27 dicembre 2006 Fumate nere

Già l’elezione al soglio pontificio del cardinale Ratzinger era stato un segno inquietante. In un momento delicatissimo per la chiesa cattolica e per il mondo, fare papa un teologo conservatore, uno studioso dei dogmi, un difensore della fede, un critico del concilio, era sembrato una scelta tesa alla negazione di cambiamenti, al rinserrarsi nel dogmatismo, alla critica aperta al laicismo dello stato e della società.

Era venuto poi il segno altrettanto inquietante della condanna del relativismo, per rinnovare una fiducia in un assolutismo non certo limitato al sovrannaturale, ma al pensare e all’agire in questa terra, al fare organizzazioni e gestire istituzioni, all’essere capi e padroni, servi e subalterni.

Poi lo sciagurato discorso di Ratisbona, una apparente gaffe politica, ma in realtà la volontà di rimarcare tra le religioni differenze e gerarchie, primati ed egemonie, scomuniche e vilipendi, senza tenere in nessun conto della minaccia alla pace e alla coesistenza tra gli uomini rappresentata dagli integralismi religiosi, nessuno escluso. Di uno di essi, quello cattolico, papa Ratzinger sembra voler essere capo e profeta, al punto di azzerare lo scisma con i lefebveriani francesi e ipotizzare di nuovo la messa tridentina, rovesciando il rapporto con il popolo, la cerimonia religiosa solo una testimonianza di fede nell’assoluto, non una comunione di intenti tra uomini e donne, solidali e in pace secondo i dettami cristiani.

A seguire la negazione di legittimità a rapporti tra esseri umani se non sanciti dalla religione o da un qualsivoglia cerimoniale, come se l’amore, la fiducia, il rispetto, la solidarietà non siano il frutto della libertà ma della norma, di un atto burocratico, di una trascrizione notarile e pertanto l’impossibilità della libertà di farsi diritto, legge, pratica civile.

E una continua, sistematica, costante omofobia e misoginia, propagandata in mille forme, spesso subdole, subliminali e nell’ostentazione pubblica di simboli e di modelli, in cui il sesso legittimo è solo eterosessuale e la donna è sempre, obbligatoriamente, angelicata ma sempre subalterna.

E infine, per ultimo ma non ultimo segnale, la sciagurata e spietata decisione del vicariato di Roma di negare il funerale religioso a Piergiorgio Welby, trattato come un reprobo, un reietto, uno scomunicato. Eppure basta la sola sofferenza a sollecitare il perdono, la pietà, la sospensione del giudizio. Non basta a papa Ratzinger essere un “povero Cristo” per essere accolto e accettato nella chiesa cattolica, bisogna rispettare fino in fondo, a costo di altre sofferenze, le norme, le regole, le forme concepite in nome di un assoluto che, perdendo clemenza e misericordia, diventa insopportabile e inconcepibile per chi soffre ed è in pena.

Appare nuova tanta arroganza e tanta spietatezza perché eravamo abituati, dopo il concilio di papa Giovanni, ad altri toni, ad altre parole, ad altri gesti.

La chiesa cattolica vuole tornare a tempi lontani. Sembrano ispirarla non i suoi preti migliori, le infinite pratiche caritatevoli, la condivisione di tante sofferenze, l’ascolto e l’attenzione per altre fedi, il rispetto per i non credenti, ma due suoi santi recenti, il papa re Mastai e il franchista Escrivà de Balaguer.

Sul loro esempio la chiesa sarà sempre più distante e lontana e una chiesa distante e lontana dal mondo non è, è persa per sé e per il mondo.

27 dicembre 2006

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