9 febbraio 2007Senza mai nominare il calcio

Esiste una categoria di persone alla quale si riconosce non solo come legittimo ma anche come sacrosanto, inviolabile, inderogabile il diritto di assistere ad uno spettacolo e per tutelare tale diritto la collettività paga un prezzo elevatissimo per la realizzazione di impianti e strutture, per la loro manutenzione e il loro adeguamento, per garantire comfort e sicurezza, per effettuare controlli e monitoraggi. Il costo è valutabile in moneta corrente e in vite umane, al punto che il capo degli impresari che devono garantire lo spettacolo ha sostenuto pubblicamente che anche la vita umana è un costo previsto, che va pertanto messo in conto per permettere allo spettacolo di continuare, sempre e comunque.

La totalità degli impresari si limita ad usufruire degli impianti, che sono quasi tutti di proprietà pubblica, comunale o statale, pagando quasi sempre un costo di utilizzo del tutto inadeguato rispetto al valore del bene, facendosi carico al massimo di spese ordinarie di gestione e manutenzione e si dichiara indifferente alla loro messa a norma, anche se è a rischio la sicurezza e la vita degli spettatori, da cui dipende il benessere e la vita delle società impresarie.

Nelle poche occasioni in cui lo stato si assume le sue inderogabili responsabilità, imponendo standard e adeguamenti, finalizzati a dare continuità allo spettacolo ma nella certezza del diritto alla vita e alla salute di tutti, con la ovvia e conseguente continuità del profitto degli impresari, questi ultimi minacciano sempre l’interruzione dello spettacolo, con la piena adesione dei loro teatranti e del corollario di comparse, sceneggiatori, registi, costumisti, procuratori, evocando apocalittiche rappresentazioni, snaturamenti, svilimenti, oltraggi, umiliazioni, sconfitte.

Come se aggressioni di massa, cori razzisti, violenze gratuite, minacce, apologie di reato, devastazioni, vandalismi, guerriglie urbane, ferimenti e anche veri e propri omicidi non fossero il vero snaturamento e svilimento dello spettacolo, l’oltraggio all’intelligenza, l’umiliazione della fraternità e della solidarietà, la sconfitta della società.

Alcune migliaia di spettatori, moltiplicabili solo davanti al video, un ristrettissimo ceto di imprenditori e finanzieri, una aristocrazia di artisti superpagati, alcune infime minoranze violente e sovversive compongono un incredibile e contraddittorio concerto di persone e di interessi che tiene sotto scacco lo stato, il governo, l’intera società, grazie ad una impressionante visibilità mediatica, al monopolio dell’identità collettiva (sia essa municipale che nazionale), alla gestione dell’immagine e dell’immaginario, al sequestro e all’uso esclusivo della passionalità e del piacere di massa.

Come è stato possibile un tale concentrato di potere o di contropotere?

Come lo stato ha potuto permettere che nascesse un altro stato al suo interno, con le sue leggi, i suoi tribunali, le sue regole contabili e amministrative, i suoi ordinamenti e i suoi organismi?

Come è potuto avvenire che una massa enorme di ricchezza, reale e virtuale, potesse concentrarsi nelle mani di così poche persone e potesse essere così sfacciatamente gestita con la massima spregiudicatezza contabile, con la totale impunità fiscale, con la piena indifferenza alle regole del mercato, della borsa, delle authorities economiche e finanziarie?

Come mai si è creata una così gigantesca sacca sociale dove domina l’impunità più assoluta perché i controlli, i richiami al rispetto di leggi dello stato e all’osservanza di obblighi condivisi, le sanzioni amministrative, la persecuzione di reati, il sanzionamento delle pene sono occasionali, sporadici, mai certi o definitivi, legati non all’efficienza di un sistema ma alla volontà e alla disponibilità di pochi, il tutto coperto e reso incomprensibile da un chiacchiericcio infinito e inconcludente in mille sedi televisive e radiofoniche, su pagine e pagine di carta stampata, su siti web, blog e lettere e-mail.

Di chi è la responsabilità?

Gli unici responsabili non possono essere solo le prime fila, i più facinorosi e i più violenti che sono anche i più esposti e i più riconoscibili, ma anche coloro che li hanno fin qui finanziato, protetto, coccolato, assecondato, dando loro sedi, spazi, riconoscibilità, alibi ideologici, fornendo mezzi e strumenti e riconoscimenti per una identità violenta, aggressiva, distruttiva, volgare, lasciando che a fronteggiarli fossero solo altri come loro, di altra maglia e colore o i manganelli, i lacrimogeni, le camionette della polizia e dei carabinieri, in un gioco perverso e terribile di azioni e reazioni a catena, con scie di feriti, contusi, arresti e anche morti.

Bisogna cercare anche nelle tribune numerate e coperte, nelle file dei vip e dei benpensanti, degli autorevoli e degli onorevoli, dei commendatori e dei cavalieri, e di tutti i loro proseliti griffati, palestrati e sniffati, che intenzionalmente confondono la vita con lo spettacolo e che legittimano in tutte le sedi la grandiosità della vittoria e la disonorabilità della sconfitta, dove la vittoria è l’affermazione sugli altri, la prevaricazione, il successo ad ogni costo, il profitto personale, l’ostentazione di status symbol, i guadagni facili.

Bisogna cercarli tra le fila dei politici divenuti impresari, degli impresari divenuti amministratori, degli amministratori divenuti dirigenti, dei dirigenti divenuti presidenti, dei presidenti divenuti politici, dei politici divenuti impresari e così via, in un teatrino dove non esiste la divisione dei poteri, dove non ha spazio la partecipazione, dove il controllo dal basso è una bestemmia e il controllo dall’alto una barzelletta, dove non esiste una qualche parvenza di democrazia.

Bisogna cercarli in tutti coloro, anche padri e madri, parenti e amici, non solo spettatori, impresari, teatranti e comparse, che hanno distrutto lo spettacolo più bello del mondo, perché anziché gustarlo, goderlo, apprezzarlo per come rappresentava le tante possibilità della vita, compresa la sconfitta, ma anche la rivincita, il recupero, il riscatto, l’eleganza del gesto individuale e l’esaltazione dell’azione corale, l’ebbrezza per ogni atto destinato comunque a finire e a rimanere effimero, lo hanno trasformato in una semplice e banale occasione di guadagno e di successo, in un passaggio frenetico e incomprensibile di appartenenze sempre più mercenarie,  in una girandola di dichiarazioni e di denunce interessate, in una vivisezione spietata e ritardata di performance e di errori, in un eterno e angoscioso giudizio universale.

9 febbraio 2007

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