Può stare una bambina in un cunicolo di quatto metri per tre, sottoterra, senza finestre, in totale solitudine, senza regredire in uno stato animalesco, senza compromissioni importanti del linguaggio e dell’eloquio, senza alterazioni della postura e degli atteggiamenti del corpo, mantenendo una piena capacità di ragionare e di sorridere ?
Non sembra possibile, a meno che non evochiamo la principale caratteristica dell’essere umano che è la capacità dell’adattamento e, con essa, i dati di sopravvivenza nelle camere di tortura e nelle segrete, durante la carcerazione a vita e all’interno dei lager o dei manicomi. Aggiungendo inoltre al permanere di parametri vitali, il corteo di paranoie e fobie, di disturbi del linguaggio e dei comportamenti, di somatizzazioni, di sfiducie e diffidenze, depressioni e angosce, cioè il prezzo che si paga per essere costretti a condizioni di estrema privatizzazione di beni e comfort, di affetti e di spazi, di carezze e di gratificazioni.
Eppure dal quel poco che si riesce a sapere e a vedere nel caso della ragazza austriaca ricomparsa dopo otto anni dal suo rapimento, non emerge niente di tutto questo.
Il fisico sembra integro e gradevole, l’eloquio è fluente, il linguaggio è articolato, il sorriso tutt’altro che raro, la gestione della propria immagine è accurata e attenta. Sembra elevato il suo potere contrattuale, almeno nei confronti dei mass media, anche se non sappiamo quale sia con coloro che attualmente l’hanno in custodia, ma ha rifiutato, per il momento, se non il confronto, sicuramente l’intimità con i genitori, o meglio con il padre e con la madre. A dimostrazione che riesce a definire la sua “giusta” distanza dalla realtà, senza esserne inglobata, sopraffatta e travolta.
Non appare come una persona deprivata, in forte sofferenza, spaventata e diffidente.
E’ come se fosse stata educata, comunque aiutata a crescere, ad alfabetizzarsi, addirittura a socializzare.
Non può averlo fatto da sola, nel suo cunicolo, con l’aiuto della sola fantasia e della semplice volontà di sopravvivenza.
Lo ha fatto sicuramente con il suo rapinatore che non voleva né soldi né esercitare ricatti, come non sembra fosse interessato a violenze fisiche, a giochi sadici, a perversioni, a maltrattamenti gratuiti.
Voleva, molto probabilmente, essere parte della vita di una persona ed essendo incapace, presumibilmente per gravi problemi psichici, di farlo all’interno di un rapporto simmetrico, paritario, di libera scelta, risultato di abilità comunicative e competenze affettive, ha “inventato”, costruendolo artificialmente con il rapimento di una bambina, un rapporto complementare, asimmetrico, sbilanciato a suo favore, almeno all’inizio, creando con le sue mani, artigianalmente, la sua partner, che proprio per questo era non solo totalmente disponibile, ma anche condiscendente, perché viveva comunque un processo di crescita, che poi era l’unico che riusciva a capire e quindi ad accettare, data la sua età e la sua condizione.
C’è una violenza terribile in tutto questo, una crudeltà inaudita, ma non è conclamata, evidente, esplicita e quindi difficile da capire e da rifiutare, soprattutto se si hanno otto anni e poi appena nove, solo dieci, fino ad avere diciotto anni. Allora il rapporto si incrina, cambia, evolve (o involve) e c’è la rottura, voluta da lei e praticata non tanto con la fuga, ma con l’abbandono di una casa (non di un cunicolo) e di un uomo, che è stato molto probabilmente nello stesso tempo sequestratore e padre, carceriere e fratello, maestro e amante (forse platonico), nemico e pedagogo. Un tale rifiuto è apparso insopportabile per lui, molto più dell’arresto o del carcere o della censura sociale, da scegliere il suicidio.
E sarà la ragazza a dire di essere dispiaciuta per la sua morte, perché era stato parte della sua vita, perché non era il suo padrone, anche se avrebbe voluto esserlo.
Il sospetto è che in una situazione così anomala, strana, contorta, gli aspetti di normalità siano più frequenti di quelli immaginabili, come se, a fronte dell’implosione di schemi e modelli sociali, a partire da quelli familiari, la fuga dalla libertà appaia l’unica strada per vivere o per sopravvivere e alcuni ne vivano una loro terribile, originale, drammatica versione.
14 settembre 2006
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