Albergo Sansevero, Via Santa Maria di Costantinopoli, 101.
Piazza Bellini, verde e animata, fa da chiave di volta di tutta l’impalcatura urbana e culturale di Napoli. E’ al termine di via dei Tribunali e vicina all’incrocio con il decumano inferiore, i due assi connettivi con le chiese, i conventi, i chiostri, i campanili, i palazzi più importanti e significativi della città. Su di lei si apre Porta Alba, accesso a Piazza Dante e al grande asse viario di Via Toledo, il cui sbocco naturale è Piazza del Plebiscito con il Palazzo Reale, il Teatro San Carlo, ma soprattutto il mare. Ad oriente di essa, in poche centinaia di metri, il teatro Bellini, l’Accademia di Belle Arti e il Museo Archeologico Nazionale. Poco oltre Piazza Dante la Stazione Cumana della Funicolare di Montesanto guadagna rapidamente la collina del Vomero, con il Castel S.Elmo e la Certosa di San Martino ma anche il più bel panorama della città e del golfo.
Tutto il resto della città è più lontano ma alla portata di metropolitana, autobus, taxi o, volendo di buone gambe e di una bella testa.
L’Ercole farnese.
E’ la coda dell’occhio che me lo rimanda, mentre guardo un cartello collocato sul passaggio tra due sale e non volto subito la testa, temendo di perdere la visione, come se fosse un miraggio. Ma subito dopo sono costretto ad entrare nella sala, cercando di cogliere subito gli elementi essenziali, per memorizzarli per sempre. E’ illuminato da una luce bionda che gli carezza i muscoli possenti, esaltando la posa d’abbandono del braccio sinistro, accompagnata dallo sguardo perso davanti a sé, prodotto dalla testa pensosamente piegata. Solo il braccio destro piegato dietro la schiena e la mano a carezzare, più che stringere, le tre sfere, denunciano un corpo vivo e potente, immobile solo per un momentaneo riposo. L’ombra proiettata sulla parete rivela solo la curva della schiena, pronta a tendersi di nuovo ad un ordine improvviso.
Il mosaico della battaglia d’Isso
La selva di lance è tutta diretta in una sola direzione, in controtendenza al verso dei cavalli e dei corpi. Solo le teste dei persiani, tutte, sono rivolte all’indietro come a capire il perché di quella spinta terribile che fa precipitare a terra cavalli e uomini e armi, travolti da una furia incontenibile. All’incontro c’è un solo uomo, la cui dimensione solitaria è accentuata dalla rovina del mosaico. La testa, scoperta e scarmigliata, non rivela né un capo né un condottiero, ma lo sguardo determinato incrocia quello smarrito di Dario, ben più evidente sul suo cocchio e attorniato da tutti i suoi uomini, ma con la mano disarmata e protesa già in una supplica, rivelando in lui lo sconfitto e nell’altro, Alessandro, il vincitore.
Monastero di Santa Chiara
Sarà l’unica mattinata di vero sole, tutte le altre e i pomeriggi saranno sopraffatti dalla pioggia battente, costringendoci a lungo in musei e ristoranti. E il sole è indispensabile per esaltare i colori delle maioliche del Chiostro delle Clarisse, a riproporre sulle colonne e sui sedili la gaiezza e la seduzione del mondo esterno, fatto di paesaggi, di scene campestri, di mascherate, di trionfi carnevaleschi. E sempre il sole evidenzia i tanti verdi degli alberi, dei cespugli, delle verdure, delle frutta. E’ un’oasi dentro la città ma tutto intorno, oltre la chiesa fredda e austera, voluta da una regina triste e mortificata dai bombardamenti, un cerchio d’altissime mura non la difende ma la esclude.
Piazza del Plebiscito
La piazza, enorme, rimanda ad una grande stampa dell’ottocento. Una moltitudine di uomini e donne, solitari o in coppia, o in piccolissimi gruppi, sparsi nel grande spazio, solo qualche cane o cavallo ma bambini e bambine, senza nessuna occupazione o impegno evidente, se non discorrere, guardare ed essere guardati, giuocare, correre e rincorrere, godersi il sole e l’aria, protetti dalle scene dei palazzi e della chiesa compreso lo squarcio sul mare.
Ovviamente, nessuna automobile.
Certosa di San Martino
Cerco, invano, l’ordine sociale, rigido e geometrico, così evidente nella Certosa di Padula. Faccio fatica a distinguere le soluzioni architettoniche funzionali alla separatezza tra conversi e certosini, tra lavoro manuale e intellettuale, tra subalternità e privilegio. Mi manca per questo la visione della chiesa e del chiostro grande, chiusi alla visita, ma soprattutto non c’è quella organizzazione enorme dello spazio a rappresentare in terra l’ordine celeste e qui limitata dalla collina e dalle muraglie del Forte S.Elmo. C’è però il Quarto del Priore a dimostrare le grandi esigenze, di spazio e di potere, non tanto della meditazione e dell’astrazione, quanto dell’autorità e della sommità della scala gerarchica.
Nei sotterranei, il gran presepe Ricciardi, con il gioco di luce del giorno e della notte, mi ripropone una visione ingenua e idilliaca del mondo.
Il Carmine
La domenica ha desertificato la Piazza del Mercato e i resti monumentali della chiesa e delle fontane-obelisco tra i banchi serrati appaiono ancora più spettrali nel loro abbandono e degrado. Ma è l’atmosfera più opportuna per evocare rivolte ed esecuzioni capitali, perché non c’è nessuna distrazione ad altri pensieri né diverse suggestioni. Il silenzio è totale e così è anche nella chiesa di S.Maria del Carmine, nonostante sia gremita di fedeli, ma la messa e l’unico suono della voce del prete nella predica conferma ed esalta l’immobilità dei suoi fedeli. Nella testa mi sembrano come rimbombare i nomi dei martiri della rivoluzione del 1799, riportati nell’atrio da un cartello dell’Istituto Italiano di Studi Filosofici.
Unità d’Italia
Appare evidente il torto subito dai napoletani. L’aver perso tutto, una città capitale innanzitutto, non certo allora seconda a Torino o a Roma in quanto ad imponenza monumentale, viabilità, servizi urbani e sociali, vita culturale, massa critica d’uomini e beni. Degradata e compromessa, ma non sul piano del prestigio, ma su quello della potenzialità economica, della capacità intellettuale, dello sviluppo di risorse, ancora oggi largamente individuabili.
E’ vero che molto, quasi tutto, si era giocato nel 1799, ma a re e regine non dovevano essere contrapposti altri re e regine e principi e principesse e corti e cortigianerie, ai molti diritti negati non si dovevano confermare solo alcuni privilegi e per i soliti pochi, ma soprattutto Napoli non doveva essere la vittima di uno sviluppo disuguale, penalizzante, distruttivo, incompatibile. Tutto questo si avverte nettamente, anche solo gironzolando per vie e piazze, senza leggere libri o trattati, perché lo dicono le pietre e gli arredi urbani, i palazzi e le chiese, gli usi e i costumi, gli odori e gli umori, cioè le cose che vede il turista.
Chissà quello che si potrebbe capire parlando con i napoletani!
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