“Uno spettro si aggira per l’Europa – lo spettro del comunismo”.
Così comincia il Manifesto del Partito comunista di Karl Marx e Friedrich Engels, con il quale si manifesta la necessità che “i comunisti espongono apertamente a tutto il mondo il loro modo di vedere, i loro scopi, le loro tendenze, e che alla fiaba dello spettro del comunismo contrappongano un manifesto del partito”.
Dal 1848 ogni uomo e donna di quel secolo, ma soprattutto del secolo successivo e di ogni parte del mondo, hanno fatto i conti direttamente o indirettamente, nel bene e nel male, con i comunisti e le comuniste, con le idee comuniste, le organizzazioni comuniste, i giornali e la propaganda comunista e poi con le agitazioni e le lotte sociali promosse dai comunisti, le loro battaglie elettorali e l’impegno istituzionale a tutti i livelli, fino alle rivoluzioni (e alle tentate rivoluzioni) in vari paesi del mondo fatte dai comunisti e per il comunismo, divenuto da spettro e manifesto di partito ottocentesco anche economia e finanza, apparato politico e istituzionale, polizia ed esercito, stato e potere.
Infatti è impressionante constatare, anche con una lettura superficiale e non necessariamente erudita della letteratura o della storiografia, degli studi sociologici o dell’indagine antropologica, del cinema o dell’architettura, delle vicende belliche o sociali, delle dissertazioni filosofiche o religiose, dei processi di modernizzazione istituzionali o economici, la presenza costante, almeno in tutto il novecento, dei comunisti e delle comuniste e del loro pensiero e della loro azione.
Una presenza enfatizzata non solo da loro stessi o dai loro simpatizzanti o adepti ma soprattutto dai loro nemici, non tanto da chi ne era critico e distante, ma da chi era preda di un anticomunismo viscerale, profondo, ossessivo, da attribuire ad ogni loro azione individuale o collettiva che fosse, il valore dichiaratamente anticomunista.
Il nazismo troverebbe in questa logica una sua giustificazione perché concepito e affermatosi come alternativa al comunismo dell’Unione Sovietica, ma sono stati vissuti, interpretati e legittimati in chiave anticomunista colpi di stato, ecatombi di massa e stragi di stato, censure, cacce alle streghe, epurazioni, arresti, licenziamenti, persecuzioni, sospensioni di stati di diritto e di convivenze democratiche.
Si direbbe pertanto che non c’è stato aspetto della vita sociale, economica, culturale, politica, istituzionale di ogni paese del mondo che non abbia subito l’influenza, o anche la sola contaminazione del pensiero e dell’azione comunista, al punto di accettarla o respingerla, facendoci comunque i conti.
Tutto questo fino all’altro ieri.
Perché è altrettanto impressionante constatare che nello spazio di neanche due decenni una tale presenza si è quasi totalmente azzerata.
A pochi anni dall’inizio del nuovo millennio una militanza appassionata e diffusa, organizzazioni che erano di massa, strumenti di propaganda efficaci e capillari, istituti di studio, ricerca e formazione, linguaggi e codici, sistemi di valori, stati e regimi, un sistema internazionale di alleanza e solidarietà, non solo sono entrati in crisi ma si sono dissolti, hanno mutato nome e mission, hanno rigettato miti e padri fondatori, negato identità e appartenenze, cancellando la parola comunismo da targhe ed etichette, tessere e carte intestate, organismi e istituzioni, progetti e programmi, idee e speranze.
E’ scattata una incredibile operazione di rimozione collettiva e planetaria, una negazione a tutto tondo di una storia comune con i relativi travisamenti, revisionismi, abiure e sconfessioni.
Sono rimaste infime minoranze, partiti ridotti ai minimi termini, consensi elettorali contenuti, aree di consenso minoritarie, rappresentanze inadeguate, in una diaspora continua e inarrestabile, e anche pochi paesi e regimi isolati, difformi uno dall’altro, fieri e rabbiosi ma sofferenti e malandati, con uno solo, gigante dell’economia e dello sviluppo, potenza mondiale e superpotenza militare a rappresentare non lo sviluppo e l’affermazione del comunismo, ma il suo simulacro, la sua astoricità, il suo confinamento nell’empireo dei dogmi e delle città proibite, esercizio puro e assoluto di potere non certo cambiamento delle cose esistenti, speranza di vita e di giustizia sulla terra.
Do spazio alla sola incredulità, al solo smarrimento. Non sono in grado (e non è questo il momento) di pormi i relativi perché e formulare le conseguenti risposte, che peraltro altri molto più autorevoli e autorizzati hanno già posto e formulato.
Lo faccio dopo aver sentito alla televisione spezzoni del discorso di Silvio Berlusconi durante la manifestazione del Polo a Vicenza, dove con la consueta enfasi e il solito livore, chiamava in causa come nemici i comunisti e come minaccia eterna il comunismo, per lui ancora vivo e operante, agente attivo della disinformazione e della corruzione, negatore delle libertà, accaparratore delle risorse e delle istituzioni pubbliche, compresa la presidenza della repubblica.
Mi è venuto da sorridere, non per lui, ma per me.
24 ottobre 2006
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