20/06/2006 Siamo orgogliosi di essere italiani

La scritta, gigantesca, spiccava dai tempi del fascismo sulle torri dell’impianto chimico di Nera Montoro e ricordava a chi era sulla strada per Roma l’obbligo di un senso di identità e di appartenenza, che andava rivendicato, gridato, ostentato.

Per me, nato nell’immediato dopoguerra, ogni volta che la scorgevo dal finestrino del treno o di un’auto, era una sfida a ricercare nella mia vita presente i motivi di tanta esaltazione, ma li trovavo solo nelle descrizioni scolastiche di eventi lontanissimi, dove imperatori e legioni romane dominavano il mondo e imponevano la lingua, i costumi e la cultura italica e la ritrovavo, riferita a molti secoli dopo e sempre su testi scolastici, nell’epopea risorgimentale, dove però la fierezza riguardava non l’essere italiani, quanto il contribuire a crearli.

Quella tracotante dichiarazione nata dopo l’Etiopia e rafforzata dall’asse Roma-Berlino, era stato travolta da una guerra folle e crudele, come sono tutte le guerre, ma in quel caso particolarmente folle per l’esaltazione di egemonie e privilegi di poche nazioni e di una sola razza e particolarmente crudele per le atrocità compiute soprattutto ai danni della popolazione civile.

Gli italiani smisero allora l’orgoglio di essere tali, almeno in pubblico e si preoccuparono solo di esserlo, possibilmente con la garanzia del pranzo e della cena e di un tetto sopra la testa, che ottennero con le fatiche e i sacrifici di un lavoro nei campi, in fabbrica, nei servizi, negli uffici, nelle arti.

Seppero così di avere grandi capacità di adattamento, di sacrificio, di inventiva, di progettualità, nonché di organizzazione e programmazione, anche coloro che, per ragioni razziste e di classe, erano considerato scansafatiche e perdigiorno, come i  “meridionali”, veri protagonisti del boom economico o come le donne, non più solo “angeli del focolare”, ma in prima fila nei cambiamenti dei costumi, dei servizi e dei lavori.

Seppero anche di avere una cucina ricchissima di sapori e di fragranze, un cinema moderno, una letteratura fiorente, un teatro all’avanguardia e con essi una propensione allo sport, all’associazionismo, alla passione politica, all’impegno sindacale, in un ambiente ricchissimo di emergenze artistiche, di panorami incantevoli, di una natura diffusa, di città a misura d’uomo.

Ma non tornarono ad essere orgogliosi di essere italiani, si limitarono ad esserne contenti. E non per pudore o morigeratezza ma perché erano consapevoli che nel loro paese, accanto alle molte cose di cui l’Italia poteva andare fiera, ce n’erano molte altre di cui vergognarsi, segno di una arretratezza che sembrava quasi endemica e di squilibri economici e sociali pesantissimi.

Sapevano dell’egemonia incontrastata della mafia su intere regioni, frutto nefasto del connubio con la politica e con i poteri costituiti, di un ritardo incredibile sul terreno dei diritti civili, voluto da un clericalismo particolarmente ottuso e potente, fautore anche di censure sociali e culturali violente e arroganti, di un clima persecutorio nelle fabbriche nei confronti di rivendicazioni salariali e diritti sindacali, di un mancato ricambio del ceto politico per veti e anatemi nei confronti di forze politiche giudicate inaffidabili da oltre Tevere e da oltre Oceano, di poteri segreti e paralleli, di una scuola arretrata e conformista, di istituzioni pubbliche mummificate, perché funzionali solo all’esercizio del potere e del sottopotere, di una speculazione edilizia e territoriale devastante, di un centralismo dello stato asfissiante e anacronistico, a scapito delle autonomie locali, diffuse e articolate in tutt’Italia.

Ma continuarono ad essere contenti di essere italiani perché si sentivano all’interno di un clima di confronto e di lotta politica, protagonisti di battaglie sindacali, culturali, sociali rilevanti, non tutte vittoriose, ma comunque in grado di lasciare il segno su vinti e vincitori, perché avvertivano che mettevano alla corda una stampa, una radio e una televisione anche se largamente asserviti, perché mettevano in crisi intellettualità e saperi, perché attivavano processi sociali di larga portata e lunga durata.

Nessuna forza politica, nessun sindacato, nessun organo di informazione, nessuna scuola rivendicava l’orgoglio per tutto questo. Fino ad oggi.

Con Berlusconi e il berlusconismo (e con i suoi prodromi: Craxi e il craxismo) è tornata la grande frase, con lo stesso tono imperioso, con la stessa tracotanza, la stessa minaccia, lo stesso avvertimento: chi non è orgoglioso di essere italiano si vergogna di esserlo, è una quinta colonna, un antitaliano camuffato, un nemico particolarmente odioso perché subdolo e coperto.

E questo avviene nel momento in cui tutto quello che è italiano perde rapidissimamente valore, dai prodotti made in Italy alla lingua italiana, dal campionato di calcio “più bello del mondo” al Chianti, dal cinema italiano al Giro d’Italia, dagli scienziati e ricercatori italiani all’acciaio, dal turismo alla tolleranza e al buon umore. Ma soprattutto in una fase in cui la corruzione ha raggiunto vette ( o punte di iceberg) incredibili, insospettabili, inimmaginabili. Dal terremoto di Tangentopoli l’Italia è scossa da uno sciame sismico continuo senza nessun apparente segno di assestamento, al punto di ritenere imminente il collasso dell’intero sistema. Non c’è settore politico, economico, finanziario, sociale, istituzionale, che non sia coinvolto da un giro vorticoso di illegalità, arroganza, spudoratezza, a conferma che lo Stato di Diritto è rimasto, almeno nell’ultimo decennio, solo sulla carta e non nella pratica quotidiana di singoli cittadini, gruppi e classi sociali, istituzioni pubbliche, assemblee elettive, esecutivi. Chiunque con velleità di potere e sete di guadagno ha avuto la possibilità e le opportunità di essere un “furbo del quartierino” o un ricattatore o un truffatore o un aggiratore, sia nelle vesti di conduttore o imbonitrice televisa, sia di manager sportivo, di grande magnate, di dirigente d’azienda, di consulente finanziario, di principe senza trono, di arbitro di calcio (e via all’infinito con il Made in Italy), senza che venisse fermato, interdetto, denunciato, arrestato, messo nelle condizioni di non nuocere, se non dopo un tempo incredibilmente lungo.

Una tolleranza incredibile (e quindi un incoraggiamento) nei confronti della furbizia, della cialtroneria, del pressapochismo, dell’incultura, della superficialità, del provincialismo, dell’arrivismo, del trasformismo.

Anche questo è un patrimonio riconosciuto agli italiani.

Anche di questo dobbiamo essere orgogliosi?

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