16/05/2006 Football

Una volta solo la domenica, oggi anche di sabato e a volte di mercoledì,  ventidue giovanotti in maglietta e calzoncini, organizzati in due squadre avversarie, coadiuvati da un trio più attempato in età ma con lo stesso costume, allestiscono uno spettacolo, definito da regole e regolamenti,  in un grande rettangolo di gioco e della durata di un’ora e mezzo. Il loro scopo è procurare emozioni agli spettatori presenti direttamente allo spettacolo (e paganti) e a quelli che lo seguono tramite radio e televisione (paganti anche questi ultimi perché abbonati ordinari o straordinari), compresi coloro che ne scorrono la cronaca e i commenti  in differita sui giornali del giorno e dei giorni dopo (anche loro paganti, perché comprano il giornale). Le emozioni possibili sono tante perché legate ai numerosi aspetti e generi dello spettacolo, dal gol al dribbling, dal passaggio smarcante al calcio d’angolo, dalla triangolazione al contropiede, dalla parata al takle, dal calcio di punizione al rigore fino ai numerosi moduli tattici, al gioco delle sostituzioni, all’alternanza di schemi e di soluzioni di gioco.

Questo è il calcio.

Uno spettacolo innanzitutto, definito (credo a ragione) il migliore del mondo, per la scenografia, gli innumerevoli cambiamenti di scena,  l’imprevedibilità delle soluzioni, la vivacità dei contrasti, le performance atletiche, la mutevolezza degli schieramenti, la dinamicità della rappresentazione.

Da aggiungere il fatto che i protagonisti sono sì atleti, ma senza i requisiti fisici necessari se non indispensabili per altri sport, quali la pallacanestro o l’atletica o la pallavolo, dove l’altezza, lo sviluppo muscolare, le capacità atletiche sono estreme ed estreme le performances, facendo dei protagonisti quasi dei marziani. Il giocatore di calcio non è un superumano, può essere anche piccolo di statura, non necessariamente velocissimo nella corsa né duro nei contrasti con l’avversario, né resistente ad una fatica intensa e prolungata, perché compensa con la visione di gioco, con il possesso dei fondamentali, con l’intelligenza tattica, con il senso della posizione, con il feeling con i compagni di squadra una eventuali mancanza di prestanza fisica e un handicap atletico.

Questo permette un enorme capacità di identificazione da parte del pubblico, perché ognuno può immedesimarsi e riconoscersi in quei giocatori e in un gioco che è il risultato soprattutto della fantasia e (perché no?) dell’intelligenza.

Di qui la sua grande popolarità, un consenso non di nicchia, un seguito e una attenzione generale, anche di chi non è tifoso né spettatore, né amante del calcio.

I fatti di questi giorni, lo scandalo delle intercettazioni telefoniche, l’avvio di procedure di indagine penali e sportive hanno niente a che fare con tutto questo, ne sono estranei, ne rappresentano al massimo una perversione se non una distorsione contingente ed occasionale?

Basterà sostituire dirigenti corrotti e corruttori, eliminare arbitri disonesti, licenziare giornalisti prezzolati, cancellare trasmissioni televisive complici della corruzione, mandare a casa giocatori concussi ed allenatori subalterni?

Costoro sono la cellula malata e degenerata in cancro di un organismo ancora sano, sono l’effervescenza mafiosa di una società proba, il naturale e perciò ineliminabile parassitismo delinquenziale di un mondo ricco e complesso?

Perché allora parlare di “moggismo”, cioè di un sistema di potere diffuso e ampiamente condiviso, a tutti i livelli?

Perché nessuno si è ribellato, denunciando nelle innumerevoli sedi possibili, dalla caserma dei carabinieri alla trasmissione televisiva, dalla Procura alla redazione di un giornale gli innumerevoli casi di corruzione, di truffa, di evasione fiscale?

Perché grandi famiglie, potentati economici, imprenditori di successo, illustri giornalisti, politici potenti, manager di provata esperienza non si sono tenuti lontano da un mondo che non prometteva niente sul piano  dell’onestà, della moralità, della correttezza, della trasparenza ?

Perché solo oggi vengono perseguiti dalla legge coloro, che più di altri ma come molti altri, si sono impegnati nel mondo del calcio ad aggirare leggi, regole, doveri?

Perché i protagonisti in negativo di questa vicenda, anziché essere  arbitri mediocri, procuratori di terza fila, dirigenti falliti, presidenti di società in crisi finanziaria, giornalisti arrivisti sono invece la crema dell’universo calcistico, i dirigenti più famosi (e più pagati), le società di calcio più prestigiose, il meglio del giornalismo sportivo, gli opinionisti televisivi più ascoltati, giocatori e allenatori titolari di incarichi e di maglie pluridecorate a livello nazionale e internazionale?

Perché infine è ormai naturale distinguere, con puntualità e pignoleria, tra “calcio giocato” e “calcio che è qualcos’altro”, forse virtuale, certamente finanziario, senz’altro competenza della Giustizia penale?

Qualcuno sostiene che la disgrazia del calcio è l’essere passato da sport a spettacolo e da evento locale a evento globale, grazie alla televisione e ai mass media in genere.

Chissà se l’adrenalina dei giocatori da sola, provocando in loro uno stress di passioni e non in coloro che li guardano giocare, può essere l’elemento motore del calcio. La spettacolarizzazione dello sport ne ha fatto un elemento di massa, un dato antropologicamente significativo, un volano economico, un fatto di civiltà e di cultura. Perché buttarlo via ? Per evitare che diventi strumento di speculazione finanziaria, oggetto di malaffare, ambiente malavitoso, luogo di malversazioni, terreno di cultura di corruzione e di connivenza mafiosa sono necessarie leggi, regole e doveri e soggetti autorevoli e legittimati a farle rispettare.

In una parola sola uno Stato di Diritto. Nel mondo del calcio non esiste più da molto tempo né lo Stato né il Diritto. Non c’è più un interesse generale, da difendere e da promuovere, ma tanti interessi, variamente perseguiti, in conflitto uno con l’altro, per allargare profitti e guadagni, poteri e egemonie, non per marcare l’affermarsi di un progetto o di una idea di sport e di comunità sportiva. C’è invece un interesse generale  che non è la nazionale di calcio, ma l’insieme delle competenze, delle abilità, delle professionalità, delle culture che fanno del calcio un fatto pubblico, una risorsa del paese, un dato dell’identità e dell’appartenza  collettiva.

Non esistono più diritti né doveri, non c’è più la certezza della pena, l’osservanza delle regole, la tutele della legalità: tutto è legittimo, perché l’unico valore legittimato è il guadagno illimitato, spropositato rispetto alle prestazioni svolte, indipendentemente da ogni mercato degno di questo nome, essendo fasulla sia la domanda che l’offerta, inverificabili entrambe, senza criteri di riferimento, né economici né finanziari.

Non c’è stata sinora nessuna “autoritas” che sia intervenuta a ripristinare lo Stato di Diritto nel mondo del calcio italiano: non la Giustizia sportiva, La lega Calcio, il Coni, il Sindacato calciatori, non la Giustizia penale, Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza,  non il Governo, il Ministro dello Sport, il Parlamento, non il Sindacato, non gli Enti di propaganda sportiva, non i massa media, non la Chiesa , le Parrocchie, non i Comuni. Nessuno autorizzato e autorevole per farlo lo ha fatto. Ma eravamo in pieno berlusconismo, che è la variante generale, la pratica diffusa, la norma di riferimento mentre il  moggismo ne è l’aspetto particolare, l’applicazione in un contesto delimitato, la pratica in “corpore vili”

Lo faranno ora ?

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