20 novembre 2006 Sono ragazzi

Generalmente faccio zapping televisivo. Al di là dei Tg1 e Tg3 pomeridiani e serali, di trasmissioni che sono per me appuntamenti quasi fissi (Lucarelli, La squadra, L’ispettore Barnaby, Augias, Poirot, Baricco, Passe Partout, Che tempo che fa e poco altro) di film francesi e italiani e delle partite della nazionale di calcio, mi affido al telecomando per scorrere veloce sui palinsesti rai, mediaset, La sette e Sky nella speranza (spesso vana) di  imbattermi in scoperte o piacevoli sorprese. Questo significa che ho della maggioranza delle trasmissioni televisive una percezione fuggevole, minima, occasionale. Riesco però a percepire fanciulle in momenti di piena disperazione esistenziale e in competitività esasperata con altri esseri umani in isole lontane ed esotiche, ammiccamenti sessuali ed ostentazioni di poppe e cosce nude in trasmissioni sportive virtuali e approssimative, presenze femminili statuarie e prorompenti quanto inutili e incomprensibili, insulti, provocazioni e minacce agite da e tra personaggi di genere diverso, aspetti intimi e riservati della vita di coppia ostentati e reclamizzati di fronte alle telecamere, momenti di vita quotidiana promiscua coatta e segregata in finti appartamenti, comprensivi di eruttazioni, flatulenze, borborigmi e quant’altro.

In tutte le trasmissioni sempre e comunque un corpo (prevalentemente femminile) esaltato ed esaltante, un florilegio di muscoli e ghiandole, sguardi fissi e conturbanti, movenze agili e languide, bocche che si aprono a sorrisi splendenti e a poche dissertazioni o a canti in play back, in perenne ostentazione come su eterne passerelle di pret a porter. Non sempre e dappertutto ovviamente, essendo la televisione anche rappresentazione di manichini vestiti di tutto punto, seri e compassati, (prevalentemente maschili) impegnati in eterne diatribe, in complesse elucubrazioni, in analisi disarticolate, in dichiarazioni di sola appartenenza ideologica e sociale, in finti confronti e scontri politici.

Ripeto che tutto questo è viziato dalla fuggevolezza dell’attimo, dall’uso compulsivo del telecomando, da una visione momentanea, dall’occasionalità dello sguardo. Però è esaustiva di quasi tutti i palinsesti ed è sistematica perché è quotidiana.

C’è chi però non si limita a fare zapping, ma si espone in maniera totale al messaggio televisivo e si sofferma durevolmente su reality show, serial, sit-com, soap opera, talk show, telenovelas, fiction dove un numero imprecisato di veline, vallette, soubrette, cubiste, ballerine, show girls, anchor woman legittimano una rappresentazione banale e semplificata della donna e del suo corpo e del reciproco maschile, esaltano il rapporto tra i sessi prevalentemente come basato sulla contemplazione reciproca e sulla fisicità dell’incontro/scontro, dove l’affettività, la simpatia, la comunanza, la sensibilità, l’attenzione all’altro, la fiducia reciproca, il rispetto non sono né contemplate né tantomeno prese in considerazione come elementi imprescindibili, anche e soprattutto di una sessualità piena.

Se lo spettatore o la spettatrice è giovane è giocoforza che a una tale esposizione mediatica corrisponda l’affermarsi e il legittimarsi di un modello culturale che riflette in pieno la rappresentazione televisiva, che, per quanto virtuale, viene tout court sistematicamente trasferita nel reale.

Può capitare però di scoprire che il proprio corpo e quello altrui è tutt’altro che rigido, ma è disarticolato in movenze e reazioni ed è enormemente sensibile, che le zone erogene sono diversificate e variegate, che è un continente da esplorare e da capire e non da conquistare e dominare, che un’alcova non è una palestra o una pista da ballo, che senza fiducia reciproca non si ha orgasmo (al massimo eiaculazione piacevole), che l’essere consenzienti legittima in amore qualsiasi cosa e la violenza niente, che il volersi bene potenzia il piacere sessuale e la voglia di vivere.

Può essere un terremoto che destabilizza e confonde, rivelare inadeguatezze e incapacità, richiedere risorse per capire ed elaborare che spesso non si possiedono, perché non le possiedono neanche i genitori, né tantomeno gli insegnanti o gli altri adulti (che sono gli stessi che confezionano la televisione “spazzatura” e che infarciscono i mass media di violenza e sopraffazione).

Se a prevalere è la paura, l’ansia per le difficoltà di sopravvivere in questa complessità e di inserirsi in un mondo che spaventa, perché non riconoscersi in pieno nelle semplificazioni e nell’essenzialità della televisione, perché non vivere la realtà secondo quegli schemi così chiari e comprensibili e, per avere una piena conferma, perché non riprodurre in video i propri comportamenti attraverso telecamere digitali o telefonini, per essere simili in tutto e per tutto a quei modelli e ricondurre a un tutt’uno realtà vissuta e realtà virtuale?

Perché allora, per essere protagonisti di qualcosa che meriti di essere ripreso e divulgato, non prendere a calci e sputi un compagno di scuola disabile, minacciare un professore, taglieggiare conoscenti, aggredire un extracomunitario, stuprare una coetanea vicina di casa?

Se la donna è un oggetto, se i diversi sono inferiori, se l’amicizia è un sodalizio criminale, se la forza è l’unica ragione, se l’accumulare denaro rapidamente e facilmente per consumarlo in maniera altrettanto rapida e facile è l’unica meta possibile, perché non fare di tutto questo uno stile di vita, una forma di convivenza, un lavoro, un vedersi gratificati, un sapersi forti e invincibili?

Aumenteranno audience, share, indici di ascolto, pubblicità, risonanza, credibilità sociale sia nella realtà individuale e collettiva che nel mondo virtuale, in un tutto indistinto, che si influenza, si alimenta, si potenzia e si legittima, in una forma di alienazione perpetua.

20 novembre 2006

 

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