anche i contratti di lavoro, la riforma del welfare (non il suo smantellamento), le condizioni di vita e di lavoro, la ridistribuzione della ricchezza, il calmieramento dei costi sociali, l’universalità delle prestazioni oltre a misure specifiche di sostegno alla famiglia, dall’assegno di sollievo e di cura all’assistenza domiciliare, dalle case famiglia alla riqualificazione urbanistica delle città, dal tutoraggio sociale di bambini e anziani al pieno inserimento lavorativo delle donne. Lasciando comunque alla famiglia la sua grande dinamicità, la sua incredibile capacità di adattamento, la sua flessibilità di fronte ai cambiamenti culturali e ai mutamenti sociali, non ingessandola in corazze ideologiche, non facendone proiezioni dell’assoluto sulla terra, non sacralizzando rapporti che si basano sull’umano e non sul soprannaturale, non facendone terreno di scontro e di razzia tra cosiddetti religiosi e cosiddetti laici, tra guelfi e ghibellini di dantesca memoria. Su questo grande torto si è innescata la offensiva delle destre e su questo torto si è basata la difesa del governo, che su di esso si è diviso, si è annullato, si è autocensurato, si è eclissato.
Non è destinato a durare un governo che non si contrappone con determinazione alle parole d’ordine storiche della destra, che lascia loro l’iniziativa culturale e la mobilitazione politica, che si paralizza sul terreno legislativo ed operativo, che è estremamente riottoso ad imboccare il terreno del risarcimento sociale e della partecipazione collettiva. A meno che Dio, Patria, Famiglia non siano anche le sue parole d’ordine.
14 maggio 2007
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